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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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01/05/2006

Sindacati al potere nel centrosinistra arraffatutto

Paese diviso in metà, ma tutto il potere in mano alla sinistra. Forse muore definitivamente la Prima Repubblica, sostituita da un regime? Don Chisciotte riprende le fila di un suo lungo percorso

   

Sindacati al potere nel centrosinistra arraffatutto

Con l’elezione di Fausto Bertinotti alla Presidenza della Camera e, quella più sofferta, di Franco Marini al Senato, si è concluso il primo round istituzionale del dopo elezioni.
Queste due elezioni rappresentano fisicamente la consunzione della classe dirigente della prima Repubblica di cui Bertinotti e Marini sono eredi, per molti aspetti, anomali e diversi. Se il sindacalismo, per la prima volta nella storia della Repubblica, celebra il suo trionfo inviando ai vertici parlamentari i rappresentanti delle due più importanti organizzazioni dei lavoratori italiani, in alternativa, l’uno, Bertinotti, a D’Alema e l’altro, all’inossidabile Giulio Andreotti, vuol dire che il tempo della transizione politica si sta consumando: fatti e uomini nuovi si affermeranno nel futuro prossimo del Paese.
Ritiratosi il presidente dei DS dalla corsa alla scranno più alto di Montecitorio, dopo che si era rivelato inattaccabile l’accordo siglato tra Prodi e Bertinotti, serie questioni si aprono all’interno del partito della quercia, dove la leadership di Fassino, già minacciata dal debolissimo risultato elettorale e dalla strage compiuta dei parlamentari uscenti non allineati, è ancor più duramente messa alla prova dall’infelice esito della corsa dell’ultima ora del leader Maximo.
Al Senato si è consumato quanto era nelle previsioni. Dopo un risultato elettorale come quello del 9 e 10 Aprile, la divisione a metà del Paese risulta nettissima a Palazzo Madama, dove, in assenza del premio di maggioranza previsto per la Camera, la strada del futuro governo risulta assolutamente impervia, al limite dell’ingovernabilità permanente.
Spiace che al non più giovane e a noi caro Franco Marini, alcuni “franceschi tiratori”, con la tecnica mafiosa dei pizzini, abbiano riservato un trattamento al limite della contrattazione da suk levantino, costringendolo a ben quattro contestatissime votazioni, durante le quali, il solito Scalfaro ha saputo riconfermarsi nel ruolo di parzialissimo arbitro presidenziale, in perfetta continuità con quanto aveva dimostrato nel suo infausto settennato al Quirinale.
Senza i voti anch’essi contestati degli italiani all’estero e quelli ancor meno politicamente giustificabili dei senatori a vita, sarebbe risultato difficile, se non impossibile, sfangarla all’erede del compianto Donat Cattin. E Marini, nel suo discorso equilibrato inaugurale non si è dimenticato di quei senatori d’oltre confine, grazie ai quali la sua elezione, alla fine, è arrivata.
Comprensibile soddisfazione di Prodi e dell’Unione che, adesso, dovrà fare i conti con i successivi passaggi: elezione del presidente della Repubblica e incarico per la formazione del nuovo governo.
Quanto al Colle più alto, Silvio Berlusconi è stato subito chiaro: nessun candidato di sinistra al Quirinale, pena la caduta in un regime e netta assicurazione di un’opposizione durissima e senza sconti in Parlamento e “ non solo in aula”.
Immediata reazione dell’Ulivo, preoccupato della minaccia del ricorso a forme di opposizione al di fuori delle aule parlamentari. D’altra parte cosa ci si può aspettare in una situazione politico parlamentare come quella uscita dal voto di Aprile? Esaminiamo i fatti:
a) con una manciata di contestatissimi voti (poco più di 24000 in pendenza di un milione di schede annullate e da verificare e di un ricorso per l’utilizzo degli oltre 40.000 voti di quei lumbard dissidenti che, con Fatuzzo e i suoi pensionati, hanno il grande merito della vittoria di Prodi-Pirro) l’Unione prevale nel voto alla Camera e ottiene in tal modo il premio di maggioranza; mentre al Senato, il miglior risultato della Casa delle Libertà, viene vanificato da un gruppetto di senatori eletti all’estero in maniera del tutto incontrollata e incontrollabile, oggetto anch’essi di contestazione e verifica;
b) il voto ha rappresentato, senza possibilità di equivoci, la realtà di un Paese diviso esattamente a metà, dopo un quinquennio di guida del Cavaliere in cui il centro-sinistra con tutti i supporters a destra e a manca non hanno mai dato il benché minimo sostegno o almeno un qualche timido riconoscimento;
c) un Paese in cui, il 25 Aprile gruppi di scalmanati con regolare rappresentanza in Parlamento, hanno potuto ripetere il tragico e, ahimè, profeticamente lugubre slogan: “ dieci, cento, mille Nassirya”, mentre in piazza a Milano, si bruciavano le solite bandiere israeliane e americane e si costringeva, tra gli insulti, Letizia Moratti con il padre, deportato a Dachau e medaglia d’argento della Resistenza ad abbandonare il corteo, nello stesso istante in cui, si inneggiava, con tragicomica incoerenza, a quel celebrato attore e discusso premio Nobel di Dario Fo, oggi leader della sinistra radicale milanese e ieri entusiasta repubblichino di Salò. La stessa Milano in cui un inqualificabile ex prefetto di polizia, cui la sinistra milanese ha affidato la sua rappresentanza, nega alla Moratti il diritto sacrosanto di partecipare, invitata dai sindacati, alle odierne celebrazioni del primo Maggio. Lui, che da prefetto riceveva nella sala nobile della vecchia caserma di Radetzky con camerieri in guanti bianchi, sarebbe stato ed è un “lavoratore”, mentre lei una “padrona”. E pensare che questo funzionario di carriera foggiano era stato inviato quale prefetto a rappresentare lo Stato a Milano ed oggi aspirerebbe a diventare, con queste idee, il primo cittadino della città ambrosiana…
d) siamo in presenza, infine, di un leader dell’Unione che, sin dalla notte del 10 aprile, continua con imbarazzante sicumera a proclamarsi certo della sua capacità di guida e di governo, sicuro della possibilità dell’autosufficienza e di tenuta di una maggioranza che, già dalle prime battute, ha rivelato invece tutta la sua pericolosissima instabilità.
Pensare che la Casa delle Libertà, dopo un voto tuttora in pendenza di verifica e di giudizio e, di fatto, non ancora metabolizzato, con la presenza pressoché dominante ed esclusiva del centro-sinistra in tutti i gangli istituzionali e non del Paese, non tema di cadere nel regime, solo a chi non vuol vedere e sentire può risultare incomprensibile.
Il passaggio dell’elezione del Capo dello Stato è, dunque, decisivo per ripristinare un minimo di ubi consistam tra i due Poli in cui si è drammaticamente divisa l’Italia. O si accetta il metodo di elezione di Ciampi (l’opposizione offre un rosa di candidati, tra cui la maggioranza sceglie il più gradito) oppure si va ad una rottura che, giocoforza, si trasferirà dal Parlamento nel Paese.
Dopo gli ultimi tragici fatti di Nassiriya e le tremende minacce di Al Qaeda con le trasmissioni radio televisive di Bin Laden, Al Zarkawi e Al Zawahiri, la corsa nucleare inarrestabile di un Iran guidato da uno psicopatico fascista islamico e con una situazione economica interna ed internazionale segnata dal prezzo del petrolio che galoppa senza freno verso i 100 dollari al barile, con un Parlamento considerato da oltre la metà degli italiani al limite della legittimità, continuare con la supponenza indisponente di Romano Prodi e pensare di chiudere la partita a senso unico, credo, sarebbe veramente tragico per l’Italia. È fondata la speranza che prevalga il buon senso e la ricerca di un equilibrio istituzionale coerente con la realtà effettiva del Paese, insieme alle ragioni e ad alcuni valori essenziali condivisi dai due Poli, senza cui tempi duri ed oscuri ci attendono.

 

Don Chisciotte
 

dalla Mancha, 1° Maggio 2006

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria