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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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29/11/2004

Come cambia lo spazio politico locale

Intervento di Piercarlo Fabbio alla tavola rotonda Storie del Territorio: funzioni e scelte del governo locale

   

Come cambia lo spazio politico locale

A questo punto della tavola rotonda, dopo cioè che il sen. Riccardo Triglia ha tracciato il segno di un lento, ma inesorabile tramonto dei Comuni nel nostro ordinamento, non mi resta che affermare che aleggia su di noi, con arcana consistenza, la legge del contrappasso. Avendo i Comuni tentato di eliminare dal nostro ordinamento le Province, non poteva che essere un convegno organizzato da una Provincia a voler decretare il cupio dissolvi dei Comuni.

Al di là degli scherzi, dico subito che, pur comprendendo il lamento, non condivido il traguardo del percorso. Per una serie di ragioni. Intanto perché molte delle questioni poste dal sen. Triglia riguardano più da vicino territori come il Piemonte o come la Lombardia, ma sono assai lontane da una vera emergenza se si parla della Puglia, ad esempio.

Il problema dell’economia di scala dei pubblici servizi locali è centrale per tutti i Comuni italiani, posto in relazione con la qualità dei servizi erogati e con il loro costo, ma è drammatico solo per alcuni. Il Piemonte, ad esempio, con i suoi oltre 1200 Comuni sugli 8000 italiani, ha una densità di Comuni ben superiore ad altre Regioni. In questo contesto la Provincia di Alessandria, nominalmente 1/9 delle province piemontesi, con i suoi 190 Comuni vale quasi 1/6 per numero di Municipi. Si capisce perché questo problema, che da altre parti del Paese potrebbe essere letto come un mero fenomeno di congruità tra domanda ed erogazione dei servizi, qui in Piemonte assuma connotati più seri, ma consenta anche nuove forme di coesione fra Comuni, nuovi modelli associativi da esplorare e da testare su campo. Quasi che la nostra Regione possa diventare il territorio pilota su cui sperimentare le nuove frontiere della modernità istituzionale di cui anche il nostro Stato abbisogna.

Proprio da qui partirei, quindi. Dalla necessità di superare la battaglia dei principi sul federalismo e dal bisogno che ogni amministratore ha di garantire alle proprie comunità non solo una buona corresponsione di servizi, ma anche un efficiente funzionamento delle strutture istituzionali, alla luce delle novità imposte dal potere che promana “dal basso”. È, cioè, sussidiario e non semplicemente decentrato.

Ecco, superata la logica della disputa sui principi, quando si dovrà mettere mano a nuovi modelli di ordinamento della Repubblica, probabilmente ci troveremmo con strumenti superati dal dettato costituzionale, comunque inadeguati a rispondere al peso – lo scomparso amico Gianfranco Ciaurro, avrebbe detto “pondo” – e alla responsabilità di un potere proprio e non delegato.

Certo, oggi, viviamo ancora sulla tradizionale sponda dello Stato centralistico. La vigenza del corpus di leggi Bassanini ne è dimostrazione. Ma, se servisse ulteriore giustificazione, basti pensare alla non concretizzazione del disegno di riforma costituzionale della Parte II, Titolo V della Costituzione, di marca ulivista, che ormai ha pù di tre anni.

E da questa sponda, senza neppure tentare di bagnarci il piede nell’affrontare il guado, proponiamo formule di modernizzazione dello spazio politico locale, che, probabilmente potrebbero essere già obsolete nel momento in cui il disegno di Riforma Costituzionale attualmente in lettura parlamentare, dovesse entrare in vigore.

La necessità più universale è quella della modernizzazione dei modelli e delle forme dello spazio politico: della rappresentanza, delle relazioni istituzionali, degli strumenti amministrativi.

Cosicché i Comuni, formule più antiche di organizzazione delle popolazioni, finiscono per diventare l’avamposto del cambiamento, costretti a mutare prima di altri dalla loro vicinanza con la società in corso di modifica. Non è un caso che la riforma del sistema elettorale che ha portato all’elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti di Provincia avvenga più di un decennio prima delle iniziali avvisaglie che contraddistinguono il processo di innovazione degli organi di governo dello Stato in direzione di un premierato individuabile e stabile, nonché della rottura dell’attuale sistema a biparlamentarismo perfetto.

Da questo punto di vista, dunque, occorre accettare le sfide della modernità senza paura e, di buona lena, individuare e testare nuovi modelli di spazio politico, come poco prima dicevo.

Del resto che il Comune possa permanere proprio per effetto della sua identità radicata è un dato acquisito. Negli anni Novanta, dopo decenni di silenzio, è ripreso con lena il dibattito identitario, come radice culturale della Rivoluzione del Nord o della questione settentrionale posta al sistema politico dalla Lega. Bene – e qui il ruolo degli storici è divenuto indispensabile – ciò ha rinsaldato ancor più le comunità fra loro, individuando, laddove fossero sopiti, i cardini più ancestrali del vivere insieme. Per cui diveniva palese che nascere in Alessandria fosse diverso dal nascere a Crotone e che la casualità finiva per divenire causalità. Cioè elemento di appartenenza, di etnos. Paradossalmente il rafforzamento dell’identità diventava la miglior ragione per l’accettazione della multirazzialità a cui la nostra società si stava indirizzando. I Comuni, da questo punto di vista non si sono sottratti dal dirigere risorse economiche al settore.

Faccio solo un esempio. In sede ANCI particolare attenzione si è appuntata sui “viari”. Non solo l’elenco – cioè lo stradario – delle vie della città, ma soprattutto lo studio delle vite dei personaggi che stanno dietro alle iscrizioni.

In una parola la storia della civitas, attraverso le gesta dei concittadini illustri. In Alessandria, l’ultimo viario degno di richiamarsi a questa tradizione riscoperta in molte parti del Paese, è di fine Anni Cinquanta. Scritto dal sindaco Nicola Basile in carica dal 1947 al 1964, si intitola “La città mia”, e probabilmente avrebbe bisogno di essere aggiornato. E qui uno storico avrebbe più di una ragione per proporre letture, approfondimenti ed altro. Il viario diventerebbe un grimaldello per poter entrare nei più reconditi anfratti della storia cittadina.

C’è un’altra case-history che fa inclinare al valore della storia per la civitas: la questione della riscoperta dello stemma formalmente approvato della città di Alessandria. Esempio di come gli alessandrini, avendo inoltrato un disegno del proprio stemma alle competenti autorità, ed avendone avuta l’autorizzazione agli inizi degli anni Quaranta con decreto del Capo del Governo, con un disegno cambiato, continuassero ad utilizzare il loro, senza il minimo rispetto per quello che l’autorità a cui si erano rivolti aveva deliberato dover essere il loro. Ora stiamo usando quello deciso dal decreto, ma chissà che qualcuno non possa dirci che forse, pur sbagliato, è più legato all’identità lo stemma disegnato dagli alessandrini, in luogo di quello deliberato dai romani.

Scherzo per dimostrare come l’uso della storia potrebbe diventare una delle tante specializzazioni dello spazio politico. Oggi, in effetti, di una specializzazione hanno bisogno molte città. Non vorrei citare il tanto abusato caso di Nonantola, città dedicata alla cultura, ma è certo che, nel mercato delle città europee, molte di loro devono collocarsi scegliendo un settore. Oggi l’Europa della dematerializzazione produttiva, della retrocessione manifatturiera probabilmente dovrà tendenzialmente orientare il proprio parco città verso servizi avanzati alla ricerca e allo sviluppo. È un destino di trasformazione che segue il percorso della manodopera verso i paesi dell’Est Europa e dell’est del Mondo. Verso questa oggettiva dimensione, domani troveremo molti nostri Comuni, che potranno variare lo sviluppo dei loro servizi a secondo delle entità imprenditoriali che intenderanno attirare o che sono presenti sul loro territorio.

Sul versante degli strumenti ordinamentali, invece, ragionerei sull’insuccesso senza mezzi termini della norma – già contenuta dalla legge 142 nel 1990 – che consentiva la fusione fra Comuni. In Piemonte si è arrivati a buon fine con due fusioni, ed essendo la Regione che più ne aveva necessità, vi lascio capire quale simpatia abbia ispirato alle rappresentanze politiche tale facoltà.

La realtà è che vige una regola: la rappresentanza non può essere disgiunta dal potere che le è connesso. Ed è probabile che i futuri strumenti di relazione istituzionale (dalle unioni ai consorzi) dovranno partire da questo principio: un’associazione, di qualsivoglia formula, che neghi al Sindaco il proprio potere e, quindi, la concretizzazione della sua rappresentanza è destinata all’insuccesso, pur se esistono condizioni economiche e storiche che orientano a tale dimensione. Penso che Ezio Guerci, che mi seguirà nell’intervento, potrà accentuare questo passaggio.

E, su un terreno di democrazia della collegialità, modelli e forme che finiscano per creare condizioni favorevoli alla monocrazia, pur in una democrazia della collegialità dichiarata, finiranno pure questi per essere messi in crisi dalle tensioni fra organi collegiali ed organi monocratici.

Un Sindaco, oggi, partecipa all’Assemblea consortile (ma anche a quella degli azionisti di una SPA) potenzialmente senza renderne conto al Consiglio in termini di orientamenti ed indirizzi. Questo stato di fatto finisce per creare tensioni fra organi democratici e a generare rallentamenti nei sistemi decisionali, laddove avrebbero dovuto invece dar vita a una maggiore velocità dei processi. Quando addirittura non è causa di decesso di un’istituzione per effetto delle conseguenze politiche di atti pienamente leciti in termini di relazioni industriali, tanto per fare un esempio.

Occorre dunque una grande occasione – e il federalismo lo è – per formulare una riforma del sistema degli spazi politici locali, che tenga conto di aspetti tra loro molto legati, ancora irrisolti e radicati nel tempo. Da questo punto di vista lo Schedario Storico Territoriale dei Comuni Piemontesi, che ci ha presentato la dott.ssa Paola Pasetti diventa un indispensabile strumento di conoscenza delle diversità e degli interessi che tali differenze hanno generato nel corso del tempo e che oggi, magari, condizionano le relazioni istituzionali.

 

Piercarlo Fabbio

consigliere nazionale ANCI

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria