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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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08/12/2009

Giorni di grigio intenso dedicati al mito dell'Alessandria calcio

Presentato in Sala Giunta il nuovo libro di Marcello Marcellini che è la strenna natalizia del Comune di Alessandria. Oltre 200 fotografie alla riscoperta dell'ultima stagione in cui i grigi giocarono in serie A. Le parole del Sindaco alla ricerca del colore di una città

   

Giorni di grigio intenso dedicati al mito dell'Alessandria calcio

Si è svolta, nella sala Giunta del Comune di Alessandria, lunedì 7 dicembre, la presentazione del libro di Marcello Marcellini: "Giorni di grigio intenso", dedicato al campionato 1957/58 ultimo anno in cui l'Alessandria ha militato in serie A. Hanno commentato il libro, oltre all'autore, Gigi Poggio, Lino Nobili, portiere dei grigi in quel campionato, Bruno Garzena, che aveva contribuito a portare l'Alessandria in serie A nel campionato precedente, e Lorenzo Repetto, Presidente del Gruppo AMAG. Il libro, molto bello ed interessante, ricco di immagini tratte dalla raccolta del Comune e perlopiù scattate da Renato Sartorio, ha la prefazione del Sindaco Piercarlo Fabbio, che ha partecipato alla presentazione.

Ecco il testo integrale della prefazione.

Non so quali siano i colori di Genova, Milano, Torino. Forse il blu del mare, il bianco delle montagne, il rosso del dinamismo. Chissà… Ma so, con certezza almeno novecentesca, quale sia quello di Alessandria: il grigio. Un colore definitivo al punto da essere diventato identità di una città che, se non avesse vissuto la parabola calcistica come un’epopea, probabilmente sarebbe stata caratterizzata dal marrone del fango dei suoi fiumi.
Invece, proprio nei primi anni del secolo appena trascorso succede una trasformazione epocale nella coscienza collettiva di una città. Il vecchio naturale colore prima si perde tra i successi della straordinaria squadra da corsa di Giovanni Maino, superbo interprete di una tecnologia che produce “macchine” terribili per gli avversari e campioni del mondo a raffica, locomotive umane, sudore spalmato sul telaio di ferro di una bicicletta che sa solo vincere, poi passa – per il miracolo del dono – sulle spalle di undici baldi giovanotti che calcano il fangoso campo degli Orti e rimescolano, fino a schiacciarlo, il colore dei propri avi. Ora il grigio trionfa tra i calci appassionati di campioni ineguagliabili, tra assi della carrarola, tra calciatori che vincono la Rimet due volte nel giro di quattro anni.
E dopo tali affermazioni, il grigio può affermarsi come colore di un’identità? Beh, la risposta la conoscete. E dire che molte volte – sbagliando – si è pensato al grigio come alla tinta della sconfitta di una comunità, quando invece era l’esaltazione incontenibile della vittoria.
Bene, in questo miscuglio mefistofelico tra grigio, città, identità, carattere di una comunità si tuffa Marcellini unendo a ciò un altro mix incontenibile: la memoria, il ricordo, la conoscenza, la storia, la passione, il trasporto, l’immagine.
Proprio su quest’ultimo aspetto occorre soffermarsi se si vuole comprendere il lavoro di Marcello Marcellini, perché la partenza sta proprio lì, in quel bianco e nero un po’ seppiato, dal contrasto smunto, pescato a piene mani nei dagherrotipi della fototeca comunale, trasformati immediatamente in narcisismo mnemonico. Quasi un tranello in cui l’autore si getta – consapevole – trascinando con sé il lettore: partire da una foto per rimirarla e poi, invece, collegarla ad una storia, di calciatori, di allenatori, di presidenti, di match. Far sì che il racconto delle parole finisca per prevalere su quello per immagini. Negando lo stesso spunto da cui era partito. Precipitando nella botola – a lungo – in una caduta vorticosa e infinita, non atterrando mai su una certezza, ma brancolando nel vuoto, tentando di aggrapparsi ai ricordi, perché le fotografie fissano momenti ma non riescono a disegnare le parabole sregolate del football, gesti vigorosi, colpi di reni plastici, entrate di quelle che se anche prendi la palla non fa niente. E allora bisogna sopperire al fatto che una biottica o una reflex o una sei per sei non ritraggono tutto, ma abbisognano del racconto pescato nella memoria d’autore. Così se si vuole raccontare Lojacono non si può prescindere dal guardare stupiti un pallone che si libra nell’aria e atterra dopo un secondo che sembra un’eternità, nell’incrocio dei pali, come se fosse la sua naturale dimora. O se si pretende di trovare l’impatto tra il plastico Lino Nobili e il pallone, non ci si può sottrarre dall’accedere al repertorio dei nostri occhi che hanno un hard disk a parte nella nostra mente e che ci restituiscono informazioni ancora vivide a distanza di anni.
Marcellini qui ha materiale, ma sceglie un fotogramma, quello di un solo campionato, come se leggere un libro fosse sfogliare un quotidiano sportivo. Ancora una volta alla ricerca di un contrasto più che di un pacato cammino di storie sportive. Ancora una volta giocando la cronaca come avversario della storia. Ancora una volta scegliendo due colori divergenti per ottenerne una miscela meravigliosa: il grigio.

 

Piercarlo Fabbio


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