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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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12/10/2009

Due lodi per un piccione!

Il Presidente del Consiglio vaga tra due stridenti contrasti: da una parte un crescente consenso popolare, dall'altra una parte della Magistratura e di Giornali-partito che lo vorrebbero infilzare. E da domani nulla sarà come prima

   

Due lodi per un piccione!

E pensare che i soliti tromboni della televisione e dei giornali partito gridavano al regime.
E’ bastato l’uppercut del magistrato milanese Raimondo Mesiano, che ha rifilato in poche ore al gruppo Fininvest il pagamento di 750 milioni di euro, quale risarcimento al “povero” Carlo de Benedetti per il lodo Mondadori e la successiva sentenza della Corte Costituzionale su Lodo Alfano, per riportare le cose nella cruda realtà. Non c’è un regime e semmai esiste il fondato sospetto di una persecuzione giudiziaria contro Berlusconi.

Una sentenza, quella sul Lodo Mondadori, che sta suscitando scandalo anche per molti imprenditori lombardi in rivolta contro l’Italia dei furbi e de “La Repubblica” dell’ingegnere svizzero.

Una sentenza, quella della corte costituzionale sul lodo Alfano, che ha aperto una frattura gravissima ai vertici delle istituzioni repubblicane.

Si direbbe, due lodi per un piccione: il presidente del consiglio, che qualcuno vorrebbe impallinato al di là del consenso elettorale che da quindici anni lo premia. Unico caso in tutta la storia delle democrazie occidentali di uno stesso leader che per tre volte vince e due volte perde, sempre confortato da un altissimo consenso di popolo.

C’è qualcosa che non funziona nel sistema istituzionale che, con l’annullamento dell’istituto dell’immunità parlamentare (1993) inserito all’art.68 dai Costituenti preoccupati di inserire uno strumento di garanzia tra rappresentanti eletti e magistratura, dal tempo di Mani pulite sta determinando un sovra potere della magistratura in grado di influenzare a comando la stessa vita politica.

Era già successo al tempo del governo Prodi con l’affaire della signora Mastella, finito miseramente nel nulla, arrecando un danno incalcolabile alla vita familiare e politica dell’amico Clemente e al suo partito, sino a determinare la stessa crisi del governo Prodi. E ancor prima, nel novembre 1994, quando il procuratore Borrelli, preannunciato dal Corsera, inviava a Berlusconi un devastante avviso di garanzia al tempo del suo primo governo durante la riunione del G7 sulla criminalità organizzata.

Se ricordiamo le parole di alcuni magistrati del pool di Mani pulite milanese, il Davigo che si riprometteva di “rivoltarlo come un calzino” e quelle dell’allora PM Di Pietro che si vantava: “quello lì, io lo sfascio”, non possiamo evidenziare che, tranne Gherardo Colombo e lo stesso Davigo, le cose stanno così: D’Ambrosio è oggi parlamentare del suo partito di sempre, PCI prima e ora PD. E Antonio Di Pietro è a capo di un partito sopravvissuto grazie all’incapacità politica di Veltroni, e punta ancora allo sfascio di “quello lì”, con l’appoggio di alcuni giornali-partito e di professionisti della comunicazione e dell’avanspettacolo naturalmente affannati a gridare al regime…

Non ho condiviso, anche se umanamente comprensibilissime, le prime reazioni del Cavaliere, specie quelle contro il Presidente Napolitano, anche lui vittima di un giudizio della Consulta, che non ha tenuto conto del precedente pronunciamento sul Lodo Schifani e sulla motivazione con cui Napolitano aveva controfirmato il Lodo Alfano.

Adesso si apre una nuova fase sia nei rapporti istituzionali che, in ogni caso, non saranno mai più quelli di prima e, soprattutto, nell’attività di governo. Si apre una fase nella quale il presidente del Consiglio dovrà mostrare il meglio di sé per onorare quel patto con gli elettori che resta la sua sicura e unica ancora di salvezza.

Opportunamente evitate rotture traumatiche, richiesta di elezioni anticipate e appelli alla piazza, sembra prevalere la ragione di un impegno che non è mai venuto meno e che ha saputo raccogliere, in tutta questa prima fase della vita del governo, un costante e crescente consenso popolare.

Oramai lo sguardo è rivolto ai temi della crisi economica, alla difesa dell’occupazione e ai prossimi decisivi rinnovi contrattuali, mentre si è già entrati nella fase preelettorale regionale, autentico giro di boa e momento di verifica di questa legislatura.

Consistente è la tenuta della maggioranza, anche se taluni episodi parlamentari di assenze ingiustificate, potrebbero richiedere l’introduzione di alcune incompatibilità tra incarichi di governo e parlamentari. E’ inutile disporre di una maggioranza di più di cento deputati alla Camera e di trenta senatori al Senato, se poi una cinquantina di questi sono impegnati nel governo con frequenti impossibilità di partecipare ai voti in aula.

Si dia immediata soluzione ai decreti attuativi del federalismo fiscale e si completi l’avviata riforma della giustizia, senza più indugi nell’approvare la definitiva separazione delle carriere tra magistratura inquirente e magistratura giudicante. Possibile che ciò che vale per il Parlamento europeo e di cui, a suo tempo si avvalsero gli Onn. D’Alema e Di Pietro, non si possa introdurre anche nel nostro ordinamento? Speriamo che il congresso del PD si concluda con la volontà di riprendere la strada del confronto, anche su questi temi, nell’autonomia di un partito sin qui etero guidato dall’esterno.

E per le regionali si apra un serio confronto con gli amici dell’UDC, appartenenti alla stessa famiglia del PPE e con i quali, ragioni di opportunità presenti e di prospettiva inducono a un generale reciproco ripensamento strategico.

 

 

don Chisciotte

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria