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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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24/04/2005

25 aprile? A Bad Godesberg!

Alcune considerazioni su una festività che dovrebbe essere fondante per la nostra storia repubblicana invece...

   

25 aprile? A Bad Godesberg!

Nel sessantesimo anniversario della Liberazione non sono state rade le voci critiche sul significato di questa festività. Il 25 aprile può essere ancora considerato la data che realmente esprime l’identità nazionale? E ancora. Se così non fosse ve ne sarebbe un’altra migliore?

Dibattito per niente astratto, visto che il 25 aprile, per molti italiani, finisce per essere sicuramente un’occasione di riposo, di svago, o d’altro ma non di riconoscimento in qualche particolare valore. Certo, ci sono le celebrazioni, gli omaggi ai caduti, le sfilate delle autorità. I più fortunati sentiranno le note della banda e gli eletti magari assisteranno anche all’esibizione delle Frecce Tricolori, ma il problema rimane. In Italia la “liberazione” tende, sempre più ad essere considerata una festa di alcuni (quanti siano è marginale), ma non di tutti. Festa che dovrebbe essere data fondativa della nostra Repubblica e della nostra Democrazia e che, invece viene vezzeggiata amorevolmente da alcuni e tranquillamente snobbata da altri. E, al massimo, molti la finiscono per considerare essenzialmente la data simbolo di partenza del nostro sistema politico.

Per troppo tempo, in realtà, la storia del periodo 1943-45 (ma più latamente dell’intero Novecento e del ventennio fascista) è stata sottoposta ad una ideologica tutela di parte, che ha finito per staccare i cittadini dalla loro stessa data di affermazione.

A sessant’anni da quel 25 aprile 1945 siamo ancora qui ad arrovellarci su quale contributo abbia effettivamente fornito la Resistenza alla liberazione del Paese, che maggioritariamente hanno condotto gli Alleati. O se pure gli sconfitti abbiano la dignità di sedersi al tavolo della storia, perché in qualcosa di valido credevano anche loro e sinceramente hanno combattuto. O, ancora, se qui in alta Italia si sia effettivamente combattuta una guerra di liberazione o una guerra civile, in cui l’obiettivo delle formazioni resistenziali di matrice comunista era quello di affidare almeno una parte del Paese all’influenza di Tito o di Stalin. O, in aggiunta, se il contributo dei cattolici sia stato decisivo oppure nominalistico e debba giustamente essere trattato come oggi viene ahimé affrontato (con sufficienza) dall’ufficialità storica affidata alle mani protettive dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione Italiano, che figlia fior di Istituti Locali sostenuti da danaro pubblico e che hanno il compito precipuo di riprodurre i paradigmi più volte dichiarati. O, ma tanto per seguitare con domande retoriche, come mai continui tuttora il mantenimento immutabile di una storia, senza portare coraggiosamente alla luce elementi nuovi o iperconosciuti, ma tranquillamente e sonoramente taciuti. Come mai, ad esempio, gente come Alfredo Pizzoni (presidente del CLNAI) o come Raffaele Cadorna (capo del Corpo Volontari della Libertà) sono oggi degli emeriti sconosciuti e i 35 mila soldati italiani morti in combattimento contro i tedeschi, i 78 mila che hanno perso la vita nei lager nazisti, dove furono internati oltre 600 mila militari italiani che rifiutarono di schierarsi con i tedeschi sono praticamente stati cancellati da quella storia ufficiale?

In Italia vive ancora l’interpretazione classista della lotta per la Liberazione e da lì a ritenere la Resistenza “tradita” il passo è breve. Altro che revisionismo!

Nel nostro Paese vige ancora l’espulsione dell’anticomunismo dall’antifascismo, per cui ciò che si oppone al comunismo è deliberatamente contro le masse operaie ed indebolisce per questo la democrazia.

Manca, in Italia, non tanto un movimento storicamente revisionista - ormai opere ce ne sono e anche un modello storiografico si è imposto - quanto una sorta di Bad Godesberg della Resistenza italiana, dal nome della cittadina della Renania dove i socialisti tedeschi, dopo il crollo dello stalinismo e l’intervento sovietico in Ungheria, decisero di disfarsi di Marx e di fare a meno del materialismo storico.

Ecco, mi pare questo il problema, i custodi della vulgata resistenziale devono decidere di lasciar cadere il loro approccio ideologico alla storia. Devono aprire menti e studi ad una memoria più diffusa e condivisa. Altrimenti ognuno andrà per proprio conto come già succede oggi e nei Consigli Comunali o Provinciali ci si fronteggerà a colpi di ordini del giorno tendenti a ribadire la bontà della lettura della storiografia marxista che si interseca con la storiografia comunista (cioè la lettura della storia economica con quella del movimento operaio). E magari a dichiarare che gli sconfitti, sessant’anni dopo non vedono ancora riconosciuta la dignità di aver partecipato alla storia. Anche dopo aver letto il “Sangue dei vinti” o altre opere similari, che avrebbero dovuto aprire le porte alla ricerca della verità e non ad un ulteriore accanimento verso la medesima. Pena l’autoconsunzione del 25 aprile nella memoria di un popolo.

Se la sinistra vuole avere la legittimità di guidare un Paese, penso che questo passo lo debba compiere.

Poi potremmo anche discutere se funzioni di più il 2 giugno o il 4 novembre come data simbolo dell’identità nazionale.

 

Piercarlo Fabbio

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria