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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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08/06/2010

Alessandria domani: tra opportunità e cambiamenti

Intervento del Sindaco iercarlo Fabbio alla Conferenza Programmatica sulla modifica del programma di mandato. Un quadro di come potrà essere la città del futuro, anche prossimo

   

Alessandria domani: tra opportunità e cambiamenti

Intervento Sindaco Piercarlo Fabbio - Conferenza Programmatica
Città della Crescita: Economia e Sviluppo
- 17 maggio 2010 -

Se vi ricordate, dopo la nostra elezione nel giugno 2007, il percorso di definizione del Programma di mandato non è stato quello che tradizionalmente viene utilizzato dalle Amministrazioni, cioè la trasformazione sic et simpliciter del Programma elettorale in Programma di mandato.
Abbiamo sottoposto il Programma di mandato ad una verifica con quelli che noi abbiamo chiamato gli stakeholders, i portatori di interesse della nostra società, al fine di poter offrire al Consiglio Comunale, per il voto definitivo - ciò avveniva nell’estate 2007, l’adozione definitiva avvenne nell’autunno del 2007 -, un documento che non fosse la mera trasposizione del Programma elettorale.
Così è avvenuto, grazie anche agli apporti e ai contributi che voi avete voluto rilasciare in termini estremamente intelligenti, trasformando, di fatto, il programma di una parte politica, pur vincitrice delle Elezioni, in un programma di respiro maggiore.
A metà del mandato, che è caduta nel novembre-dicembre dello scorso anno, ma che trasportiamo idealmente al 30 giugno di quest’anno, perché tale è il vincolo che lo Statuto ci offre, c’eravamo riproposti di verificare se il documento reggesse all’impatto del tempo e all’impatto della nostra capacità di fare amministrazione, se eravamo stati in grado di raccogliere le indicazioni del Programma e trasformarle in realizzazioni in città, se occorreva avere un respiro diverso.
Tutte queste cose ci hanno fatto pensare che fosse il caso di aggiornare la Conferenza Programmatica e, quindi, l’incontro con gli stakeholders ad un livello nuovamente di assemblea e lo abbiamo fatto.
Certo, il lavoro, tendenzialmente, è meno pesante di quello che si è avuto nell’estate del 2007, perché riguarda solo alcune modifiche che noi abbiamo apportato al Programma - in termini di proposta, non ancora in termini di decisione -: ci confronteremo con voi, con le vostre proposte, probabilmente integreremo questo lavoro e lo offriremo nuovamente al voto del Consiglio Comunale che, quest’anno, quindi, non avrà solamente la relazione da parte del parte del Sindaco sullo stato dell’Amministrazione, ma anche un ulteriore passaggio, la votazione di un maxiemendamento – lo abbiamo chiamato così da tenere in un’unica votazione, in un unico ragionamento, tutti i temi – al Programma di mandato. Questo maxiemendamento modificherà il Programma di mandato e gli darà il respiro necessario per i prossimi due anni.
Ma, se ci fossimo fermati lì, probabilmente avremmo sbagliato, avremmo fatto solo una parte delle cose che ci eravamo ripromessi.
Il problema era come dare respiro al Programma oltre i due anni di mandato che dobbiamo ancora affrontare, o come, se voi volete, calare il medesimo Programma dentro un disegno della città che si sta costruendo.
Molti di voi, moltissimi di voi, partecipano al Piano Strategico. Si chiama Alessandria 2018 ma, in realtà, il respiro temporale è più ampio. Come trasferire una parte di quel respiro già nel Programma di mandato è stato uno dei temi interessanti; come, per esempio, il Programma di mandato possa essere un abstract di un lavoro che le forze politiche potranno fare, nel loro complesso, per le prossime Elezioni del 2012 e, cioè, come si possa prendere la fotografia dell’esistente, la prospettazione della speranza nel futuro, e trasformarle in proposta politica alla cittadinanza affinché da questa farsi valutare.
Da questo punto di vista l’Amministrazione ha un carattere più asettico di quello che ha attraverso il Programma di mandato ove una maggioranza fa prevalere la sua idea. Il lavoro del Piano Strategico è un lavoro per tutti, per tutti coloro, certo, che si vogliono riconoscere in quell’idea di città, in quella forma di città, in quello sviluppo di città, in quella crescita di città, in quella considerazione di elementi contributivi alla città, in quella verifica di coloro che sono i protagonisti del presente e del futuro di questa città.
Per questo il maxiemendamento sarà anticipato da un corposo lavoro, una quindicina di cartelle, di correlazione tra i temi essenziali del Piano Strategico e quelli del Programma di mandato.
Aggiunto a questo lavoro, il “Bilancio sociale e di genere” di metà mandato.
Normalmente lo si fa annuale, ma visto che l’occasione è ghiotta, tentiamo un consuntivo di metà mandato: lì si potrà vedere quel che si è fatto, quello che non si è fatto, come lo si è fatto, come hanno lavorato gli organi, come hanno funzionato, quante Delibere hanno assunto, quante riunioni hanno fatto…
E poi, i temi interessanti: che realizzazioni si sono avute sulle singole questioni.
Noi manteniamo, ovviamente, sempre, anche per evitare una codifica diversa in termini di linguaggio, la struttura documentale originale: la Città dei valori, la Città delle libertà, la Città della semplicità e la Città delle opportunità, andando a definire le altre città concrete che avevamo individuato all’interno del Programma di mandato.
Oggi la Città della crescita, poi la Città della persona e della famiglia, la Città attraente, la Città democratica, la Città semplice e la Città delle cose.
Abbiamo mantenuto questa struttura, perché anche voi avete lavorato sulla medesima e non era il caso di cambiarla.
Nel bilancio di mandato – siamo ad una bozza che è diffondibile, anche se non definitiva, perché è bene che tutti diano un’occhiata prima di licenziare la versione finale per vedere se non ci siamo dimenticati qualcosa e, soprattutto se, avendolo fatto dal punto di vista dell’Amministrazione, non c’è un’evidenziazione eccessiva di alcune cose rispetto alle altre – troverete la fotografia di quello che è successo in questi due anni e mezzo: avrete, voi, la possibilità di connettere le prospettazioni del Programma di mandato con le realizzazioni effettivamente svolte.
Per quanto riguarda il maxiemendamento, è chiaro che la sezione “Città della crescita” ha avuto un forte impatto anche in termini modificativi.
Ci sono moltissime questioni, per alcune delle quali entrerò adesso nel merito.
Per esempio, quando si parla – cosa abbastanza marginale nel contesto generale, ma che dimostra come si è lavorato – della Villa di Marengo, cassiamo tutta la parentesi sul marchio storico della Città e il rafforzamento della Statale 10, che è avvenuto non a nostra cura, e inseriamo che attiveremo una collaborazione con la Provincia sulla questione di Villa Marengo: qui si apre, ovviamente, tutta una serie di discussioni: qual è il marchio della Città? Certamente è la Cittadella (di cui ricordo che noi siamo custodi, non proprietari), e alcune cose convenzionalmente ci vengono obbligate dall’Agenzia del Demanio, altre le facciamo di nostra spontanea volontà perché riteniamo, come moltissimi concittadini, che la Cittadella sia un elemento proprietario della città, nel senso che molti concittadini la vedono come una restituzione di un quartiere alla città (vi ricordo che prima del 1728, lì, vi era un popoloso quartiere, Bergoglio, che, probabilmente, in quel tempo registrava già un 10-12.000 residenti , di fatto, poi trasferito entro Tanaro). La riespansione verso la Cittadella che, dopo 200 e più anni di occupazione militare, ritorna a essere utilizzata per scopi sociali è una di quelle questioni che il Consiglio Comunale ha già visto, con un proprio documento di indirizzo, che la Giunta tutti i giorni cerca di concretizzare, che alla gente cerchiamo di evidenziare attraverso tutta una serie di eventi che possano attirare alla conoscenza della Cittadella stessa. Rimane sempre un problema: quando si allarga la città, come collegare i nuclei commerciali con quelli di attrazione positiva, come nel caso della Cittadella o della Valfrè, che sono un po’ disassati rispetto alla crescita commerciale della città, in quanto hanno avuto genesi completamente diverse.
Abbiamo lavorato su sulla logistica di città che abbiamo sostanzialmente cassato, ma abbiamo aggiunto un qualcosa che nel 2007 non era così chiaro, era un po’ nebuloso: c’era l’indirizzo generale in termini di aree ma non quello sulla gestione di un’area, che ora si è concretizzato, cioè l’utilizzo del sito di San Michele, quella di proprietà dell’Amministrazione comunale, parzialmente venduta, dove si andrà a definire un’area produttiva con orientamento logistico. A quel punto, anche la logistica di città, cioè la logistic city, diventa uno degli elementi di nostro interesse.
Fate conto che ci troviamo di fronte ad aree di grandissima dimensione per le nostre zone e non potete pensare che si possa realizzare il tutto in brevissimo tempo anche per la indisponibilità di capitali privati da mettere su quelle aree, nonostante quelle aree siano collegate perfettamente con il grande sistema viario italiano.
Posso farvi qualche correlazione.
L’Interporto di Torino-Orbassano è nato a fine anni ’70. Negli anni 2008-2009 erano stati urbanizzati circa 2 milioni di metri quadri. Il complesso dell’Interporto, nell’idea che lo reggeva negli anni ’70, era di 2,7 milioni di metri quadri: ci vogliono, dunque, decine di anni per poter urbanizzare e costruire su aree così grandi alle nostre latitudini.
È chiaro che oggi gli spazi dell’impresa si sono dematerializzati, i processi produttivi a cui noi pensiamo sono quelli finali di esternalizzazione da parte dell’impresa, alcuni collegati al trasporto, altri, come in questo caso, alla logistica di città: è netta, chiara, la questione che ci vorrà un poco di tempo, nonostante i privati, rispetto al pubblico, abbiano una velocità maggiore per certe questioni. Per altre no: è notorio che i privati intervengano laddove vedano la possibilità di costruire un reddito e che, molte volte, un ente pubblico interviene laddove invece veda la possibilità di costruire un volano economico e sociale: sono due cose completamente diverse. Del resto un masterplan che preveda un reddito economico è diverso da un masterplan che preveda un reddito sociale.
Direi che l’intervento di maggior pregio del maxiemendamento e della Città della crescita, l’abbiamo fatto sulla questione universitaria che doveva essere messa in ordine, partendo dalla disponibilità di spazi ma anche di temi. Io ho affrontato, per la prima volta, in un Convegno all’Università, questa gamma di possibilità. Ce n’è una di tipo strutturale, che passa attraverso il riutilizzo – non la sto a spiegare nella peculiarità – della Caserma Valfrè, che sta per essere acquisita al patrimonio comunale (siamo in fase di definizione delle pratiche di pagamento della struttura, quindi, di fatto, la possiamo dire acquisita al patrimonio comunale).
Dentro alla Terza variante urbanistica che la Giunta ha licenziato - e che andrà in adozione definitiva al Consiglio Comunale quando verrà collocata all’Ordine del giorno, presumibilmente fra una quindicina di giorni; seguirà un’ulteriore Conferenza di pianificazione, e verrà approvata definitivamente dal Consiglio in autunno – ci sono le destinazioni d’uso delle strutture utilizzate nel passato dai militari che non avevano normazione e la Valfrè viene divisa in tre parti, sostanzialmente simili. Una parte residenziale-commerciale, una per pubblici servizi, una per area verde. Nella parte per pubblici servizi abbiamo pensato che il portale dell’Università, annegato in una grande area verde, fosse un elemento da tenere in considerazione.
Lo stiamo proponendo all’Università, ritengo che sia un ragionamento da doversi fare; c’è una Commissione tecnica che sta valutando tutti gli aspetti anche più puntuali dell’operazione, e riteniamo, però, di essere in grado, una volta acquisita la Caserma Valfrè, quindi a giugno, di poter, nel caso Edisu volesse e vi fosse la disponibilità della Facoltà di Giurisprudenza, arrivare a definire un quadro complessivo di disponibilità di immobili e anche il tempo reale per la disponibilità di detti beni: alcuni immediatamente – un’ala, per esempio, della Valfrè – alcuni, magari, più avanti nel tempo per effetto di trasformazioni che potrebbero arrivare in quell’area, sempre se riscontriamo la disponibilità da parte dell’Università.
Dal punto di vista, però, delle questioni strategiche, ve ne sono alcune che devono essere illustrate.
Noi riteniamo che sia il caso di pensare a una questione di, se mi consentite il termine anche se non è giusto, ‘espansione’ delle nostre tre Facoltà dell’Ateneo in Alessandria.
L’espansione dovuta anche alla collocazione strutturale, la visibilità della collocazione strutturale dell’Università è importante per la città. La città deve poter vedere l’Università, l’Università deve potere vedere la città.
Deve, in qualche modo, essere hardware, deve, cioè, essere toccata prima ancora della grande intelligenza del software che vive all’interno di quelle strutture e di cui certamente la città dovrà riappropriarsi sempre più nel futuro.
Ma ritengo che una delle azioni da sviluppare sia proprio quella di dare un aiuto all’Università in termini di risorse affinché i corsi possano essere il più il possibile attraenti ma anche il più possibile correlati con le necessità del territorio.
Ed è una caratteristica di successo dell’Università quella di essere collegata al territorio.
La terza questione - intendendo la prima quella strutturale e la seconda l’appoggio in termini economici alla didattica - riguarda il progetto che noi abbiamo già più volte correlato e riaggiustato e che ormai chiamiamo “Cittadella della conoscenza”, intendendo, con questo, verificare l’opportunità di dotare il territorio di un centro in grado di erogare servizi a pagamento per il mondo delle imprese.
Se il primo era un supporto alla didattica, il secondo diventa un appoggio forte, un co-protagonismo nel mondo della ricerca.
La ricerca, del resto, ha molti aspetti (abbiamo già approfondito questo tema): può essere ricerca di processo, di prodotto e, l’abbiamo più volte detto, secondo noi l’Ateneo Avogadro ha le carte in regola su questo, però ritengo che viaggi in parallelo anche il Politecnico che, certamente, ha ridotto la sua presenza in Alessandria dal punto di vista della didattica, ma la vuole mantenere dal punto di vista della ricerca, e su questo piano è giusto coordinare le forze in campo, proprio nell’ambito della ‘Cittadella della Conoscenza’.
Anche qui, dal punto di vista strutturale, c’è una modifica. Quando abbiamo iniziato ad amministrare questa città, i nostri predecessori ci avevano consegnato un bel progetto, quello della trasformazione dell’ex Mercato ortofrutticolo in un’area, in una struttura per l’Università. Purtroppo le questioni che ruotano attorno a questo progetto sono tantissime: avevamo cercato di svilupparlo, però congiunture nemmeno preordinabili dalla Giunta, né prevedibili dalla Giunta precedente, hanno man mano fatto scemare quell’interesse. Ci si è rivolti verso altre aree oggi disponibili, per esempio all’interno del sedime del Politecnico, e abbiamo dovuto rilasciare quella idea, anche per l’indisponibilità di alcuni partner di acquisire in proprietà la struttura stessa che verrà, invece, venduta mantenendo la destinazione d’uso originaria, cioè quella di area commerciale, di mercato ortofrutticolo all’ingrosso e al minuto e, quindi, una struttura che rimane all’interno di quell’area degli Orti con lo stesso orientamento che, speriamo, data in mano a privati, possa avere un rilancio e possa non solo avere una riqualificazione in termini edilizi, ma anche un rilancio in termini economici (è una struttura anche a sostegno del commercio al minuto in sede di città e quindi abbiamo volentieri, avendo la soluzione alternativa per la ricerca e l’Università, convenuto alla richiesta di alcune operatori economici che ci chiedevano di confermare la destinazione d’uso).
La quarta azione strategica riguarda l’alta formazione.
Abbiamo voluto metterla nel nostro programma e proporre questa azione perché la riteniamo determinante. Ci sono figure di alta professionalità che vengono richieste dal nostro sistema produttivo. Pensate solamente a tutta la gamma di coloro che possono leggere, capire, interpretare e negoziare contratti internazionali. Sono figure che la nostra Università già fa e possono essere ampliate anche in termini di alta professionalità. Questo vuol dire andare ad offrire alle nostre imprese quelle figure professionali che consentono loro di stare sul mercato internazionale. Non si internazionalizza solo il prodotto o solo il processo, ma anche la possibilità di poter colloquiare, di avere figure tali che possano colloquiare con il mondo. Del resto noi, quando abbiamo pensato all’Università, abbiamo immediatamente pensato all’Europa quasi come un mercato interno e al mondo come al vero mercato internazionale. Del resto le nostre imprese fanno così: non si riferiscono solo all’Europa, anzi piano piano l’Europa verrà assimilata al mercato interno mentre il mondo, la Cina su tutti, diventa il vero mercato esterno proprio in virtù dell’idea di Europa che noi abbiamo.
In questa direzione bisogna andare, sia nel comparto manifatturiero che dei servizi, sia in quello ospedaliero, per esempio la bioingegneria, oppure addirittura quello bancario con i prodotti finanziari che servono per sostenere i beni e i servizi che a livello internazionale noi offriamo. Questa è una prospettiva strategica e abbiamo pensato che si dovesse inserire all’interno del programma.
Un altro tema molto forte è quello della Cittadella: se è il brand della città, come lo è il suo centro, il problema vero è come collegare questi due brand, ma se la Cittadella, però, diventa il brand della città in termini di eventi e di attrazione, bisognerà capire come ci si trasporta dentro la Cittadella in termini di servizi. Oggi la Cittadella non è, quello che dice qualche nostro critico, una struttura cadente ma certo non è una struttura rapportata al livello di servizi moderni che, normalmente, vengono chiesti da una qualsiasi area in cui vengono condotti degli eventi nonostante qualche ultimo sforzo che l’Amministrazione e le sue aziende hanno fatto.
Mi pareva che fosse il caso di riscrivere completamente la sezione dedicata alla Cittadella, perché due anni fa noi non avevamo ancora la consapevolezza che l’Agenzia del Demanio ce l’avrebbe consegnata. Voi sapete che noi abbiamo firmato il Protocollo d’Intesa con lo Stato nel febbraio 2008, quindi prima abbiamo lavorato su relazioni, rapporti e condizioni preparati dall’Amministrazione precedente.
La presa in custodia della Cittadella è dell’aprile 2009: è chiaro che i tempi di questa nostra realizzazione sono molto stretti, e allora pensare alla Cittadella voleva dire pensare a tutta una serie di questioni: eventi, vocazione urbanistica, peraltro attivata dalla Terza Variante in adozione definitiva al Consiglio Comunale. In questa la Cittadella è finalmente perimetrata e viene definita come area per ‘interessi comuni’, una dizione del nostro Piano Regolatore che indica la possibilità di fare servizi pubblici, piccoli servizi commerciali accessori, ma non consente la residenza se non quella di tipo popolare - ma non è questo il caso. E’ una destinazione d’uso che ci permetteva, intanto, di iniziare il percorso che il Consiglio Comunale ci aveva chiesto, tramite un articolato documento di indirizzi.
Oggi, la Cittadella, attraverso la Terza Variante, ha una destinazione d’uso, quindi, non sarà puntuale e peculiare, può darsi che bisognerà definire un codice diverso per la Cittadella rispetto al resto della città, ma c’è tempo per lavorarci. Intanto, avendola definita come servizio di interesse comune, l’abbiamo integrata nella città in termini di destinazione urbanistica e abbiamo anche fatto sì che la Cittadella sia un elemento che possa innescare un dibattito sul suo futuro. Oggi è tutelata con il maggior grado possibile che poteva dare genericamente il nostro Piano regolatore. Si può fare anche una tutela superiore, esattamente come facciamo con il centro storico, ma bisogna studiarla per arrivare ad un piano particolareggiato per la Cittadella che, però, prenda le basi dalla Terza Variante del Piano Regolatore e certamente sarà il tema centrale della Variante Generale del Piano Regolatore che abbiamo incominciato a mettere in piedi.
La terza questione della Cittadella è il finanziamento.
Noi non possiamo pensare che il Comune di Alessandria si accolli da solo l’onere che la Cittadella dà per la sua esistenza ma soprattutto per il suo futuro.
La Cittadella ha 40 ettari di costruito, l’intero comprensorio misura 80 ettari, 45.000 mq di tetti, 145.000 mq di solette, solamente i quattro bastioni casamattati misurano ognuno 14.000 mq, quindi altri 60.000 mq, perciò stiamo parlando di 200.000 mq di ambienti.
Il problema è che la Cittadella non è orientata in ogni stagione per scopi sociali, si può usare soltanto in qualche stagione, occorre, ogni volta, riguardarla e investirvi dentro: avete visto il gioco che, insieme al Presidente del Consiglio Comunale, abbiamo fatto per la consegna dei Gagliaudo, ricostruendo un’ipotetica Sala Capitolare, perché c’era una connessione con ciò che avevamo scoperto in Palatium Vetus, il palazzo in ristrutturazione per la sede della Fondazione della Cassa di Risparmio. Questa città ha ritrovato il proprio Broletto, esattamente come Novara e Milano. Una città che aveva perso documentalmente la propria storia – i nostri archivi sono stati bruciati da un incendio che ci ha tolto una parte di storia e, quindi, la nostra possibilità di ricostruire la storia sta nella lettura dei muri nelle strutture che riusciamo a scoprire.
Avere un Broletto, una struttura che, nel Medioevo, prima che venisse costruito questo palazzo, il Palazzo Nuovo, fino al 1770, ha funzionato per gestire tutte quelle che erano le funzioni pubbliche laiche, secondo me, è una grande scoperta per la nostra città. Un pezzo di identità in più perché, strutturalmente, siamo riusciti ad individuare quelli che erano gli elementi essenziali del Broletto. Siamo intorno al 1200, alla fondazione della città, alle prime avvisaglie dell’organizzazione sociale e civile di questa città: non è una cosa di poco conto.
Allora, ipotizzando che una Sala Capitolare non fosse molto diversa da questa, ma che si organizzasse sul modello di quelle medioevali, la abbiamo riproposta all’interno della Cittadella e la rendiamo disponibile per tutta l’estate a coloro che vogliono fare convegni in una cornice suggestiva. Anche quello ha voluto dire spendere danari, andare a ristrutturare, guardare anche le piccole cose e metterle a disposizione della comunità.
Oggi l’utilizzo della Cittadella è, comunque, connesso ad un intervento da parte dell’ente Comune, alcune volte massiccio, altre più timido ma certamente a un intervento economico importante.
Allora, pensare di ragionare su un modello, quello che la Finanziaria ci proponeva, un fondo di investimento per le strutture ex militari (è vero che nella Finanziaria questo modello riguarda immobili ad uso militare, ma può essere accolto come metodo quello di lavorare attorno ad un fondo di investimento) potrebbe essere un elemento essenziale del nostro procedere perché, altrimenti, noi non possiamo più continuare a stornare risorse alla Cittadella, sottraendole alla città che va poi in sofferenza, specie in un momento in cui le risorse sono sempre più ridotte.
Questo è quello che noi vorremmo tentare di fare, vi ho parlato solo delle cose più essenziali, del segmento di Maxiemendamento riguardante la Città della crescita, perché ritenevo fosse importante inquadrarle.
Certamente il Polo Università, il Polo Cittadella, il Polo Centro commerciale cittadino, che dovrebbe sbloccarsi anche in termini di servizio con la costruzione del parcheggio sotterraneo di piazza Garibaldi - è fermo al Consiglio di Stato ormai da quasi due anni -, cercheremo di accentuare la disponibilità alla sentenza da parte dell’Alta Corte Amministrativa, ma non possiamo certamente pensare che uno sviluppo della città possa essere completamente rallentato in modo decisivo da questo lavoro.
La città, da questo punto di vista, cambierà.
Avrà uno skyline diverso: il Ponte Meier da una parte, il Palazzo dell’Edilizia di Daniel Libeskind dall’altra (stiamo lavorando per poter mettere al più presto la prima pietra di questo progetto e poi lasciare che i lavori si sviluppino nel corso del prossimo anno e mezzo).
Ecco il senso che vogliamo dare a questi prossimi due anni, ma, come vedete, c’è un pezzettino di futuro in più; lo acquisirete anche da quella relazione che metteremo in premessa e che abbiamo chiamato “Alessandria Domani”, in modo che il lavoro sul Maxi emendamento non sia seccamente inquadrato nei confini temporali del nostro mandato amministrativo, ma abbia un respiro che consenta a noi, o a altri, di accogliere il ragionamento che voi avete fatto sulla città attorno ad altri tavoli, quelli del Piano Strategico, e concretizzarlo parallelamente in termini amministrativi.

 

 

Piercarlo Fabbio
Sindaco di Alessandria

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria