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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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23/06/2015

Se è vera solidarietà, si devono proteggere

Le recenti iniziative, che coinvolgono anche il Comune di Alessandria, per fare lavorare senza retribuzione i migranti, non devono impedire che si persegua la loro sicurezza

   

Se è vera solidarietà, si devono proteggere

La solidarietà non è uno strumento esaustivo, va coniugata con modalità che le permettano di essere efficace e non addirittura pericolosa per coloro che vorremmo aiutare.
Mi riferisco alla bell’idea di far lavorare i migranti attualmente ospitati in Alessandria in attesa di ricevere lo status di profughi o di clandestini. Oggi noi ci troviamo di fronte a ospiti di cui mediamente il 75% si rivelerà non in grado di acquisire il titolo di profugo e quindi finirà nel mare magnum dei classificabili come clandestini. È un rischio prendersi la responsabilità di trasformarli in lavoratori, pur se non retribuiti. È da quest’ultimo punto di vista la solidarietà si dimostrerebbe pelosa, d’interesse.
Il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e smi è invece cogente in materia. Si definisce infatti lavoratore una persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione. In questo caso il Comune di Alessandria – che mi pare maggiormente indiziato – o la Prefettura si sono costituiti come datori di lavoro.
Per semplicità parlerò del Comune, peraltro esercitandosi l’attività su un sedime di proprietà municipale.
Ci tengo a dire che il dlgs 81/2008 privilegia le condizioni di fatto, rispetto a quelle formali. Ci troviamo dunque di fronte a lavoratori che vanno tutelati in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
In ogni lavoro vi è un rischio. La legge lo classifica come basso, medio o alto, ma sempre rischio vi è.
Nel caso del lavoro al Cimitero occorrerebbe verificare se nel DVR (documento di valutazione dei rischi) del Comune, o di Amiu che svolgeva il servizio di taglio dell’erba, siano documentate le condizioni di quel particolare rischio.
Ammettiamo che sia basso, così semplifichiamo la spiegazione.
Ai lavoratori, a spese del datore di lavoro, deve essere erogato un corso di quattro ore generalistico, a cui si aggiunge un modulo specifico di altre quattro ore, nel caso di rischio basso. Prerequisito per il corso è la conoscenza dell’italiano da parte dei discenti, che comunque per lavoratori immigrati va testato, almeno in termini di comprensione della lingua.
Mi pare che non tutti i soggetti in questione conoscano l’italiano al punto di comprendere cos’è un decreto legislativo, piuttosto che una linea gerarchica di responsabilità in termini di sicurezza.
La responsabilità è del dirigente individuato dal sindaco per la materia. Nel caso sia omessa l’individuazione le responsabilità rimangono al Sindaco. La vigilanza è comunque un obbligo che permane in ogni figura delegata o delegante.
Le figure che interessano queste vicende sono dunque il sindaco, il dirigente individuato, i preposti, il responsabile prevenzione e protezione e il medico competente.
I bersaglieri in congedo che si sono offerti di assistere i lavoratori migranti assumono funzionalmente la qualifica di “preposti” in quanto sovrintendono all’attività lavorativa e garantiscono l’attuazione delle direttive ricevute. Anche in questo caso però ai preposti deve essere erogato, a carico del datore di lavoro, un corso al minimo di 8 ore e non mi pare che i bersaglieri lo abbiano ricevuto. Sono condizioni di vigilanza che spettano anche al Sindaco, pur se ha delegato la materia ad un dirigente.
Il medico competente dell’ente deve sottoporre a visita i lavoratori, espletare esami diagnostici a seconda del rischio lavorativo indicato dal DVR, eventualmente dichiarare l’inidoneità totale o parziale del lavoratore stesso.
Peraltro i lavoratori devono essere dotati di appositi dispostivi di protezione individuale (dpi) consegnati dal datore di lavoro, senza i quali non può essere svolta l’attività. Oltre ai guanti omologati, anche, ad esempio, le calzature antinfortunistiche, il casco, le cuffie in caso di utilizzo di attrezzi rumorosi, gli occhiali o la visiera, particolari protezioni del corpo nel caso di uso di attrezzi o utensili che lo richiedano.
Sono tutti obblighi che la legge prescrive non solo per la tutela della salute e sicurezza, ma anche al fine di garantire i livelli essenziali delle prestazione concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle condizioni dei lavoratori immigrati.
Cosa si rischia? Le violazioni sono sancite penalmente con l’arresto e l’ammenda, a secondo della gravità. Per esempio non dotare i lavoratori di necessari e idonei dispositivi di protezione individuali presuppone l’arresto da 2 a 4 mesi e una ammenda da 1500 a 6000 euro.
Ecco perchè non sempre la solidarietà è opera buona.

 

Piercarlo Fabbio

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria