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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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22/04/2022

L'assurdità del mondo

Una riflessione di Gianluca Veronesi

   

L'assurdità del mondo

Siamo tutti in guerra o meglio ci sentiamo tutti in guerra.
Non è una novità. Siamo entrati da tempo nel nostro terzo anno di combattimento.
Nella lotta al virus eravamo tutti dei soldati sul campo di battaglia.
Ci si interrogò stupiti sul fatto che a tutti, in tutti i paesi colpiti, fosse scattata automaticamente l’identificazione tra pandemia e conflitto armato.
E, oggi, alla luce della incredibile invasione russa, quando ripensiamo a quei giorni la metafora guerresca trionfa ancora di più.
Usavamo una terminologia militare, aspettavamo ordini dal Comando generale (consiglio superiore della sanità e conferenza delle regioni) e alle 18 ascoltavamo il bollettino dei caduti.
Comparve l’esercito italiano che credevamo dedicato solo alla sfilata del 2 giugno e che si dimostrò, invece, essenziale.
Le tende degli ospedali militari spuntarono ovunque e un generale pieno di decorazioni, con una piuma sul cappello e dal cognome “affettuoso”, divenne il Comandante supremo.
Il convoglio militare con cui si trasportavano i corpi alla cremazione divenne in tutto il mondo l’icona della tragedia italiana.
Strane sensazioni: città deserte, di cui si impossessarono gli animali più diversi.
Il silenzio, che è ormai una percezione aliena per noi esseri (inutilmente) rumorosi.
Quando cessava il coprifuoco, mimetizzati dalla mascherina uscivamo dalla nostra casa trincea sulla cui terrazza si cantava l’inno di Mameli.
Nella notte vuota e buia splendevano i palazzi delle istituzioni illuminati in bianco rosso verde.
Il nemico era un virus subdolo, vorace, abile a nascondersi negli sconosciuti ma anche negli amici parenti figli e nipoti.
Diffidavamo di chi incontravamo perché poteva essere un agente (patogeno) nemico.
All’inizio fu una caporetto, poi poco alla volta cominciammo a vincere qualche battaglia.
Le armi a disposizione rimasero poche per lungo tempo ma la ferrea disciplina portò ad una tregua.
Intanto in laboratori segretissimi qualcuno stava lavorando ad armi chimiche: una bomba potentissima che avrebbe cambiato l’esito del conflitto e che rientrava nella “classe” dei vaccini, con la sigla Covid 19.
Si poteva scegliere tra due razzi a lunga gittata che arrivavano direttamente dagli USA oppure un missile a due stadi di produzione inglese.
Già allora Putin giocò sporco, cercando di rifilare al mondo un suo modello avariato, chiamato Sputnik. Per ottenere un via libera dalle autorità sanitarie internazionali cercò anche una inconsapevole (?) complicità italiana.
Il virus usò ogni mezzo per vincere. Assoldò alcuni “collaborazionisti” (in gergo: no vax) per una classica campagna di propaganda e disinformazione e si fece aiutare da truppe di volontari esteri, i ceppi sudafricani inglesi brasiliani (i ceceni sono immuni da ogni debolezza umana).
La Cina, dove tutto cominciò, si trasformò in un campo di concentramento che dura tuttora. Ogni tanto aprono un pertugio per solidarizzare con Putin e poi lo richiudono.
I tanto vituperati medici ed infermieri si dimostrarono eroici ed è grazie a loro se la carneficina non diventò un olocausto.
Siamo così arrivati alla attuale guerra convenzionale a bassa intensità.
Forse non si può scherzare su questi temi ma quello che voglio comunicare è il mio malessere morale e fisico di fronte a quanto succede in Ucraina e il senso di colpa nel non potere condividere davvero la loro tragedia.
L’aver partecipato alla “lotta” contro l’epidemia, avere messo -come tanti altri- a disposizione del mio paese una prudenza nei comportamenti, una concentrazione nel distanziamento, una cura nella prevenzione, mi ha fatto sentire parte di una squadra e ripagato del sacrificio patito.
Non ci si può -invece- identificare nelle immagini dei morti abbandonati sulle strade (che per altro vediamo solo da quando il loro numero rende impossibile non inquadrarli).
Ma ci sono sentimenti, sensazioni, imbarazzi su cui è più facile e doveroso soffermarsi.
Possiamo noi occidentali agiati capire davvero cosa significa la fame, la sete, il freddo che entra nelle ossa, vivere al buio per settimane, affollati nella promiscuità di una metropolitana? Il non potersi lavare, telefonare, avere informazioni dei nostri cari? Vedere un figlio armarsi (più o meno volontariamente) e avviarsi al fronte?
Partire con una nipotina e uno zaino prendendo un pullman che non sappiamo in quale paese ci porterà?

GianlucaVeronesi

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria