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Mercoledì 25 dicembre 2024

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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25/10/2003

De Gasperi: un europeo
venuto dal futuro

La mostra romana al Vittoriano, i convegni, l'omaggio di Berlusconi, le trasmissioni radiofoniche di Andreotti. Mentre ci si occupa dell'inizio dell'esperienza democristiana, come poi finì?

   

Il titolo della mostra romana al Vittoriano su Alcide De Gasperi, "Un europeo venuto dal futuro", in occasione del cinquantenario della morte, racconta di un riconoscimento pieno e convinto da parte della storia di un indiscutibile statista, ma soprattutto di un periodo in cui un Paese povero, sconfitto nella guerra mondiale, afflitto dal tradimento del 1943, sottovalutato a livello internazionale, seppe ricostruirsi un percorso democratico, facendo scelte difficili e contrastate, come quella dell'Alleanza Atlantica e dell'europeismo consapevole e sincero. De Gasperi fu il padre di queste scelte, fu il leader, si direbbe ora, di una visione avanzata ed ancora oggi attualissima, amaramente contrastata dalla sinistra comunista (Togliatti non lesinava critiche al Presidente del Consiglio, al punto da promettergli sonore pedate). Un comunismo sconfitto dalla storia, il cui verdetto però giunge oltre trent'anni dopo, e che occorrerà studiare ancora molto nelle sue espressioni politiche che stanno alla base di scelte o di loro condizionamenti, che il Paese, sia esso Stato o sistema delle autonomie locali, dovette fare o accettare. Da questo punto di vista la cristallina chiarezza di De Gasperi, la sua inequivocabile ispirazione etica, gli permise di dare il là ad un modello di Stato solidale che traeva origine nella dottrina sociale della Chiesa, ma rimaneva laico, senza mai scadere nell'integralismo di un modello di Stato cristiano che lo statista trentino cercò di evitare con successo. Da questo punto di vista lo scontro con Dossetti diventa una collisione epocale, che, anche dopo la morte di De Gasperi tese a produrre i suoi effetti. E la Democrazia Cristiana fu lo strumento di aggregazione di milioni di cittadini che riconobbero in questo modello di Repubblica il pieno riconoscimento della propria libertà e della propria capacità di generare reddito. Mi è capitato di guardare la storia di questo partito dalla sua fine, poco più di una decina di giorni fa al Santuario di Crea, che proprio un incontro privato tra De Gasperi e Shumann aveva ospitato nei primi anni Cinquanta, in preparazione di quella grande idea d'Europa, purtroppo, non ancora oggi realizzata. Invitato dall'amico Pier Paolo Gherlone mi è stata data la grande opportunità di descrivere gli eventi che hanno caratterizzato i titoli di coda di quella grande esperienza politica, che da De Gasperi prese le mosse. Ma da chi è stata uccisa la DC. Da alcuni cospiratori interni, dall'impatto insostenibile con tangentopoli, dalle leggi sul sistema elettorale che ne smembravano l'implicita organizzazione oppure ancora dalla sua inadeguatezza storica? La DC era ormai vissuta come il partito del Governo e quindi del potere. Non riusciva più a parlare alla gente delle cose che la gente viveva sulla propria pelle. Era divenuta l'astrazione di un progetto politico, non lo strumento per realizzarlo. Quasi per battuta potrei dire che la DC era progressivamente diventata unica depositaria di se stessa. La si poteva vivere, capire, interpretare solo dal suo interno. Il progressivo distacco dalla realtà del Paese, pur essendo realtà nel Paese, non giovò alla sua permanenza nel sistema politico nazionale. L'occupazione di molti gangli della società da parte di un sistema di partiti da sempre competitore, per definizione, dello Stato divenne impossibile da sostenere anche per chi doveva giovarsi dei frutti di questa esondazione istituzionale. La dimostrazione di questo allontanamento dalle cose che tutti conoscono sta negli strumenti inventati per succedere a se stessi: alcuni di noi pensarono alla immissione nel sistema elettorale della preferenza unica, che squassò dalle fondamenta il pluralismo organizzativo interno. Aveva retto magnificamente per tanti decenni. Anzi era stato un sistema di anticorpi contro la deflagrazione interiore e contro il progredire di tensioni e conflitti, abituando piuttosto quadri e dirigenti alla prassi della mediazione fra tendenze dissimili e contrarie. Imponendo condizioni di democrazia, di riconoscimento delle parti interne a coloro che intendessero permanere nel partito. Probabilmente le correnti, che ne sono il risultato, corrispondono ancora ad una questione diversa. Nell'aprile 2003, Mariotto Segni ha voluto celebrare il decennale del referendum sul maggioritario che dieci anni fa obbligò il parlamento a mutare la legge elettorale. In profondo cosa ne sapessero i cittadini elettori della differenza fra il proporzionale ed il maggioritario è un mistero che ancora adesso cerco di districare. Eppure si impose una visione maggioritaria del sistema elettorale. E lì mancò il coraggio di rispettare fino in fondo la scelta: Sergio Mattarella propose ed impose un testo che volgeva verso un sistema misto, in cui il proporzionale manteneva una nicchia importante numericamente, ma inutile politicamente. In più il mattarellum premiava esageratamente le estreme: si vince alleandosi con Rifondazione o con la Lega e, ovviamente, oltre a radicalizzare l'intera proposta politica, si deve remunerare il valore marginale dell'alleato, tanto diverso quanto indispensabile. Infine un partito grande e pesante organizzativamente come la DC non si adatta in un baleno al rapido mutare delle condizioni che sono la conseguenza della sua azione, ma che servono anche alla scelta della sua classe dirigente collocabile nelle istituzioni. La DC non resse alle prime elezioni che si basavano su questo sistema. I democristiani avevano votato in parlamento il sistema con il quale volevano morire. Ed in ciò furono preveggenti. La storia delle grandi invenzioni ci insegna, però, che nessuna intuizione folgorante può avvenire se il contesto non è in grado di accoglierla. Tangentopoli è il contesto di base ove si compie il dramma di un sistema politico, una rivoluzione che risparmia chi l'aveva ispirata, pensata, provata (si ricordi il caso Tortora). Così coloro che nel 1989 sono gli sconfitti dalla storia vengono, da lì a qualche anno, riabilitati dalla cronaca. I dirigenti democristiani sono sommariamente processati dall'ordalia giustizialista nella quale i popoli ogni tanto cadono, solleticati nei loro istinti più irrazionali e barbari. Sono mafiosi, corrotti, ladri, mandanti di feroci assassini, ispiratori di stragi di stato. Si processa la storia. Si deve riscrivere la storia che ha sconfitto il PCI. È una storia cattiva e come tale deve essere spiegata alle masse in attesa dell'educazione gramsciana che gli derivi dall'alto. E la dimostrazione si ha nello scoprire che socialisti e democristiani, democratici competitori dei comunisti, regolarmente legittimati dal consenso popolare, diventano un nugolo di delinquenti che, chissà per quale illegale metodo, hanno detenuto il potere, senza che i buoni, cioè gli sconfitti dalla storia, potessero prevalere. C'è qualcosa di illogico che travaglia questo ragionamento. C'è qualcosa che sfugge: possiamo pure convenire che la DC, perso il suo competitore di riferimento, possa aver smarrito una buona ragione per permanere nel sistema politico italiano, ma che quest'ultimo risulti, di lì a poco, come vincitore, lo posso spiegare solo con un intervento esterno. Un po' come la nebbia omerica che, sul campo di battaglia, sottrae lo sconfitto al vincitore per evitare che ne faccia scempio e lo fa riapparire quando ha recuperato le forze. Ah, alla prossima… Piercarlo Fabbio

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria