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Intervento Sindaco
Piercarlo Fabbio - Conferenza Programmatica
Città della Crescita: Economia e Sviluppo
- 17 maggio 2010 -
Se vi ricordate, dopo
la nostra elezione nel giugno 2007, il percorso di definizione del Programma di
mandato non è stato quello che tradizionalmente viene utilizzato dalle
Amministrazioni, cioè la trasformazione sic et simpliciter del Programma
elettorale in Programma di mandato.
Abbiamo sottoposto il Programma di mandato ad una verifica con quelli che noi
abbiamo chiamato gli stakeholders, i portatori di interesse della nostra
società, al fine di poter offrire al Consiglio Comunale, per il voto definitivo
- ciò avveniva nell’estate 2007, l’adozione definitiva avvenne nell’autunno del
2007 -, un documento che non fosse la mera trasposizione del Programma
elettorale.
Così è avvenuto, grazie anche agli apporti e ai contributi che voi avete voluto
rilasciare in termini estremamente intelligenti, trasformando, di fatto, il
programma di una parte politica, pur vincitrice delle Elezioni, in un programma
di respiro maggiore.
A metà del mandato, che è caduta nel novembre-dicembre dello scorso anno, ma che
trasportiamo idealmente al 30 giugno di quest’anno, perché tale è il vincolo che
lo Statuto ci offre, c’eravamo riproposti di verificare se il documento reggesse
all’impatto del tempo e all’impatto della nostra capacità di fare
amministrazione, se eravamo stati in grado di raccogliere le indicazioni del
Programma e trasformarle in realizzazioni in città, se occorreva avere un
respiro diverso.
Tutte queste cose ci hanno fatto pensare che fosse il caso di aggiornare la
Conferenza Programmatica e, quindi, l’incontro con gli stakeholders ad un
livello nuovamente di assemblea e lo abbiamo fatto.
Certo, il lavoro, tendenzialmente, è meno pesante di quello che si è avuto
nell’estate del 2007, perché riguarda solo alcune modifiche che noi abbiamo
apportato al Programma - in termini di proposta, non ancora in termini di
decisione -: ci confronteremo con voi, con le vostre proposte, probabilmente
integreremo questo lavoro e lo offriremo nuovamente al voto del Consiglio
Comunale che, quest’anno, quindi, non avrà solamente la relazione da parte del
parte del Sindaco sullo stato dell’Amministrazione, ma anche un ulteriore
passaggio, la votazione di un maxiemendamento – lo abbiamo chiamato così da
tenere in un’unica votazione, in un unico ragionamento, tutti i temi – al
Programma di mandato. Questo maxiemendamento modificherà il Programma di mandato
e gli darà il respiro necessario per i prossimi due anni.
Ma, se ci fossimo fermati lì, probabilmente avremmo sbagliato, avremmo fatto
solo una parte delle cose che ci eravamo ripromessi.
Il problema era come dare respiro al Programma oltre i due anni di mandato che
dobbiamo ancora affrontare, o come, se voi volete, calare il medesimo Programma
dentro un disegno della città che si sta costruendo.
Molti di voi, moltissimi di voi, partecipano al Piano Strategico. Si chiama
Alessandria 2018 ma, in realtà, il respiro temporale è più ampio. Come
trasferire una parte di quel respiro già nel Programma di mandato è stato uno
dei temi interessanti; come, per esempio, il Programma di mandato possa essere
un abstract di un lavoro che le forze politiche potranno fare, nel loro
complesso, per le prossime Elezioni del 2012 e, cioè, come si possa prendere la
fotografia dell’esistente, la prospettazione della speranza nel futuro, e
trasformarle in proposta politica alla cittadinanza affinché da questa farsi
valutare.
Da questo punto di vista l’Amministrazione ha un carattere più asettico di
quello che ha attraverso il Programma di mandato ove una maggioranza fa
prevalere la sua idea. Il lavoro del Piano Strategico è un lavoro per tutti, per
tutti coloro, certo, che si vogliono riconoscere in quell’idea di città, in
quella forma di città, in quello sviluppo di città, in quella crescita di città,
in quella considerazione di elementi contributivi alla città, in quella verifica
di coloro che sono i protagonisti del presente e del futuro di questa città.
Per questo il maxiemendamento sarà anticipato da un corposo lavoro, una
quindicina di cartelle, di correlazione tra i temi essenziali del Piano
Strategico e quelli del Programma di mandato.
Aggiunto a questo lavoro, il “Bilancio sociale e di genere” di metà mandato.
Normalmente lo si fa annuale, ma visto che l’occasione è ghiotta, tentiamo un
consuntivo di metà mandato: lì si potrà vedere quel che si è fatto, quello che
non si è fatto, come lo si è fatto, come hanno lavorato gli organi, come hanno
funzionato, quante Delibere hanno assunto, quante riunioni hanno fatto…
E poi, i temi interessanti: che realizzazioni si sono avute sulle singole
questioni.
Noi manteniamo, ovviamente, sempre, anche per evitare una codifica diversa in
termini di linguaggio, la struttura documentale originale: la Città dei valori,
la Città delle libertà, la Città della semplicità e la Città delle opportunità,
andando a definire le altre città concrete che avevamo individuato all’interno
del Programma di mandato.
Oggi la Città della crescita, poi la Città della persona e della famiglia, la
Città attraente, la Città democratica, la Città semplice e la Città delle cose.
Abbiamo mantenuto questa struttura, perché anche voi avete lavorato sulla
medesima e non era il caso di cambiarla.
Nel bilancio di mandato – siamo ad una bozza che è diffondibile, anche se non
definitiva, perché è bene che tutti diano un’occhiata prima di licenziare la
versione finale per vedere se non ci siamo dimenticati qualcosa e, soprattutto
se, avendolo fatto dal punto di vista dell’Amministrazione, non c’è
un’evidenziazione eccessiva di alcune cose rispetto alle altre – troverete la
fotografia di quello che è successo in questi due anni e mezzo: avrete, voi, la
possibilità di connettere le prospettazioni del Programma di mandato con le
realizzazioni effettivamente svolte.
Per quanto riguarda il maxiemendamento, è chiaro che la sezione “Città della
crescita” ha avuto un forte impatto anche in termini modificativi.
Ci sono moltissime questioni, per alcune delle quali entrerò adesso nel merito.
Per esempio, quando si parla – cosa abbastanza marginale nel contesto generale,
ma che dimostra come si è lavorato – della Villa di Marengo, cassiamo tutta la
parentesi sul marchio storico della Città e il rafforzamento della Statale 10,
che è avvenuto non a nostra cura, e inseriamo che attiveremo una collaborazione
con la Provincia sulla questione di Villa Marengo: qui si apre, ovviamente,
tutta una serie di discussioni: qual è il marchio della Città? Certamente è la
Cittadella (di cui ricordo che noi siamo custodi, non proprietari), e alcune
cose convenzionalmente ci vengono obbligate dall’Agenzia del Demanio, altre le
facciamo di nostra spontanea volontà perché riteniamo, come moltissimi
concittadini, che la Cittadella sia un elemento proprietario della città, nel
senso che molti concittadini la vedono come una restituzione di un quartiere
alla città (vi ricordo che prima del 1728, lì, vi era un popoloso quartiere,
Bergoglio, che, probabilmente, in quel tempo registrava già un 10-12.000
residenti , di fatto, poi trasferito entro Tanaro). La riespansione verso la
Cittadella che, dopo 200 e più anni di occupazione militare, ritorna a essere
utilizzata per scopi sociali è una di quelle questioni che il Consiglio Comunale
ha già visto, con un proprio documento di indirizzo, che la Giunta tutti i
giorni cerca di concretizzare, che alla gente cerchiamo di evidenziare
attraverso tutta una serie di eventi che possano attirare alla conoscenza della
Cittadella stessa. Rimane sempre un problema: quando si allarga la città, come
collegare i nuclei commerciali con quelli di attrazione positiva, come nel caso
della Cittadella o della Valfrè, che sono un po’ disassati rispetto alla
crescita commerciale della città, in quanto hanno avuto genesi completamente
diverse.
Abbiamo lavorato su sulla logistica di città che abbiamo sostanzialmente
cassato, ma abbiamo aggiunto un qualcosa che nel 2007 non era così chiaro, era
un po’ nebuloso: c’era l’indirizzo generale in termini di aree ma non quello
sulla gestione di un’area, che ora si è concretizzato, cioè l’utilizzo del sito
di San Michele, quella di proprietà dell’Amministrazione comunale, parzialmente
venduta, dove si andrà a definire un’area produttiva con orientamento logistico.
A quel punto, anche la logistica di città, cioè la logistic city, diventa uno
degli elementi di nostro interesse.
Fate conto che ci troviamo di fronte ad aree di grandissima dimensione per le
nostre zone e non potete pensare che si possa realizzare il tutto in brevissimo
tempo anche per la indisponibilità di capitali privati da mettere su quelle
aree, nonostante quelle aree siano collegate perfettamente con il grande sistema
viario italiano.
Posso farvi qualche correlazione.
L’Interporto di Torino-Orbassano è nato a fine anni ’70. Negli anni 2008-2009
erano stati urbanizzati circa 2 milioni di metri quadri. Il complesso
dell’Interporto, nell’idea che lo reggeva negli anni ’70, era di 2,7 milioni di
metri quadri: ci vogliono, dunque, decine di anni per poter urbanizzare e
costruire su aree così grandi alle nostre latitudini.
È chiaro che oggi gli spazi dell’impresa si sono dematerializzati, i processi
produttivi a cui noi pensiamo sono quelli finali di esternalizzazione da parte
dell’impresa, alcuni collegati al trasporto, altri, come in questo caso, alla
logistica di città: è netta, chiara, la questione che ci vorrà un poco di tempo,
nonostante i privati, rispetto al pubblico, abbiano una velocità maggiore per
certe questioni. Per altre no: è notorio che i privati intervengano laddove
vedano la possibilità di costruire un reddito e che, molte volte, un ente
pubblico interviene laddove invece veda la possibilità di costruire un volano
economico e sociale: sono due cose completamente diverse. Del resto un
masterplan che preveda un reddito economico è diverso da un masterplan che
preveda un reddito sociale.
Direi che l’intervento di maggior pregio del maxiemendamento e della Città della
crescita, l’abbiamo fatto sulla questione universitaria che doveva essere messa
in ordine, partendo dalla disponibilità di spazi ma anche di temi. Io ho
affrontato, per la prima volta, in un Convegno all’Università, questa gamma di
possibilità. Ce n’è una di tipo strutturale, che passa attraverso il riutilizzo
– non la sto a spiegare nella peculiarità – della Caserma Valfrè, che sta per
essere acquisita al patrimonio comunale (siamo in fase di definizione delle
pratiche di pagamento della struttura, quindi, di fatto, la possiamo dire
acquisita al patrimonio comunale).
Dentro alla Terza variante urbanistica che la Giunta ha licenziato - e che andrà
in adozione definitiva al Consiglio Comunale quando verrà collocata all’Ordine
del giorno, presumibilmente fra una quindicina di giorni; seguirà un’ulteriore
Conferenza di pianificazione, e verrà approvata definitivamente dal Consiglio in
autunno – ci sono le destinazioni d’uso delle strutture utilizzate nel passato
dai militari che non avevano normazione e la Valfrè viene divisa in tre parti,
sostanzialmente simili. Una parte residenziale-commerciale, una per pubblici
servizi, una per area verde. Nella parte per pubblici servizi abbiamo pensato
che il portale dell’Università, annegato in una grande area verde, fosse un
elemento da tenere in considerazione.
Lo stiamo proponendo all’Università, ritengo che sia un ragionamento da doversi
fare; c’è una Commissione tecnica che sta valutando tutti gli aspetti anche più
puntuali dell’operazione, e riteniamo, però, di essere in grado, una volta
acquisita la Caserma Valfrè, quindi a giugno, di poter, nel caso Edisu volesse e
vi fosse la disponibilità della Facoltà di Giurisprudenza, arrivare a definire
un quadro complessivo di disponibilità di immobili e anche il tempo reale per la
disponibilità di detti beni: alcuni immediatamente – un’ala, per esempio, della
Valfrè – alcuni, magari, più avanti nel tempo per effetto di trasformazioni che
potrebbero arrivare in quell’area, sempre se riscontriamo la disponibilità da
parte dell’Università.
Dal punto di vista, però, delle questioni strategiche, ve ne sono alcune che
devono essere illustrate.
Noi riteniamo che sia il caso di pensare a una questione di, se mi consentite il
termine anche se non è giusto, ‘espansione’ delle nostre tre Facoltà dell’Ateneo
in Alessandria.
L’espansione dovuta anche alla collocazione strutturale, la visibilità della
collocazione strutturale dell’Università è importante per la città. La città
deve poter vedere l’Università, l’Università deve potere vedere la città.
Deve, in qualche modo, essere hardware, deve, cioè, essere toccata prima ancora
della grande intelligenza del software che vive all’interno di quelle strutture
e di cui certamente la città dovrà riappropriarsi sempre più nel futuro.
Ma ritengo che una delle azioni da sviluppare sia proprio quella di dare un
aiuto all’Università in termini di risorse affinché i corsi possano essere il
più il possibile attraenti ma anche il più possibile correlati con le necessità
del territorio.
Ed è una caratteristica di successo dell’Università quella di essere collegata
al territorio.
La terza questione - intendendo la prima quella strutturale e la seconda
l’appoggio in termini economici alla didattica - riguarda il progetto che noi
abbiamo già più volte correlato e riaggiustato e che ormai chiamiamo “Cittadella
della conoscenza”, intendendo, con questo, verificare l’opportunità di dotare il
territorio di un centro in grado di erogare servizi a pagamento per il mondo
delle imprese.
Se il primo era un supporto alla didattica, il secondo diventa un appoggio
forte, un co-protagonismo nel mondo della ricerca.
La ricerca, del resto, ha molti aspetti (abbiamo già approfondito questo tema):
può essere ricerca di processo, di prodotto e, l’abbiamo più volte detto,
secondo noi l’Ateneo Avogadro ha le carte in regola su questo, però ritengo che
viaggi in parallelo anche il Politecnico che, certamente, ha ridotto la sua
presenza in Alessandria dal punto di vista della didattica, ma la vuole
mantenere dal punto di vista della ricerca, e su questo piano è giusto
coordinare le forze in campo, proprio nell’ambito della ‘Cittadella della
Conoscenza’.
Anche qui, dal punto di vista strutturale, c’è una modifica. Quando abbiamo
iniziato ad amministrare questa città, i nostri predecessori ci avevano
consegnato un bel progetto, quello della trasformazione dell’ex Mercato
ortofrutticolo in un’area, in una struttura per l’Università. Purtroppo le
questioni che ruotano attorno a questo progetto sono tantissime: avevamo cercato
di svilupparlo, però congiunture nemmeno preordinabili dalla Giunta, né
prevedibili dalla Giunta precedente, hanno man mano fatto scemare
quell’interesse. Ci si è rivolti verso altre aree oggi disponibili, per esempio
all’interno del sedime del Politecnico, e abbiamo dovuto rilasciare quella idea,
anche per l’indisponibilità di alcuni partner di acquisire in proprietà la
struttura stessa che verrà, invece, venduta mantenendo la destinazione d’uso
originaria, cioè quella di area commerciale, di mercato ortofrutticolo
all’ingrosso e al minuto e, quindi, una struttura che rimane all’interno di
quell’area degli Orti con lo stesso orientamento che, speriamo, data in mano a
privati, possa avere un rilancio e possa non solo avere una riqualificazione in
termini edilizi, ma anche un rilancio in termini economici (è una struttura
anche a sostegno del commercio al minuto in sede di città e quindi abbiamo
volentieri, avendo la soluzione alternativa per la ricerca e l’Università,
convenuto alla richiesta di alcune operatori economici che ci chiedevano di
confermare la destinazione d’uso).
La quarta azione strategica riguarda l’alta formazione.
Abbiamo voluto metterla nel nostro programma e proporre questa azione perché la
riteniamo determinante. Ci sono figure di alta professionalità che vengono
richieste dal nostro sistema produttivo. Pensate solamente a tutta la gamma di
coloro che possono leggere, capire, interpretare e negoziare contratti
internazionali. Sono figure che la nostra Università già fa e possono essere
ampliate anche in termini di alta professionalità. Questo vuol dire andare ad
offrire alle nostre imprese quelle figure professionali che consentono loro di
stare sul mercato internazionale. Non si internazionalizza solo il prodotto o
solo il processo, ma anche la possibilità di poter colloquiare, di avere figure
tali che possano colloquiare con il mondo. Del resto noi, quando abbiamo pensato
all’Università, abbiamo immediatamente pensato all’Europa quasi come un mercato
interno e al mondo come al vero mercato internazionale. Del resto le nostre
imprese fanno così: non si riferiscono solo all’Europa, anzi piano piano
l’Europa verrà assimilata al mercato interno mentre il mondo, la Cina su tutti,
diventa il vero mercato esterno proprio in virtù dell’idea di Europa che noi
abbiamo.
In questa direzione bisogna andare, sia nel comparto manifatturiero che dei
servizi, sia in quello ospedaliero, per esempio la bioingegneria, oppure
addirittura quello bancario con i prodotti finanziari che servono per sostenere
i beni e i servizi che a livello internazionale noi offriamo. Questa è una
prospettiva strategica e abbiamo pensato che si dovesse inserire all’interno del
programma.
Un altro tema molto forte è quello della Cittadella: se è il brand della città,
come lo è il suo centro, il problema vero è come collegare questi due brand, ma
se la Cittadella, però, diventa il brand della città in termini di eventi e di
attrazione, bisognerà capire come ci si trasporta dentro la Cittadella in
termini di servizi. Oggi la Cittadella non è, quello che dice qualche nostro
critico, una struttura cadente ma certo non è una struttura rapportata al
livello di servizi moderni che, normalmente, vengono chiesti da una qualsiasi
area in cui vengono condotti degli eventi nonostante qualche ultimo sforzo che
l’Amministrazione e le sue aziende hanno fatto.
Mi pareva che fosse il caso di riscrivere completamente la sezione dedicata alla
Cittadella, perché due anni fa noi non avevamo ancora la consapevolezza che
l’Agenzia del Demanio ce l’avrebbe consegnata. Voi sapete che noi abbiamo
firmato il Protocollo d’Intesa con lo Stato nel febbraio 2008, quindi prima
abbiamo lavorato su relazioni, rapporti e condizioni preparati
dall’Amministrazione precedente.
La presa in custodia della Cittadella è dell’aprile 2009: è chiaro che i tempi
di questa nostra realizzazione sono molto stretti, e allora pensare alla
Cittadella voleva dire pensare a tutta una serie di questioni: eventi, vocazione
urbanistica, peraltro attivata dalla Terza Variante in adozione definitiva al
Consiglio Comunale. In questa la Cittadella è finalmente perimetrata e viene
definita come area per ‘interessi comuni’, una dizione del nostro Piano
Regolatore che indica la possibilità di fare servizi pubblici, piccoli servizi
commerciali accessori, ma non consente la residenza se non quella di tipo
popolare - ma non è questo il caso. E’ una destinazione d’uso che ci permetteva,
intanto, di iniziare il percorso che il Consiglio Comunale ci aveva chiesto,
tramite un articolato documento di indirizzi.
Oggi, la Cittadella, attraverso la Terza Variante, ha una destinazione d’uso,
quindi, non sarà puntuale e peculiare, può darsi che bisognerà definire un
codice diverso per la Cittadella rispetto al resto della città, ma c’è tempo per
lavorarci. Intanto, avendola definita come servizio di interesse comune,
l’abbiamo integrata nella città in termini di destinazione urbanistica e abbiamo
anche fatto sì che la Cittadella sia un elemento che possa innescare un
dibattito sul suo futuro. Oggi è tutelata con il maggior grado possibile che
poteva dare genericamente il nostro Piano regolatore. Si può fare anche una
tutela superiore, esattamente come facciamo con il centro storico, ma bisogna
studiarla per arrivare ad un piano particolareggiato per la Cittadella che,
però, prenda le basi dalla Terza Variante del Piano Regolatore e certamente sarà
il tema centrale della Variante Generale del Piano Regolatore che abbiamo
incominciato a mettere in piedi.
La terza questione della Cittadella è il finanziamento.
Noi non possiamo pensare che il Comune di Alessandria si accolli da solo l’onere
che la Cittadella dà per la sua esistenza ma soprattutto per il suo futuro.
La Cittadella ha 40 ettari di costruito, l’intero comprensorio misura 80 ettari,
45.000 mq di tetti, 145.000 mq di solette, solamente i quattro bastioni
casamattati misurano ognuno 14.000 mq, quindi altri 60.000 mq, perciò stiamo
parlando di 200.000 mq di ambienti.
Il problema è che la Cittadella non è orientata in ogni stagione per scopi
sociali, si può usare soltanto in qualche stagione, occorre, ogni volta,
riguardarla e investirvi dentro: avete visto il gioco che, insieme al Presidente
del Consiglio Comunale, abbiamo fatto per la consegna dei Gagliaudo,
ricostruendo un’ipotetica Sala Capitolare, perché c’era una connessione con ciò
che avevamo scoperto in Palatium Vetus, il palazzo in ristrutturazione per la
sede della Fondazione della Cassa di Risparmio. Questa città ha ritrovato il
proprio Broletto, esattamente come Novara e Milano. Una città che aveva perso
documentalmente la propria storia – i nostri archivi sono stati bruciati da un
incendio che ci ha tolto una parte di storia e, quindi, la nostra possibilità di
ricostruire la storia sta nella lettura dei muri nelle strutture che riusciamo a
scoprire.
Avere un Broletto, una struttura che, nel Medioevo, prima che venisse costruito
questo palazzo, il Palazzo Nuovo, fino al 1770, ha funzionato per gestire tutte
quelle che erano le funzioni pubbliche laiche, secondo me, è una grande scoperta
per la nostra città. Un pezzo di identità in più perché, strutturalmente, siamo
riusciti ad individuare quelli che erano gli elementi essenziali del Broletto.
Siamo intorno al 1200, alla fondazione della città, alle prime avvisaglie
dell’organizzazione sociale e civile di questa città: non è una cosa di poco
conto.
Allora, ipotizzando che una Sala Capitolare non fosse molto diversa da questa,
ma che si organizzasse sul modello di quelle medioevali, la abbiamo riproposta
all’interno della Cittadella e la rendiamo disponibile per tutta l’estate a
coloro che vogliono fare convegni in una cornice suggestiva. Anche quello ha
voluto dire spendere danari, andare a ristrutturare, guardare anche le piccole
cose e metterle a disposizione della comunità.
Oggi l’utilizzo della Cittadella è, comunque, connesso ad un intervento da parte
dell’ente Comune, alcune volte massiccio, altre più timido ma certamente a un
intervento economico importante.
Allora, pensare di ragionare su un modello, quello che la Finanziaria ci
proponeva, un fondo di investimento per le strutture ex militari (è vero che
nella Finanziaria questo modello riguarda immobili ad uso militare, ma può
essere accolto come metodo quello di lavorare attorno ad un fondo di
investimento) potrebbe essere un elemento essenziale del nostro procedere
perché, altrimenti, noi non possiamo più continuare a stornare risorse alla
Cittadella, sottraendole alla città che va poi in sofferenza, specie in un
momento in cui le risorse sono sempre più ridotte.
Questo è quello che noi vorremmo tentare di fare, vi ho parlato solo delle cose
più essenziali, del segmento di Maxiemendamento riguardante la Città della
crescita, perché ritenevo fosse importante inquadrarle.
Certamente il Polo Università, il Polo Cittadella, il Polo Centro commerciale
cittadino, che dovrebbe sbloccarsi anche in termini di servizio con la
costruzione del parcheggio sotterraneo di piazza Garibaldi - è fermo al
Consiglio di Stato ormai da quasi due anni -, cercheremo di accentuare la
disponibilità alla sentenza da parte dell’Alta Corte Amministrativa, ma non
possiamo certamente pensare che uno sviluppo della città possa essere
completamente rallentato in modo decisivo da questo lavoro.
La città, da questo punto di vista, cambierà.
Avrà uno skyline diverso: il Ponte Meier da una parte, il Palazzo dell’Edilizia
di Daniel Libeskind dall’altra (stiamo lavorando per poter mettere al più presto
la prima pietra di questo progetto e poi lasciare che i lavori si sviluppino nel
corso del prossimo anno e mezzo).
Ecco il senso che vogliamo dare a questi prossimi due anni, ma, come vedete, c’è
un pezzettino di futuro in più; lo acquisirete anche da quella relazione che
metteremo in premessa e che abbiamo chiamato “Alessandria Domani”, in modo che
il lavoro sul Maxi emendamento non sia seccamente inquadrato nei confini
temporali del nostro mandato amministrativo, ma abbia un respiro che consenta a
noi, o a altri, di accogliere il ragionamento che voi avete fatto sulla città
attorno ad altri tavoli, quelli del Piano Strategico, e concretizzarlo
parallelamente in termini amministrativi.
Piercarlo Fabbio
Sindaco di Alessandria
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