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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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09/12/2005

Tra illusionisti ed illusioni...

Mentre si favoleggia di illusionisti, si potrebbe fare la fine degli illusi. Ritorna sul sito Don Chisciotte della Mancha.

   

Tra illusionisti ed illusioni...

Aveva iniziato Pierferdinando Casini, alla convention al Palazzo dei congressi di Roma, domenica 27 Novembre, giorno in cui ha ufficialmente segnato il suo rientro a tempo pieno nel partito dell’UDC, sostenendo che : “gli italiani sono stanchi di illusioni e di illusionismi”.
Immediatamente, tutti i giornali schierati con l’opposizione (ossia praticamente quasi tutti i quotidiani italiani) hanno lanciato le loro grida contro il Presidente del Consiglio identificato nella persona oggetto degli strali di Casini.
Il Cavaliere era impegnato in Spagna in un incontro con gli altri capi di governo dei Paesi mediterranei per discutere di immigrazioni e terrorismo e, sollecitato dai giornalisti, si era limitato a sostenere di “non aver sentito le parole del Presidente della Camera”.
Puntuale, come da anni succede, il giorno dopo, Casini smentiva che il destinatario della sua filippica fosse l’On Berlusconi, mentre, intervistato in TV, il povero Giovanardi era costretto a recitare la favola che: no, non di Berlusconi poteva trattarsi, ma di quegli illusionisti di sinistra che da sempre, dall’epoca di De Gasperi in poi raccontavano e raccontano sogni e fiabe agli italiani.
Berlusconi aveva allora buon gioco a ricordare a questi giovanotti d’antan (i “perdigiorno della politica”, come aveva qualche tempo fa appellato Follini) che lui, non era certo l’uomo delle illusioni. Semmai era quello del fare e delle realizzazioni concrete (“Io sono un pragmatico, sono un concreto… Sono uno che fa quello che annuncia, sono un realizzatore…”). E cosi via almanaccando sulla puntuale applicazione di tutti i punti del famoso contratto stipulato con gli italiani, aggiungendo, con una stilettata al cianuro, che quei risultati li aveva ottenuti ”nonostante Follini e compagnia bella”….
Poteva non replicare l’ex segretario dell’UDC alla provocazione del Cavaliere? Neanche per sogno. Puntiglioso come sempre, la testa più lucida degli ex DC (che in questo ruolo sembra aver sostituito quella del vecchio e caro on. Giovanni Galloni) gliele mandava immediatamente a dire: “nella prossima legislatura molte cose sono destinate a cambiare” e, soprattutto, basta con le “leadership attempate”. Aggiungendo che, in ogni caso, “in questi anni sotto la guida di Berlusconi il centro-destra aveva perso consensi, mentre sotto la sua guida l’UDC aveva aumentato i suoi voti”(tie!).
Una promessa o una minaccia? Fatta da chi è in politica da assai più anni del Cavaliere, anzi lo è praticamente da sempre, sembra una minaccia da rivolgere, forse più legittimamente ai suoi coetanei politici, che al pur più anziano Cavaliere di Arcore. Ma è una minaccia di uno che da molto, troppo tempo, con indiscutibile coerenza sostiene una linea irrimedibilmente perdente per sé (e infatti , alla fine, si è dovuto dimettere) e, soprattutto, per il suo partito.
Esaminiamo i dati della situazione. L’UDC, nata dall’unione del CCD (nato dalla prima scissione del Partito Popolare) fin dall’inizio schierato con Berlusconi e Forza Italia, con il CDU di Buttiglione e soci (che ha vissuto un percorso assai più complesso e tortuoso), nella presente legislatura ha condiviso interamente, pur con qualche distinguo (pochi) e frequenti mugugni (forse troppi), tutte le principali decisioni del governo. Dopo i negativi risultati elettorali delle regionali ha voluto la crisi e il rimpasto di governo, inseguendo una “discontinuita’” che, alla fine, è risultata un’incompiuta, lasciando per le terre quel sottile e petulante segretario mandato in avanscoperta dal capo, senza che la truppa lo seguisse sino in fondo.
Grazie al mattarellum e al potere di condizionamento ex ante, aveva ottenuto uno spazio nelle rappresentanze parlamentari di questa legislatura assai più elevato della sua reale consistenza elettorale, oltre ad un ruolo istituzionale chiave per il suo leader effettivo, Casini. Questi, da quel pulpito, ha saputo dosare sapientemente interventi, toni e l’utilizzo mirato degli uomini in varie sedi, secondo un copione finalizzato soprattutto… pro domo sua. Insomma uno spazio e una politica che, sul piano tattico ed elettorale di breve-medio periodo, ha indubbiamente saputo dare alcuni frutti in termine di voti e di potere.
Poi si è richiesto il proporzionale e, sull’onda di sondaggi non proprio esaltanti, anche i restanti partners della coalizione, seppur con molta difficoltà (AN e una parte di Forza Italia) o come mezzo necessario di scambio (la Lega che, in cambio, ha chiesto e ottenuto piena adesione al suo progetto di riforma costituzionale) hanno consentito. E così, con l’adozione di un sistema proporzionale senza le preferenze, si è passati da una monarchia assoluta (i seggi e i collegi con il mattarellum venivano decisi sul tavolo di Arcore) ad un’oligarchia riconosciuta (i seggi e i collegi sicuri saranno distribuiti non più ad Arcore ma da ciascun capo partito al proprio interno). Non è cosa da poco ed anche Don Chisciotte, da sempre proporzionalista convinto, ha salutato con piacere questo parziale… ritorno al passato. Gli è che, senza le preferenze e, dunque, la scelta degli elettori, e con partiti che di democratico hanno assai poco nelle loro concrete vicende e regole interne, il risultato certo sarà che ci ritroveremo nei posti sicuri i candidati più fedeli ai capibastone dei partiti, senza nemmeno quel dosaggio che nella vecchia DC, le correnti riuscivano a garantire in un complesso giuoco regolato dal manuale Cencelli.
Ora ci si chiede: cosa vuole Follini? Ad occhio e croce, per quanto va sostenendo, un cambiamento di leadership se non proprio di alleanza. Se fosse vera la seconda ipotesi non si comprende perché non siano state compiute prima scelte di campo oramai fuori tempo massimo. Ed, inoltre, sarebbe assai difficile, anzi impossibile, sperare nel voto dei moderati contrari a Prodi e compagni dell’Ulivo. Ma, posto che si è riconfermata la fedeltà all’alleanza, si può andare ad una corsa elettorale attaccando quasi quotidianamente il principale alleato destinato a portare da solo la croce di una politica che pur si dichiara di condividere? Passi per la proporzionale e la situazione in cui “competition is competition”, ma, davvero, non ha insegnato nulla a questi stagionati giovani ex DC la storia del loro glorioso partito? In tutte le battaglie elettorali dal 1948 in poi (tranne l’infausta waterloo dell’algido Martinazzoli nel 1994) la DC ha sempre condotto le sue battaglie contro il suo avversario storico, il PCI, e, pur distinguendosi dagli alleati, non ha mai attaccato con gli attuali toni folliniani i leaders dei partiti con cui condivideva le responsabilità di governo.
Stiano attenti gli amici dell’UDC: scelto, come hanno fatto, un proporzionale senza preferenze, non potranno più farsi contare e premiare a monte, ma, inevitabilmente, saranno contati per quello che sapranno raccogliere con questa tattica a tre punte che la Casa delle Libertà ha, intelligentemente, adottato. Si ricordino quanto accadde al povero on. De Martino, segretario del PSI nel 1976, con la strategia degli “equilibri più avanzati”: scosse il pero, ma i frutti vennero raccolti dal PCI di Berlinguer. Qualcosa di analogo potrebbe succedere anche stavolta e, mentre si favoleggia di illusionisti, si potrebbe fare la fine degli illusi, vittime delle scelte tattiche e delle improvvide prese di posizione assai indigeste ai palati semplici degli elettori moderati cui si chiede il voto.

Don Chisciotte


dalla Mancha, 3 Dicembre 2005

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria