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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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05/03/2007

Il transfuga e il tanghèro

Nota di Don Chisciotte dalla Mancha. Follini e Pallaro sotto i riflettori. I disegni di Casini e il problena del sistema elettorale

   

Il transfuga e il tanghèro

Non poteva che essere il “mutevole” Scotti, il solitario ispiratore delle mosse di quella testa lucida di Marco Follini. Solo il vecchio “Tarzan” uso a saltare da una fronda all’altra (lui che, nato cislino e forzanovista passò tra i fedeli andreottiani all’epoca di Giulio imperatore nella DC e nel governo, finendo tra le spire dorotee gaviane della corrente del golfo) poteva ravvisare nell’intervento al Senato del transfuga accenti degni dell’”ultimo dei morotei”, così come il mentore napoletano ha definito la performance di Marco al Senato.
Come è noto, il voto decisivo di Follini è stato quello che ha permesso a Romano Prodi di sopravvivere alla gravissima crisi politica della sua coalizione scoppiata dopo i due tonfi al Senato sulla politica estera e di difesa. Una sopravvivenza garantita pure dal puntello del “tanghèro” Pallaro, espressione della nostra vasta e nobile comunità italo argentina.
E così, grazie ai voti di un transfuga e di un senatore rappresentante di una parte significativa di elettori emigrati e che non pagano le tasse in Italia, ancora una volta Prodi l’ha sfangata, rinverdendo il mito di quel “Coccolino sempre in piedi” dei Caroselli d’antan.
Marco Follini aveva già dato prove della sua irrimediabile idiosincrasia per i moderati, sia quando, orfano di Aldo Moro, si consegnò per sopravvivere politicamente all’abbraccio rassicurante di Toni Bisaglia, trovando in Casini l’amico di una lunga stagione; sia quando, con quella fissa della “discontinuità”, si premurò di lavorare ai fianchi Berlusconi e la coalizione di cui faceva malvolentieri parte e di cui ha costituito una causa non effimera della sconfitta elettorale. Si sperava nella sconfitta del centro-destra per riprendere il dialogo con gli amici del centro schierati a sinistra. Le elezioni politiche e i successivi recenti sondaggi hanno affondato quelle chimere.
E così, sempre sintonizzato sulla giusta denuncia di un bipolarismo zoppo, Marco ha finito col rendersi protagonista di uno degli episodi più squallidi di trasformismo e trasmigrazione parlamentare della storia repubblicana, in barba a quegli elettori pugliesi moderati che gli avevano garantito, in alternativa a Prodi, il laticlavio senatoriale.
La domanda a questo punto è lecita: e tutto questo per fare cosa? Per spostare più al centro le politiche di Prodi? Per superare il bipolarismo zoppo che prolunga a dismisura l’agonia di questa lunga transizione? Per costruire un nuovo centro-sinistra ?
Esaminiamo una per una queste ipotesi:
Il dodecalogo rappresentato da Prodi alle Camere, dopo il giuramento di Palazzo Chigi di ministri, segretari di partito e presidenti dei gruppi parlamentari della maggioranza, alla vigilia della salita sul Colle per indicare unitariamente la riconferma dell’Esecutivo, è una sequela di banalità messe in fila che non esprimono altro che generiche affermazioni le quali, come prima il programma, già si prestano alle molteplici ed opposte interpretazioni. Solo il voto sui diversi provvedimenti chiarirà le posizioni di ciascuno e ad ogni voto si terrà il fiato sospeso, mentre già sono state annunciate defezioni dagli irriducibili della sinistra.
Di quale centro-sinistra vagheggia Follini e quali forze intende muovere se, all’annuncio della sua scelta, è riuscito nella straordinaria impresa di dimezzare immediatamente la sua attuale rappresentanza parlamentare; a rompere con molti dei suoi supporter (Giuliari e veneti dell’ormai ex Italia di mezzo) e a provocare la ribellione degli stessi amici della rivista “Formiche”, con Paolo Messa a chiedergli inutilmente di desistere dall’insensato proposito? E come interpretare quella sua incomprensibile sicurezza nell’annunciare l’imminente trasloco di Casini e company dall’opposizione alla costruzione di un rinnovato centro-sinistra?
In realtà Casini, sempre alle prese con la sua malcelata aspirazione alla leadership dei moderati, si è ben guardato dal raccogliere l’invito dell’ex amico e segretario di partito, ben consapevole che, alla vigilia del prossimo congresso, la più piccola delle tentazioni trasformistiche determinerebbe immediatamente, con la fine già segnata della Casa delle libertà, quella assai per lui più dolorosa dello stessa unità dell’UDC. Di qui il rinserrare le fila del suo partito nella permanente richiesta della nuova legge elettorale alla tedesca, su cui qualche spiraglio sembra venire dalla Lega e da Fassino e Rutelli, con grande disappunto di Prodi e di D’Alema. Il primo preoccupato delle prospettive future del Partito Democratico e il secondo sempre innamorato del sistema a doppio turno alla francese e pronto ad un rinnovato dialogo con l’odiato Cavaliere.
Di quale superamento bipolare vagheggia il Nostro in queste condizioni? E, d’altronde, se proprio si voleva dare una spinta al rinnovamento della politica, non era forse più opportuno, come lucidamente aveva calcolato Casini con i suoi, far saltare Prodi e puntare ad una soluzione istituzionale impegnata a risolvere la questione della legge elettorale?
Ora se l’aggiunta del voto di Follini alla coalizione prodiana modifica, seppur di un soffio, almeno sul piano strettamente aritmetico, la tenuta del governo al senato, appare assai meno sicura una concreta modificazione dell’assetto politico di una maggioranza che, con o senza Follini, può solo saltare per le irrimediabili contraddizioni interne politico-programmatiche.
O salta sulla mina afghana o su quella dei DI.CO., o deflagra sulla vicenda TAV oppure sulla non più rinviabile riforma pensionistica, dato che, tra qualche mese, entrerà inevitabilmente a regime la riforma Maroni con l’odiato scalone alla cui eliminazione tanto avevano investito rifondaroli e comunisti delle varie chiese: questo è il pericoloso percorso che il governo Prodi dovrà compiere.
Tutti temi su cui il professore ha volutamente glissato nel suo discorso alle Camere tanto da ridurre il ruolo del governo a mero ufficio notarile, rinviando al parlamento le decisioni più importanti che la politica dovrà affrontare a breve e medio termine. Siamo così ad un rinvio dei problemi politici della maggioranza con il trasferimento delle principali scelte politiche alla dialettica parlamentare. Qui i vincoli di maggioranza e di opposizione tenderanno inevitabilmente ad allentarsi costringendo tutti a ragionare oltre gli schemi consueti.
E, intanto, con gli esiti incerti delle prossime elezioni amministrative, incombe minaccioso il referendum sul sistema elettorale. In assenza, assai probabile, di un forte accordo maggioritario in sede parlamentare per la modifica di quest’ultimo, saranno gli elettori a determinare il cambiamento e a quel punto, tra un anno, massimo diciotto mesi, pensioni garantite ai nostri eletti, al voto ci si andrà di sicuro e non sarà stata certamente l’improvvida attuale scelta del transfuga e del “tanghèro” quella che passerà alla storia del rinnovamento politico dell’Italia.

 

don Chisciotte

 

dalla Mancha, 5 Marzo 2007

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria