Dimensione del carattere 

Giovedì 16 gennaio 2025

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

Ricerca avanzata

07/08/2010

Berlusconi e Fini, che fare dopo la rottura

Intanto non si era mai visto un Presidente della Camera in carica convocare i suoi parlamentari per decidere la posizione di voto all'indomani, ma vi è anche il caso dell'appartamento a Montecarlo che non fa dormire sonni tranquilli ad un Presidente della Camera. E poi il Nord potrà stare ancora a guardare se la politica, invece di rispettare il voto popolare, continua con i giochetti di palazzo? Ne discute Don Chisciotte

   

Berlusconi e Fini, che fare dopo la rottura

E dopo la rottura: che fare?

Tra la sera di giovedì 29 e il pomeriggio di venerdì 30 Luglio si è consumato il divorzio tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini.

Si è posta fine, così, all’esperienza avviata con il congresso del Marzo 2009 nel quale si era sancita l’unificazione tra FI e AN con altri amici di provenienza democratico cristiana nel Partito del Popolo della Libertà, dopo l’accordo intervenuto alle elezioni politiche dell’aprile 2008.

Con un comunicato dell’ufficio di presidenza del Pdl di giovedì 29 Luglio, votato da 33 membri su 36, il premier Berlusconi ha sfiduciato il co-fondatore Fini, il quale, all’indomani, con una conferenza stampa all’Hotel Minerva, annunciava la costituzione dei gruppi parlamentari di “Futuro e Libertà” sia alla Camera dei deputati che al Senato.

33 deputati e 10 senatori si sono schierati con Fini, qualcuno di più di quelli che avevano stimato i suoi ex colonnelli passati con Berlusconi e dallo stesso Cavaliere.

Banco di prova il voto di sfiducia sul sottosegretario Caliendo di Mercoledì 4 agosto.

Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ancora iscritto al gruppo del Pdl, da capo partito, caso unico nella storia repubblicana, ha invitato gli esponenti del nuovo gruppo parlamentare componenti del governo a votare contro la sfiducia, mentre con i suoi gaulaiter, Conte, Bocchino e Granata spingeva per la formazione di un nuovo raggruppamento centrale o di “responsabilità nazionale”, come lo ha voluto denominare Casini, con Rutelli , UDC e i deputati del MPA.

Non si era mai visto un Presidente della Camera, che riunisce alla sera un gruppo di deputati che a lui fanno diretto riferimento, per concordare se e come votare all’indomani in aula.

Non si era mai visto un Presidente della Camera che, perduta ogni funzione arbitrale e notarile, ha assunto quella di diretta partecipazione al confronto parlamentare.

E, infine, non si era mai visto un Presidente della Camera entrare come Fini nel cono d’ombra di un’incredibile storia monegasca foriera di inquietanti sviluppi. Una storia che chiama in causa Fini, nel suo precedente ruolo di segretario di AN, una donazione offerta a quel partito da una nobildonna militante fascista “per la buona battaglia”, un appartamento a Montecarlo finito, attraverso operazioni di compravendita con società offshore al di fuori di possibili controlli fiscali, in locazione al fratello dell’attuale compagna dello stesso Fini.

Fatti tanto più inquietanti per un politico che si era fatto vindice di moralità e di richiami alla coerenza, quella moralità e coerenza che, adesso per quanto lo riguarda, vengono messe a dura prova dalle circostanze che stanno quotidianamente emergendo, dopo l’apertura formale di una inchiesta della Procura di Roma per reati di natura patrimoniale e penale contro ignoti.

Ci auguriamo che il Presidente Napolitano non mancherà di far sentire anche stavolta la sua voce, nel momento in cui è venuta meno in maniera così clamorosa la funzione arbitrale del Presidente della Camera. Un presidente che, volente o nolente, risulta, altresì, investito da una tremenda bufera sul piano politico morale e che dovrà fare i conti con i suoi ex compagni di partito.

Non condividiamo quanto sostenuto da Casini circa uno "squadrismo intimidatorio” contro Fini e riteniamo invece che Fini debba chiarire come si sia potuti passare da Gianfranco (Fini, depositario e titolare responsabile a nome del partito della donazione Colleoni) a Giancarlo (Tulliani, il fratello della compagna del presidente, locatario dell’appartamento donato ad AN).
Sarebbe meglio, a questo punto e in coerenza con quanto sin qui da lui sostenuto, che il Presidente Fini desse le dimissioni dalla terza carica dello Stato.

Ce n’è abbastanza, in ogni caso, perché il Paese abbia qualche ragione in più per condannare lo sfascio che l’iniziativa dell’on. Fini ha determinato, dopo oltre un anno di reiterate differenziazioni dalla linea del partito di cui fu cofondatore.

Una posizione di dissenso non solo da una linea, di per sé sempre compatibile all’interno di un corretto dibattito democratico, ma di attacco frontale e talora obliquo verso lo stesso partito, il suo leader e alcune rilevanti posizioni di principio su cui si fonda l’appartenenza ad un movimento politico facente parte del Partito Popolare Europeo.

Con il voto di Mercoledì 4 Agosto sulla sfiducia all’on. Caliendo, (299 contrari, 229 favorevoli e 75 astenuti) si è salvato un sottosegretario, ma si è perduta la maggioranza alla Camera. Di fatto il governo è virtualmente in crisi, anche se non esistono soluzioni possibili alternative, dato che al Senato permane una maggioranza Pdl-Lega difficilmente rovesciabile dai giochi dei soliti furbetti (Casini, Rutelli, D’Alema), tutti figli ed eredi dei partiti della Prima Repubblica.

Confermato l’accordo tra Pdl e Lega non si intravvedono ipotesi politico parlamentari in grado di rappresentare un blocco sociale, economico, politico e culturale espressione di una reale maggioranza nel e del Paese

Un Governo formato da Di Pietro, Vendola, Bersani, Casini, Rutelli e Fini solo per cambiare la legge elettorale contro il Pdl e la Lega: è questo che si intende realizzare contro la volontà della maggioranza degli italiani in base alla quale anche il gruppo dei finiani furono eletti al Parlamento? E dopo, che succede?

Davvero si pensa che al Nord, stanco di questo impotente balletto, non possa accadere nulla di nuovo? Attenti che alla fine, anziché la vagheggiata successione al tiranno dei Fini e dei Casini, non si finisca per creare le condizioni di una possibile secessione del Nord dell’Italia.

Si tenti pure a Settembre di ricostruire su basi rinnovate l’alleanza tra i partiti che vinsero le elezioni nel 2008, ma se ciò non fosse possibile, ai pasticci e alle ammucchiate incongruenti, meglio, molto meglio e quanto prima, il pronunciamento diretto degli elettori, cui soltanto appartiene la sovranità, al fine di verificare finalmente se sia possibile eleggere un Parlamento in grado di cambiare un sistema costituzionale vecchio e stantio, non più confacente con la nuova realtà italiana e internazionale.

 

 

Don Chisciotte

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria