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Domenica 19 gennaio 2025

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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08/10/2006

Autunno, tempo di ignavi e di bugiardi

Don Chisciotte commenta gli ultimi fatti ed ipotizza scenari nuovi: dalle scuse imposte a Benedetto XVI, all'affaire Telecom; dal partito democratico, alla ricerca di una nuova leadership nella CDL

   

Autunno, tempo di ignavi e di bugiardi

Drammatico avvio quello di settembre con la dichiarazione di guerra del mondo islamico contro Papa Benedetto XVI, reo di aver svolto una lectio magistralis all’Università di Ratisbona dove, con estrema lucidità, il Santo Padre aveva dissertato sul rapporto che deve esistere tra fede e ragione in un Occidente scristianizzato e sull’inconciliabilità di esse con qualsivoglia religione che intenda affermare la propria esclusiva verità in nome dell’Altissimo con l’uso della violenza dato che: “ Deus est caritas”.
Ancora più desolanti l’ignavia e l’assordante silenzio delle autorità di governo dei Paesi occidentali di fronte ai continui pronunciamenti musulmani.
Un’ignavia spinta ai limiti dell’impotenza indecente, quasi a voler comprendere ed assecondare la schizofrenica richiesta musulmana di scuse papali. Ignavia e impotenza che si riconfermano nell’incredibile caso del prof. Redeker, costretto a nascondersi sotto la protezione di uno Stato imbelle e senza voce, nella Francia laica e democratica, per difendere il proprio diritto di parola.
E, anche in Italia, dai “cattolici adulti” insediati al governo, sono giunti solo flebili voci a sostegno della libertà di pensiero del pontefice romano.
Intanto, alla vigilia della presentazione della finanziaria 2007, scoppiava fragorosamente l’affaire Telecom, nei giorni in cui Romano Prodi guidava una delegazione di imprenditori nella Cina dei nuovi mercati e del rampante capitalismo maoista.
In questo affaire confuso ed inquietante, dove sta la verità e chi è il bugiardo? È forse nelle parole di Marco Tronchetti Provera che accusa di indebite ingerenze il governo nelle scelte di un’impresa privata, ma allora Prodi sarebbe il bugiardo, o la verità sta in quelle parole balbettate del leader bolognese che dice di non sapere, costretto alla difensiva dopo l’improvvida iniziativa del suo assistente e stretto amico di famiglia, Angelo Rovati? Quel signore esperto di affari e di complicate scatole societarie che, dal fax e su carta intestata di Palazzo Chigi, inviava a Telecom il progetto di uscita dalla crisi finanziaria di quel gruppo a misura che, guarda caso, era molto vicina alle tesi di quella nota banca d’affari, non estranea a diversi componenti di governo e mai così potente come adesso dentro e fuori le stanze dei poteri forti del nostro Paese. E se Tronchetti dice il falso sostenendo che Palazzo Chigi sapeva, perchè Prodi non lo querela?
All’inizio il capo del governo dalla Cina aveva affermato con baldanzosa sicurezza: “siete matti che io vada in Parlamento?” (a rendere conto di quanto successo), ma, alla fine, ha dovuto affrontare le forche caudine di un dibattito assai acceso alla Camera dei Deputati sino a subire al Senato il goliardico sarcasmo dell’opposizione irridente che agitava in bella mostra tanti pinocchietti rossoblu per un leader non credibile e vacuo.
Siamo ormai di fronte ad un capo di governo alla frutta. Egli è alle prese con un affaire, attorno al quale si sta giocando la grande partita dei soliti noti di un capitalismo italico dove, espulsi dal campo i furbetti del quartierino indigesti a lor signori, si tenta di costruire nuovi equilibri. Vittima designata, come lo fu già il povero Raoul Gardini al tempo dello scippo della Montedison al gruppo Ferruzzi, Marco Tronchetti Provera ha dovuto fare un passo indietro, riaffidando le sorti di Telecom al solito Guido Rossi, l’uomo di tutte le stagioni finanziarie e industriali più inquiete degli ultimi quindici anni.
Tuttavia qualcosa si è rotto nell’oliato meccanismo che aveva sin qui sostenuto l’ascesa e le fortune prodiane, se uno dei più importanti uomini d’affari e socio di quella RCS, sancta sanctorum dell’editoria non neutrale del gioco politico ed economico nazionale, ha dovuto, dapprima denunciare una campagna di stampa di “Repubblica” e dintorni contro il suo gruppo, beccandosi anche una denuncia per diffamazione, e alla fine, porsi in netta contrapposizione alle verità indifendibili del leader bolognese.
Insomma per un capo di governo che aveva visto tutta i grandi gruppi confindustriali e le loro testate (Corsera, Stampa, Sole 24 Ore, Messaggero, Mattino) al suo fianco contro il Cavaliere nell’ultima campagna elettorale, qualcosa di grave è intervenuto e dopo l’operazione Banca Intesa-San Paolo di Torino e il solitario (?!) risiko di Rovati su Telecom, si è rotto un incantesimo che sembrava non avere fine.
E con la finanziaria bolsa, classista e pasticciata, rappezzata tra mille spinte e contraddizioni dal silente Padoa Schioppa, sotto dettatura del sindacato di Epifani e con l’avallo confuso delle sinistre radicali di governo, una frattura ancor più grave è intervenuta tra il governo e il paese reale, e all’interno della stessa maggioranza, tra le componenti riformiste sin qui dimostratesi impotenti dei DS e della Margherita.
Uno scontro che esploderà pienamente, almeno così se lo augurano le componenti più dialoganti e moderate dell’opposizione, nell’imminente dibattito parlamentare e/o, in caso di chiusura blindata del governo nel voto di fiducia al Senato, in maniera ben più forte e lacerante a livello popolare, con l’inevitabile scesa in piazza dell’opposizione. La frantumazione sociale di questa triste stagione politica-economica, irretita da una finanziaria che scontenta tutti: ricchi e poveri, lavoratori dipendenti ed autonomi, regioni, province e comuni destinati al ruolo di esattori dopo il tempo dei trasferimenti garantiti e senza uno straccio di finzione di federalismo fiscale, potrebbe sfociare in forme di contestazione estreme. Si potrebbe giungere, specie al Nord, allo sciopero fiscale dei produttori e di coloro che da sempre e da soli hanno sin qui sostenuto il più consistente e non più sopportabile carico impositivo del Paese.
In entrambi i casi, convergenza parlamentare dei riformisti dei due schieramenti o scontro frontale sulla piazza con la minaccia dello sciopero fiscale dei contribuenti incazzati e delusi, le sorti di questo governo sono segnate.
In fondo gli episodi del convegno di Chianciano degli ex Popolari divisi se non sul se, sicuramente sul come dar vita al Partito Democratico; l’annunciata defezione delle componenti minoritarie dei DS all’incontro di Orvieto in cui dovrebbero essere definite le tappe di avvicinamento al nuovo Partito, così come le inquietudini presenti nella casa della libertà, con Casini e l’UDC sempre più alla ricerca di una nuova leadership nella coalizione, sono sintomi evidenti di una situazione in movimento tutta ancora da decifrare nei suoi possibili sviluppi e nei suoi ancora incerti esiti. Certo la luna di miele del governo Prodi, posto che sia mai cominciata, è già finita. Il capo del governo è cotto e bollito e nuovi scenari si apriranno a tempi brevi. Lapidario al riguardo il giudizio del vecchio Ciriaco De Mita, tornato agli onori della cronaca, dopo i lunghi silenzi seguiti alla tempesta giustizialista del ’94. Alla domanda del cronista del Corsera di fare un bilancio dei primi mesi del governo Prodi, così De Mita replicava: “Lo dissi già quando le apparenze erano serene: Prodi aveva la faccia troppo beata perché percepisse la complessità della situazione”. Per chi ben conosce la luciferina intelligenza del leader di Nusco non può che sottolineare il significato senza appello di questa sentenza: è una sentenza di morte annunciata, anzi peggio, di una vita mai vissuta.
 

don Chisciotte
 

dalla Mancha , 7 Ottobre 2006

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria