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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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01/05/2007

I nodi al pettine del sistema politico italiano

Don Chisciotte di Maggio. Cosa è successo nei partiti della sinistra e cosa potrà succedere in quelli del centrodestra. Scelte non più rinviabili verso il PPE?

   

I nodi al pettine del sistema politico italiano

Con i congressi di Aprile dell’UDC e dello SDI e con quelli dei DS e della Margherita, alcuni dei nodi della politica italiana vengono al pettine e si avvia un processo destinato a scomporre e a ricomporre molti dei tasselli del variegato mosaico partitico.
Lorenzo Cesa ha chiuso la sua relazione al congresso UDC ripetendo lo slogan dei manifesti giganti esposti in tutta in Italia, con Casini in giubbotto d’ordinanza, sorridente a sostenere:”L’alternativa c’è, costruiamola al centro”.
Dopo i reiterati tentativi di mettere all’angolo la leadership berlusconiana che si considerava oramai finita nello scorcio della passata legislatura, preso atto del distacco inevitabile del velleitario Follini finito nel deserto dei tartari, ma, soprattutto, della riconferma del consenso popolare dei moderati attorno al Cavaliere, dopo una sconfitta elettorale al fotofinish di cui furono corresponsabili non poche scelte dell’UDC, la strategia del partito sembra netta. Cesa ha confermato che: “ l’UDC è e resterà una forza alternativa alla sinistra”, anche se nel centro-destra non accetta “ruoli subalterni e discriminazioni”.
Sì al superamento del governo Prodi, ma senza impossibili spallate, quanto piuttosto puntando all’autoconsunzione per impotenza e insuperabili contraddizioni della coalizione unionista e un fermo no ad un rapido ritorno alle urne.
Si punta ad un “governo di garanzia che accompagni una riforma elettorale e una serie minima, ma necessaria, di riforme che consentano al Paese la certezza di un futuro governabile”.
Attacco al “bipolarismo italiano malato” e impegno a costruire un sistema in cui le alleanze non debbano più essere costruite solo per vincere le elezioni, ma per garantire il governo del Paese.
In ogni caso, tuttavia, una UDC ben salda nell’alternativa alla sinistra e pronta “a sostenere l’alleanza di centro-destra a cominciare dalle elezioni amministrative di fine maggio”.
Parole dolci alle orecchie di un Silvio Berlusconi accolto con grande calore dal congresso, a dimostrazione del suo carisma indiscusso anche tra il popolo degli ex DC.
Ancora più esplicito Casini nel suo intervento congressuale quando, riconfermando le indicazioni strategiche del segretario, ha posto con fermezza l’obiettivo di un partito dei moderati, con un forte richiamo agli ex DC delusi della Margherita e dalla prospettiva del partito democratico (calorose le accoglienze a Gerardo Bianco, il vecchio capo dei peones all’epoca della DC di De Mita). Un partito che abbia come punto di riferimento il PPE, mentre sulla leadership, con più equilibrio, ha ricordato che vale per tutti la massima secondo cui: ”nessuno è indispensabile”.
Non può che essere contento Carlo Giovanardi con quanti (14 % del congresso) hanno appoggiato la sua mozione, considerato che ogni velleità folliniana o possibili cambi di campo sono stati da tutti esclusi. Forlani, d’altronde, era ben vigilante in sala dove molti dei suoi ex allievi si confrontavano con grande amicizia. Pur restando l’UDC in una posizione distinta da FI e da AN, si registra un riavvicinamento di posizioni nel centro-destra. Un riavvicinamento che sarà tanto più sollecitato dai processi avviati sull’altro fronte e, soprattutto, dalla scelta che finirà con il prevalere del nuovo sistema elettorale.
Sguardo rivolto all’indietro, per certi aspetti, e di un certo interesse, per altri, quello di Boselli e del congresso dello SDI.
Il segretario ha aperto i lavori del congresso di Fiuggi ricordando che scopo fondamentale del loro quinto congresso era quello di “unire le famiglie del socialismo italiano come premessa di una più larga unità di tutte le formazioni riformiste, basata su un progetto di modernizzazione della nostra società e di affermazione dei principi di libertà, di equità e laicità”.
Si chiamerà PSI il nuovo partito, rinnovando lo storico nome del partito socialista del 1893. Immediata la disponibilità di Bobo Craxi e Gianni De Michelis, come quella di altri vecchi colonnelli, molti dei quali, oramai senza esercito.
Restano le diversità confermate, almeno per adesso, sugli schieramenti: con Prodi,che, tuttavia non l’ha convinto con il suo appello ad entrare nel partito democratico, Boselli e Bobo Craxi e con Berlusconi, dove si sono accasati molti dei suoi amici più fidati, Gianni De Michelis.
Più interessante, al di là di questa difficile, se non improbabile, riunificazione socialista, la prospettiva di concorrere alla creazione di una più larga unità a sinistra, per la quale sono giunti immediati gli interessi e le caute disponibilità dei diessini in libera uscita (Caldarola, Mussi e Salvi) e di quelli della terza mozione al congresso dei DS (Angius). Potrebbe prendere corpo una nuova consistente aggregazione delle sparse componenti che, a diverso titolo, si collegano all’Internazionale socialista e che, in ogni caso, militando a sinistra, non intendono aderire al nuovo partito democratico. Ovvio che, in tal caso, la critica di una deriva psiuppina sottolineata da Stefania Craxi sul percorso indicato da Boselli sarebbe assai pertinente. Critica ancora più feroce quella di Gennaro Acquaviva, già braccio destro di Bettino Craxi, che, oltre alla netta impostazione laicista e anticlericale adottata da Boselli ricorda come proprio Mussi e Angius furono a suo tempo tra i più critici avversari di Craxi e che ben difficilmente vorranno morire “socialisti”.
Più doloroso, seppur annunciato, quanto accaduto al congresso dei DS. Mussi e molti delegati del correntone da tempo avevano espresso contrarietà alla linea di Fassino e D’Alema. A Firenze si è interrotta, con il groppo in gola dei protagonisti, Mussi, Fassino e D’Alema, una storia che li aveva visti per tanto tempo insieme, consapevoli che una nuova e imprevedibile storia si apre per tutti loro. Una vicenda umana e politica, quella tra Mussi e D’Alema, iniziata al tempo della FGCI a Pisa, consolidata dalla decisione di restare nel PCI all’epoca della cacciata degli eretici del Manifesto
Solo chi ha vissuto la politica come straordinaria passione umana e civile, incarnando nella propria esistenza gli ideali ed i valori di un’appartenenza scelta con fede, può comprendere la tragedia che si è consumata nel partito che fu già di Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer.
Non è tanto e solo quel 15% di delegati che ha deciso di abbandonare il congresso, per organizzare il 5 maggio a Roma la manifestazione per la ricomposizione della sinistra italiana, che va tenuto presente, quanto gli effetti che questa divisione potrà determinare nell’elettorato tradizionale ex comunista.
Se i DS pagano con una scissione dagli esiti imprevedibili la loro scelta “centrista”, Rutelli, dopo un’interminabile lotta dei lunghi coltelli per definire il gruppo dirigente che rappresenterà il partito nei prossimi mesi di formazione del nuovo partito, incassa il voto quasi unanime del congresso, anche se permangono tutte le divisioni tra rutelliani, ex popolari, teodem, parisiani, prodiani doc, nuovo gruppo di Bordon, diniani , mentre Parisi lascia il congresso senza votare. E, intanto, il vecchio Jerry White non solo si chiama fuori denunciando la confusione teorica e politica su cui nasce il nuovo partito, ma con la sua associazione dei Popolari, punta a ricomporre le disperse forze residue degli ex DC. Ed anche Clemente Mastella sottolinea la propria autonomia e la netta volontà di non aderire al nuovo soggetto politico.
Fusione fredda o svolta storica è presto per dirlo. Una cosa è certa: scompaiono alcune delle tradizioni che hanno fatto la storia di questo Paese e si compie una confusa alleanza catto-comunista che è stata perseguita con determinazione da Prodi e dai post dossettiani. Stride che in questo caravanserraglio si ritrovino vecchi moderati e conservatori DC, come i senatori a vita Scalfaro e Colombo, assisi in prima fila al congresso di chiusura della Margherita, entusiasticamente sostenitori del nuovo che avanza.
Se Fassino e Rutelli concludono da leaders, più o meno ammaccati, dei loro ormai ex partiti, si apre ora la battaglia per la leadership del nuovo partito democratico, dopo l’annuncio di Prodi che, al termine di questa legislatura, il suo compito è finito e nuovi leaders dovranno scendere in campo. Veltroni ha già scaldato i motori anche se D’Alema non sta a guardare e, intanto, manda in avanscoperta, la senatrice Anna Finocchiaro.
Sarà molto interessante vedere se e come finirà la partita, mentre un’altra non più rinviabile si apre nel centro-destra.
Elezioni amministrative di fine maggio e soluzione del rebus legato al sistema elettorale, saranno le cartine di tornasole che influenzeranno la direzione di marcia. E, stavolta, crediamo che per gli alleati di centro-destra, non sia più tempo di furbizie o di dilazioni tattiche. È tempo di costruire senza indugi la sezione italiana del Partito Popolare Europeo, partendo da coloro che nel PPE già si riconoscono, aperti a quanti sono ormai maturi per questa non più rinviabile scelta.

 

don Chisciotte

 

dalla Mancha, 23 aprile 2007

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria