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Lunedì 23 dicembre 2024

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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30/05/2010

Cotroneo: l'umanità sorridente della politica

Un breve ricordo di Piercarlo Fabbio che termina con le sue parole. Mi viene rivolta una domanda: perché è sceso in campo? Non sono mai stato sull’Aventino a guardare, la mia vita è sempre stata una missione, cioè quella di vivere del mio lavoro e di stare in mezzo alla gente; sono sempre in pista con loro e tra di loro per servire

   

Cotroneo: l'umanità sorridente della politica

Capisco che descrivere un uomo avendo disponibile il punto di vista ravvicinatissimo del suo più stretto collaboratore, quale io sono stato per oltre un trentennio, sia un episodio difficile da affidarsi alla scrittura. Ma ritengo di poter correre questo rischio e di farlo cogliere ai miei lettori, che ovviamente possono utilizzare la stessa controindicazione per fruire di ciò che scrivo.
Bene, Giuseppe Cotroneo è stato un fenomeno sociale prima ancora che politico: impersonava l’uomo del sud che si era fatto spazio in una città del nord neppure troppo disposta ad accettare inaspettate intromissioni e sicuramente – almeno sulle prime – per nulla interessata a lasciare e creare spazi. Ma gli Anni Cinquanta- Sessanta furono così un po’ in tutto il Nord della ricostruzione e del rilancio industriale del Paese, e la nostra mentalità odierna non ci consente di comprendere la fatica, il sacrificio, l’impegno, la diplomazia, l’intelligenza che i nostri connazionali dovevano mettere in ogni loro azione per non scatenare la negativa reazione degli alessandrini.
In Alessandria Giuseppe, originario dell’Aspromonte, ci era giunto per amore di Franca, una bellissima calabrese di sapore normanno che aveva a sua volta seguito il padre vincitore di un appalto statale da calzolaio in Cittadella (ecco un altro esempio di come la fortezza che noi oggi rivediamo faccia veramente parte della nostra esistenza). Aveva continuato gli studi di medicina a Torino, iniziati oltre stretto a Messina, e, tra mille difficoltà e sacrifici, terminati con l’agognata laurea e le successive specializzazioni nei primissimi Sessanta.
Quindi un privilegiato per propria incrollabile volontà: il suo soprannome fu, fin da allora, “il dottore”, anche se poi si imposero i multi dialettali Beppe, Peppino, Pepè, a secondo dei luoghi e dei natali degli amici. Ed anche un punto di riferimento per migliaia di uomini, donne e bambini del sud che si stavano integrando, ma avevano bisogno di un medico amico, che conoscesse il loro slang, ma soprattutto la loro mentalità: quella lamentazione atavica a cui occorreva dar credito, ma non soffermarvisi; la richiesta continua di assistenza alla povertà che lo Stato allora non poteva dare, ma che poteva individuarsi in un amico-dottore sempre in grado di pescare nelle facilitazioni che il mercato poteva fornirgli per garantire un aiuto reale: dalle visite mai compensate economicamente, ai medicinali “campione” che finivano per risolvere non pochi problemi economici a quelle famiglie. A compenso la grande umanità e generosità, l’apertura alle relazioni che quelle genti, naturalmente, fornivano e che già stavano cambiando la città. Non a caso anche gli autoctoni incominciarono a credere, con fiducia, al suo sorriso, alla sua paciosità, alla sua disponibilità a turni massacranti in ospedale per guadagnare qualche lira per la propria famiglia ormai formata con i tre figli, Alida, Maria Luisa e Roberto, ma integrata con assetto variabile da cognati, nipoti a iosa da tirar su, come nella famiglia rurale del primo Novecento, in pieno centro città.
Così la politica si affiancò alla professione e al suo essere punto di riferimento, esempio di successo e di integrazione, dimostrazione che, nonostante le difficoltà, molti ce l’avrebbero potuta fare. La politica era un gradino di rappresentanza necessaria per moltissimi, una necessità indispensabile a cui dar voce e Giuseppe Cotroneo si mise a disposizione, accogliendo sulle sue candidature anche il peso di una richiesta di posizionamento paritario che quel mondo reclamava. Ma non volle mai sentire – e più volte me lo chiarì – che il suo elettorato di riferimento maggioritario fosse uno strumento di disintegrazione: Cotroneo, il consigliere comunale per 29 anni consecutivi a Palazzo Rosso, Presidente dell’Ospedale Psichiatrico, componente del Comitato di Gestione USSL, fino a diventare il decano dei Consiglieri onorari e presiederli, sapeva perfettamente di essere un trai d’union fra sensibilità, culture, atteggiamenti differenti e non voleva perdere questa funzione. Qualcuno avrebbe perso qualcosa, qualcun altro avrebbe pensato di guadagnarla. Forse la verità – che è sintesi - stava nella sua persona ed ora vive nel suo esempio.
Praticamente Giuseppe Cotroneo si apprestò a fare gli italiani, almeno qui da noi, come se volesse vivere una nuova età del risorgimento, fedele alla lezione di Cavour nella città di Rattazzi.
Ma la politica delle soddisfazioni, delle gratificazioni nella rappresentanza, del raggiungimento di traguardi successivi, fu anche la politica delle delusioni per non essere riuscito a raggiungere il seggio parlamentare. L’amarezza per due occasioni perdute non lo fece perdere d’animo neppure un po’. Si rituffò in quella che era la sua dimensiona naturale, la politica locale, andando alla ricerca di fabbisogni non corrisposti, consapevole che il volontariato avrebbe potuto fare miracoli per coloro che ogni giorno soffrivano per non essere stati fortunati come lui: gli invalidi con l’ANMIC, i più deboli con il patronato ACLI, prima, e con il MCL poi.
Nel panorama nazionale della DC, la grande balena bianca che gli permetteva contemporaneamente di coniugare i suoi valori cristiani e il suo senso marcato della democrazia, per poter vivere in senso compiuto tra idealismo e pragmatismo, Giuseppe Cotroneo si era collocato prima con Emilio Colombo e Giulio Andreotti, poi solo con Giulio Andreotti, di cui era grande amico a tal punto che il suo essere animale politico finiva per sciogliersi un poco se, nel fatto considerato per l’analisi da condurre, fosse o no presente e protagonista, appunto, il delfino di De Gasperi. In una città, ove essere democratici-cristiani è significato per oltre un ventennio, non partecipare al Governo civico a causa del grande successo di consensi delle Giunte Rosse, Beppe aveva preferito rimanere impegnato con il mondo cattolico, sentirsi partecipe di una grande missione che non poteva solo essere politica, ma era anche storica, ecumenica, evangelica. Ancor più interpretando il suo ruolo di portavoce dei più deboli, che con lui parlavano, interloquivano, tenevano rapporti, conducevano istanze, formulavano richieste che con un altro concittadino mai avrebbero svolto.
Per la fine della Prima Repubblica e vivendo la transizione infinita, Beppe mostrava segni di insofferenza rispetto l’impostazione dei partiti a leadership intensa: poca partecipazione, scarna democrazia interna, mancanza di dibattito sufficiente e di luoghi della governance ove confrontarsi. Insomma, non era certo un nostalgico delle macchinose e farraginose procedure della politica che aveva conosciuto; era perfettamente consapevole che occorresse ridurre i tempi delle decisioni, perché il Paese altrimenti ne avrebbe sofferto, ma rifletteva anche sulle debolezze di questo nuovo sistema, nato sull’emozione di una rivoluzione, non architettato razionalmente e quindi monco e impreciso. Ma si adattò, cercando di sopire i suoi empiti partecipativi e raccogliendo comunque soddisfazioni e riconoscimenti.
Ho scoperto, in questi giorni di lutto, scartabellando tra le sue carte per trovare impronte delle sue azioni, un suo volantino per le elezioni regionali dell’aprile 2005, che aveva affrontato da candidato per lo scudocrociato dell’UDC. Un pieghevole impostato secondo la tradizione del dialogo, un lungo dialogo con i potenziali elettori, che Giuseppe Cotroneo termina così: “Mi viene rivolta una domanda: perché è sceso in campo? Non sono mai stato sull’Aventino a guardare, la mia vita è sempre stata una missione, cioè quella di vivere del mio lavoro e di stare in mezzo alla gente; sono sempre in pista con loro e tra di loro per servire”.
Ancora una volta gli spetta l’ultima parola nell’agone più alto che la politica locale possa considerare.

 

Piercarlo Fabbio

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria