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Blue Jeans ante litteram
Riprendendo la
macchina del tempo per indagare la storia parallela tra Alessandria e Borgoglio,
Piercarlo Fabbio nella puntata del 29 settembre della trasmissione
radiofonica ‘La mia Cara Alessandria’, ‘plana’ sulla città ormai fondata
da qualche secolo, mentre Borgoglio continua il suo cammino di città
dentro la città. C’è agitazione in giro, si sentono sferragliare corazze e
spade, soldataglia che corre verso le mura.
Non è la Borgoglio
tranquilla e forse un po’ turistica, lasciata circa 200 anni fa. “Mentre sto
cercando di capire quale strana faccenda stia capitando, passo nei pressi della
Chiesa di San Michele. Dagli edifici attigui escono, assai indaffarati, operai
assai sporchi, che probabilmente fanno parte di un Ordine religioso, quello
degli Umiliati, che a fine 1100 si è ecumenicamente stabilito sulle due sponde
del Tanaro. In sponda di Rovereto nei pressi di San Giovanni del Cappuccio,
l’attuale San Rocco. L’Ordine si compone di Monaci, di Suore, di laici, uomini e
donne). Lavorano la lana, la tessono, la filano e la tingono. A noi oggi infatti
è rimasta una vestigia della loro presenza in città: il cosiddetto Tinaio degli
Umiliati, che dà su via Lumelli ed è collegato al compendio a cui fa proprio
capo la Chiesa di San Rocco”.
Quello che più è
straordinario, in questo viaggio tra le mura di Borgoglio, è apprezzare cose che
non si possono più vedere, perché un opificio degli Umiliati vi è anche qui. Gli
operai così sporchi, indaffarati sulla pubblica via a rovesciare mastelli
d’acqua bluastra nei rigagnoli a cielo aperto che contraddistinguono le ‘rugate’
sono proprio dei tintori.
Perché il colore di
giornata sia il blu ancora non si sa ma, ormai è certo, che da quando siamo a
Borgoglio, più che storie straordinarie non si vengono a conoscere. Parlando con
uno di loro, tal Lodovico (il cognome pare faccia Grassi o giù di lì), si
apprende che il colore è dell’oro blu che, a Borgoglio, ad Alessandria
come a Tortona, si coltiva persino nei fossati delle fortificazioni. Non un
minerale ma una pianta, il gualdo (nome botanico: Isatis Tinctoria),
erbacea biennale dai fiori gialli, anche se in questo caso interessano assai più
le foglie.
In effetti “il
colorante si estrae dalle sue foglie raccolte durante il primo anno di vita.
Dopo macerazione e fermentazione in acqua si ottiene una soluzione giallo verde
che agitata e ossidata produce un precipitato. Il colorante, molto solido, è
utilizzabile nella tintura della lana, seta, cotone, lino e juta, ma anche in
cosmetica e colori pittorici. Oro blu perché la zona dell’Alessandrino è uno dei
luoghi a maggiore produzione di gualdo di tutta l’Italia settentrionale e
addirittura non esporta solo stoffe colorate, ma anche il colorante. Il grosso
della produzione va verso Genova, che colora tessuti di fustagno utilizzati per
coprire le merci nel porto o per sacchi di contenimento per le vele delle navi.
Una certa produzione si avvia anche verso Chieri, dove pure vi è una fiorente
industria tessile, comunque poi indirizzata verso Genova. All’estero il colore è
conosciuto come ‘blu genoa’ o in francese ‘bleu de Gênes’, cioè ‘blu jeans’.
“Cristoforo Colombo non ha ancora scoperto l’America e Alessandria già ha
pensato con che colore vestire gli americani”.
Di lì a poco, il
gualdo sarà soppiantato dall’indaco cinese o generalmente esotico e magari i
figli o i nipoti di Lodovico non faranno più il mestiere del padre e soprattutto
i Visconti, signori di Milano e di Alessandria, dovranno dare addio ai lauti
guadagni che il gualdo – pur tra vicissitudini colturali, meteorologiche e
storie di contrabbando – forniva loro tra dazi e imposte.
Alessandria è sotto
il controllo dei Visconti, che agli albori del 1400 sono capitanati da Gian
Galeazzo. Da tempo ha perso l’autonomia politica e anche dal punto di vista
delle istituzioni di governo, la presenza del Duca di Milano si fa sentire
attraverso vicari o podestà. Inoltre le due fazioni dei Guelfi (vicini al
Papato) e dei Ghibellini continuano a dar vita a scontri, faide, ripicche.
A Borgoglio, terra
dei Guasco, guelfi, la dominazione viscontea non era certo gradita. Così la
morte di Gian Galeazzo, avvenuta nel 1402, fu un’ulteriore occasione di scontri
e di aspre vendette fra le parti. Alessandria venne ereditata, insieme a Pavia,
dal secondogenito del de cuius, Filippo Maria. Non passava neppure un anno dalla
morte del Duca, che nel marzo 1403 si costituiva una nuova lega anti-Visconti.
“Ero riuscito a entrare a Palazzo per incontrare Gabriello Guasco, che mi
aveva accolto e spiegato con interesse la situazione, indicato i suoi acerrimi
nemici nei Firrufini, incorreggibili Ghibellini dell’oltretanaro, e mettendoci
anche un pizzico di scaramanzia o di superstizione, perché quando arrivano i
guai, normalmente il cielo li annuncia: “Fu quest'anno (1402) veduta, alli 10
del mese di aprile, una maravigliosa e fiammeggiante cometa, la quale per
quaranta giorni andò sempre crescendo in tanta lunghezza, che secondo la vista
umana fu giudicata di duecento braccia, e poi il suo splendore cominciò a
mancare, ed essendo oramai languida disparve del tutto. Essa fu presaga di
guerre, peste, terremoti e altre sciagure che in breve accaddero in Italia…”
(Ghilini G., op. cit.)
Quindi,
quell’andirivieni nervoso di soldataglia aveva più di una ragione. Chissà come
sarebbe andata a finire e chissà che Alessandria, alla ricerca di una nuova
autonomia, non dovesse essere poi sottoposta ad una nuova tirannide.
Per le ‘Reclame
d’annata… però’: ‘Sordità’ (in La Stampa domenica 2 gennaio 1927), ‘Ernie’
(La Stampa domenica 2 gennaio 1927), ‘Raggi X’ (La Stampa domenica 2 gennaio
1927), ‘Mobili’ (La Stampa domenica 2 gennaio 1927). Con ‘Strà per Strà’
andiamo in via Enrico Gentilini (da corso Monferrato a Lungo Tanaro
Solferino): le sue tracce si perdono nel 1874, quando scrive da Milano, ormai
poverissimo, al Consigliere comunale di Alessandria, avvocato Valsecchi,
chiedendo l’invio di 65 lire per pagare dei debiti di una pensione. Liberato da
quelli, a suo dire, si sarebbe trasferito a Savona dove gli avevano offerto un
modesto lavoro, ma che gli avrebbe consentito di tirare avanti. Le 65 lire
vennero racimolate ed inviate all’alessandrino, fervente mazziniano e che aveva
partecipato attivamente all’insurrezione delle Cinque giornate di Milano nel
1848. In città, prima di riparare in esilio, in quanto perseguitato, aveva
decisamente sostenuto le idee del genovese. In esilio si recò in Turchia, poi in
Svizzera ed in Francia, pencolando tra affanni, miseria e tribolazioni della
vita. Ritornò a Milano nel 1858. Scrisse molti testi, come ‘Guida alla guerra
d’insurrezione’ o ‘Le operazioni militari del generale Bava’ e, ancora, ‘Saggio
di organizzazione dello Stato’.
Il Basile riporta
alcuni passi dei suoi scritti: “La plebe ha il privilegio di fornire un
numeroso contingente di popolazione, che nasce nel bisogno e nello spedale per
morire in esso. Lavoro precoce nell’infanzia, sacrificio della libertà in
gioventù, travaglio esclusivo, eccessivo, mal ricompensato; ogni sorta di
torture fisiche e morali nell’età robusta. (…) La forza suprema dell’attrazione
è la legge dell’universo, ed è pure quella del progresso. I popoli tendono con
ogni mezzo ad avvicinarsi; la società cerca di riunire gli interessi, liberando
dalla avarizia e dal monopolio della speculazione, dalla cupida usura privata.
L’opporsi alle idee sociali è un voler precipitare”.
Dopo l’Almanacco del
giorno prima, fatti successi tanti, tanti anni fa in Alessandria, finale con la
playlist che fa suonare ‘Jazz a mezzogiorno’ con 'April in Paris' Count
Basie, 'When Sunny gets blue' Sarah Vaughan, 'Moonglow' Eddie Harris, 'Solitude'
Coleman Hawkins, 'My romance' Tony Bennet, 'More than you know' Lena Horne,
'Round midnight' Thelonious Monk.
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