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Intervento sul
Bilancio stabilmente riequilibrato 2012 – 20 dicembre 2012
Capogruppo PDL:
Piercarlo Fabbio
Pensavo, nel valutare
questo bilancio di previsione e il biennale conseguente, di poter parlare,
discutere, dibattere sul futuro della città, degli strumenti per farla uscire
dalla crisi e dallo stato contabile che sta vivendo, di come favorire i nostri
concittadini, di come fornire loro servizi migliori – non necessariamente
erogati dal Comune e dalle sue partecipate – di come liberare risorse dalla
tenaglia di una Pubblica Amministrazione che sembra sempre più un’idrovora di
risorse, anziché un aiuto per la comunità e le sue famiglie.
Da questo punto di vista la riflessione fatta dalla sindaca sulla politica mi è
sembrata un’apertura, certo, ma fatta su strumenti relativi, in quanto privi di
fini, di scopi: la partecipazione, la trasparenza, la forza delle idee sono
tutti fattori condivisibili, ma occorre orientarli a qualcosa. Non possono
essere fini a se stessi. Che servirebbero alte dosi di partecipazione, se non si
intendessero, tramite quella, intesa come strumento, raggiungere più alti
livelli di efficienza del sistema comunale, minori spese per il suo
mantenimento, maggiore libertà di utilizzo di risorse proprie da parte delle
famiglie, minore pressione tributaria? Probabilmente anche questo sforzo, non
coniugato agli obiettivi, verrebbe letto come l’ultimo, più sofisticato inganno
della politica alla gente, perché di per se stesso costoso ed inutile.
Prelievo
tributario insostenibile
Il documento che
stiamo valutando propone un fiscal drag incredibile. Si passa dai 44 milioni di
prelievo tributario del 2011 ai 69,6 del 2012. Lo Stato si è forse ritirato
dalla fiscalità in proporzione al nostro aumento? Lo Stato addirittura usa il
veicolo dei Comuni per rimettere in sesto i suoi conti, ma così facendo aumenta,
anziché diminuire il suo “prezzo”.
Ora è chiaro che se leggete, alla luce di questo ragionamento, il nostro
bilancio nel contesto ove si costruisce, non potete che comprendere come le
nostre difficoltà finiscono per annegare nella crisi generale e come sia vacuo
per i concittadini sentirci discettare di colpe, di conti, di ingegnerie
ragionieristiche, di termini incomprensibili ai più, senza che neppure una di
queste parole possa alleviare la loro sofferenza e il loro progressivo
impoverimento. Non si è mai realizzato l’assioma che una società sia ricca,
laboriosa, creativa, fantasiosa, solidale se le sue istituzioni pesano troppo
sull’economia di comunità e su quella familiare.
Comune più leggero
e meno costoso
Noi siamo arrivati
qui, e da qui occorre recedere. Il Comune di Alessandria non deve dimagrire
perché vive una stagione di difficoltà contabile, ma perché è diventato
indispensabile farlo. E purtroppo, al di là della necessità di star dietro alle
norme e alla sua applicazione, non vedo questo fenomeno realizzarsi. Non vedo
una convinta azione dell’esecutivo verso il raggiungimento di un obiettivo di
welfare diverso, ma sempre alto e qualitativamente necessario, quanto invece la
necessità di adattarsi a ritmi, tempi, modi dettati dalla tecnocrazia e non
dalla società.
Da questo punto di vista la politica – più volte chiamata in causa come se fosse
demiurgica alla sola acclamazione – parte sconfitta.
Tutti ci rendiamo conto di stare ad approvare un atto inutilizzabile, che sarà
efficace a metà 2013, mentre doveva costituire la nostra programmazione per il
2012. La politica è stata così spogliata della sua forza più energica, cioè
quella di poter dire alla gente quante e quali risorse, tra quelle da incassare,
avrebbero potuto essere dedicate ad opere e servizi. In questo clima di
emergenza continua, di disastro più volte annunciato, anziché alimentare la
speranza, si è preferito cavalcare la propaganda e gli effetti sono assai
lontani dai numeri. La spesa nel 2012, in realtà è pari a 107,6 milioni di euro,
più alta che nel 2010 di 6 milioni e allineata a quella del 2011. Il risultato
della spending review finora realizzata è un misero -0,83%, il che mi fa pensare
che si è più detto che fatto.
Peraltro, in un contesto del genere, nulla è disturbato dalla gestione dei
residui, che afferiscono totalmente, almeno in questo primo anno post 2011, alla
gestione dell’OSL (Organismo Straordinario di Liquidazione) che andrebbe fin
d’ora alimentato da plusvalenze da investire in risanamento del debito.
Il caso Amag
Su ciò abbiamo
discusso entrando debitamente nel merito dei piani di alienazione degli immobili
e delle immobilizzazioni finanziarie, scoprendo peraltro di potere fare scelte.
Addirittura potrei dire, tra immobili da vendere e da non alienare e tra società
da considerare strategiche, parzialmente tali o inutili al business comunali. Su
Amag si gioca una significativa parte del destino del nostro debito, ma
suggerirei di evitare di svendere la società. In questo momento, con l’aggiunta
del settore energetico, appare ancora in grado di espandersi, ancorché occorra
un manager che ne regga le sorti. Troppo in fretta ci si è sbarazzati della
passata presidenza, senza forse ragionare con calma sul fatto che la politica di
per se stessa non può, per definizione, risolvere i deficit di professionalità
degli uomini.
Amag, per esempio, è stata uno degli attori che ha consentito di svolgere
investimenti importanti nei trascorsi cinque anni in questa città.
Investimenti ed
indebitamento a medio termine
Mi dispiace
contraddire chi ha valutato le nostre politiche anticicliche come basate sulla
parte corrente. Non tragga in inganno il fatto che si è stabilizzato (è in calo
dal 2011) l’indebitamento a medio/lungo termine – ora a 138 milioni – e che
godrà ancora per i prossimi due anni dell’impedimento a contrarre mutui del calo
fisiologico dovuto al pagamento della quota capitale, perché vi è da sviluppare
un ragionamento. Abbiamo ereditato un trend di crescita dell’indebitamento pari
a circa 70 milioni in cinque anni e lo restituiamo stabilizzato. Questo ci ha
comunque consentito di sfruttare la dinamica abbattimento quota capitale/trend
debitorio, lasciandoci margini di investimento comunque importanti. A ciò
aggiungete che le alienazioni e le concessioni hanno prodotto entrate
straordinarie per 45 milioni di euro e che il sistema delle partecipate ha
concorso alle politiche anticicliche, ovviamente basate sul conto capitale. E
diversamente non avrebbe potuto essere.
Mi pare dunque perlomeno avventata la dichiarazione che non si è fatto nulla per
questa città negli anni precedenti. Lo stock di investimenti è stato tale –
circa 160 milioni di euro – da non trovare pari in amministrazioni precedenti.
Ma non sono qui per farmene vanto. Non avrei neppure toccato l’argomento se non
fossi stato sollecitato, se il dibattito non fosse stato indirizzato verso
parole d’ordine che rischiano di impoverirlo in verità ed in adesione alla
realtà dei fatti.
Sono d’accordo invece sull’affermazione che occorre “liberare risorse per lo
sviluppo”. Ma affinché la dichiarazione non sia meramente nominalistica occorre
che l’esecutivo ci indichi il come e dove. Io non penso si possa sempre sperare
nell’aiuto romano o delle filiere politiche amiche. Occorre che ci si rimbocchi
le maniche e che ci si muova al più presto per aiutare quello spirito di rivalsa
e di ripresa che mi pare di leggere nei visi, negli sguardi e nei ragionamenti
di molti concittadini. Piangersi addosso non ci appartiene. Quando parlo di
alessandrinità (un’araba fenice di cui siamo sempre alla ricerca, ognuno a modo
suo), intendo riferirmi a questa forza e a questo trascinamento che non potrà
non contagiare anche il Palazzo, pur invischiato in questa sua indecisione tra
politica e burocrazia.
Bilancio
irrealistico
Del resto il bilancio
che abbiamo di fronte, già nel suo schema – sarà necessitato, non intendo
criticarlo – ci appare figlio dell’irrealismo. Quale Consiglio Comunale ha
adottato un bilancio di previsione, da – addirittura – modificare in aumento o
in diminuzione per giungere alla previsione assestata? Nessuno e quindi questo
conto in realtà non c’è. Vive nella carta, ma non è un prodotto della politica.
E non so neppure se la “politica possa dare un senso ai numeri” o se invece
dovrebbe dar senso alla realtà e da questa ricevere significati. Ciò che non
appare dall’architettura formale del bilancio.
Ritengo un obiettivo ambizioso – a normativa costante – rientrare nel patto nel
2014, ma comprendo la sfida. E’ il risultato di una prima iniezione di speranza:
un obiettivo c’è, anche se ciò che è scritto sulla carta con riferimento ai
bilanci 2013-2014 si raggiungerà solo a costo di grandi sacrifici.
Qui infatti appare ben stagliato che il grosso del taglio della spesa avverrà su
due versanti: il personale e la prestazione di servizi. Non so se basta il
blocco delle assunzioni, peraltro in atto da tempo, e il blocco del turn over
per raggiungere in due anni un abbattimento del 22% sulle spese del personale,
cioè circa 6 milioni in meno sugli attuali 27; e se sarà sufficiente
l’esternalizzazione al mercato di immobilizzazioni finanziarie o l’aumento dei
canoni concessori verso e dalle partecipate. Occorre saperne di più per dare
credibilità al risanamento e al riposizionamento della spesa. Peraltro questa
volta l’organo di revisione non ha individuato i capitoli maggiormente
determinanti la spesa e i tagli della stessa. E’ una procedura iniziata nel
passato che consente di meglio comprendere le modalità con cui l’esecutivo vuole
lavorare. Se questa volta il tempo a disposizione è stato strettissimo -
certamente in controtendenza con quanto affermato dall’organo, cioè che sia
stato pienamente rispettato il Regolamento di Contabilità, che invece sui tempi
è stato violato - non posso accettare che in un’ulteriore occasione possa
continuare il richiamo alla straordinarietà come scusa da parte della Giunta.
Anzi occorrerà recuperare la procedura di individuazione e di scansione dei
capitoli, che chiedo, per migliore comprensione di tutti, che l’organo di
revisione assuma come metodo di lavoro. Chi oggi si assumerà la responsabilità
di votare questo documento deve essere rassicurato da dati certi, anche puntuali
e non solo da quelli di sintesi che, peraltro, potrebbero anche, in termini di
interpretazione, portar loro fuori strada.
Il valore della
politica
Non sono peraltro –
al termine di questo intervento – rimasto sordo alle dichiarazioni della
sindaca, quando sostiene di “essere disposta a non far prevalere gli elementi
del contrasto”, ma che occorre “lealtà”. Intanto sarà necessario decidere chi
misuri la lealtà e che cosa si intenda con tale parola. Avere idee ed opinioni
diverse – al di là della mera elaborazione del lutto del dissesto – e
dichiararle ove si ha voce per farlo è lealtà o scorrettezza, slealtà, falsità?
Non chiedo un giudice, me ne avete già dati troppi, ma la capacità di
autoregolarci nei rapporti. Ne va del bene della città prima ancora che del
sistema politico locale, che vive solo se in grado di servire e non di voler
essere servito. Ci si provi e si valuti se tali atteggiamenti riescono meglio a
soddisfare i concittadini, del resto chi vi parla preferisce il ragionamento
alle urla, la riflessione alle grida, l’individuazione di motivazioni che
reggano e sostengano le proprie idee, piuttosto che la travolgente passione
delle parole in libertà.
Un’ultima annotazione per Giancarlo Cattaneo, amico da un quarantennio e che
dimostra come il pensarla diversamente non sia un ostacolo alla stima. Non è
infatti il coraggio di scelte impopolari ad essermi mancato, ma il tempo (e
questo Cattaneo lo sa): il secondo mandato ci era necessario; i cittadini
sovrani hanno deciso diversamente e il coraggio lo devono mettere altri. Non è
chiesto più a noi, che abbiamo un unico coraggio da porre in essere: difenderci
dalle menzogne, dalle bugie da cui veniamo colpiti. C’è altro: dobbiamo avere il
coraggio di esprimere le nostre opinioni sul futuro e sullo sviluppo della
città, senza che ci sia negata la dignità di farlo.
Questo lo ritengo il nostro contributo, la leale collaborazione che ci è
richiesta e alla quale intendiamo convenire.
Mi scuso se
l’intervento possa essere parso ad alcuni come un discorso di altri tempi, ove
non si perdeva troppo tempo nella polemica, ma si occupava quello a disposizione
per raccontare al meglio le proprie idee. Un tempo in cui si prendeva il via da
un concetto: che il rivale, l’avversario e non il nemico, partisse dalla buona
fede, specie nei momenti più difficili della nostra storia.
Piercarlo Fabbio
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