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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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05/11/2006

Una finanziaria schizofrenica che rischia di mandare il Paese al manicomio

Don Chisciotte del mese: solo agli sprovveduti può essere raccontata la favola che la causa di tutto ciò andrebbe fatta risalire al perfido Berlusconi. Invece...

   

Una finanziaria schizofrenica che rischia di mandare il Paese al manicomio

Alla vigilia dell’esame parlamentare della finanziaria 2007 la situazione appare sempre più confusa. È sempre stato così da quando si è introdotto quel discutibile sistema di presentazione dei bilanci di previsione dei governi, ma, onestamente, mai come in questa occasione si era arrivati ad una così forte disapprovazione da parte della quasi totalità delle rappresentanze sociali, culturali, economiche ed istituzionali più qualificate del Paese.
Non c’è settore economico e produttivo che non abbia qualcosa da rimproverare a questa finanziaria e unanime è l’opposizione da parte di tutti gli schieramenti che guidano la moltitudine degli enti locali italiani.
Tommaso Padoa Schioppa, ennesimo civil servant prestato alla politica, è riuscito nell’impresa non solo di scontentare tutti, ma di entrare in contraddizione con se stesso, se solo confrontiamo quanto da lui rappresentato nel DPEF 2007 e la babele senza capo né coda e in continua permanente mutazione del testo della finanziaria depositato in parlamento. Essa non solo è oggetto, come naturale, degli emendamenti dell’opposizione, ma, cosa straordinaria, di quelli “anomali” provenienti dalle fila di una maggioranza divisa in se stessa e destinata fatalmente a tempi medio-brevi a decomporsi.
Ne risulta un’immagine confusa di un esecutivo che non governa, resa ancor più evidente e pericolosa dalla bocciatura senza appello pronunciata da due delle più importanti agenzie di rating internazionale. Il tutto accade in una situazione di degrado sociale e culturale del Paese di cui le vicende di Napoli sono la rappresentazione più tragicamente emblematica.
Paradossale e tragicomica, infine, la manifestazione dei 100.000, il 4 Novembre, contro la legge Biagi e le insufficienti misure dell’odiato ministro diessino Damiano per i precari.
Avevamo pronosticato una frattura del tessuto sociale ed economico dell’Italia foriera dei più pericolosi esiti, tuttavia, era difficile pensare che si sarebbe arrivati a tanto in così poco tempo.
Solo agli sprovveduti può essere raccontata la favola che la causa di tutto ciò andrebbe fatta risalire al perfido Cavaliere, ché, anzi, le entrate incrementali dell’erario del primo semestre dell’anno in corso sono lì a dimostrare la bontà delle scelte fiscali del governo Berlusconi e di cui Prodi e company stanno largamente approfittando. Resta, invece, netta la responsabilità di un governo tenuto insieme solo dalla volontà di impedire il ritorno dell’odiato tiranno, il quale, superato lo shock del mal digerito ed assai ambiguo risultato elettorale, è tornato sugli scudi di una crescente popolarità, ogni giorno di più supportata dalle capriole impazzite di una maggioranza priva delle più elementari capacità di guida politica.
E non a caso, puntuali come sempre, legge contro personam depositata in Parlamento dal ministro Gentiloni sul riassetto radiotelevisivo e il cronometrico rinvio a giudizio del Cavaliere operata dal PM di turno della procura milanese, sono scattati i soliti meccanismi per impedire a Berlusconi di riemergere e rappresentare l’onda montante della protesta che sale dal Paese. Un Paese che, solo dopo pochi mesi di centro-sinistra, scopre che tassare e aumentare le spese in larga parte improduttive sono le sole ricette proponibili di un esecutivo alla mercé di componenti di sinistra radicali che, in una situazione oggettiva di crisi, altro non pensano che “far piangere i ricchi” per un’ improbabile redistribuzione di ciò che non c’è e finendo con il colpire tutti indistintamente.
E mentre da un lato si sgoverna in una girandola impazzita di proposte e controproposte, dall’altra si inseguono incontri e riunioni tra teopop (Chianciano), teodem (Roma), cristiano sociali (Assisi), diessini di tutte le correnti (Orvieto 1, mentre già si parla della necessità di una Orvieto 2), margheriti e prodiani doc (Frascati), alla ricerca del nuovo contenitore, il partito democratico, di cui si tracciano organigrammi, scuole di formazione e nuove testate giornalistiche senza sapere su quali contenuti e strategie si dovrebbe fondare, mentre permane irrisolta la questione della stessa collocazione del partito a livello europeo.
Particolarmente affollata la teoria dei convegni tra i diversi tronconi della Margherita, dove, tra rutelliani doc, ex popolari mariniani, teodem di Carra, Binetti e Bobba e fedelissimi del professore, è una continua gara a ricercare i responsabili di un tesseramento inflazionato al limite dell’assurdo (quasi un raddoppio magico degli iscritti giunti alla cifra di 400.000, considerevole per un partito che non ha realizzato lo stesso andamento nei risultati elettorali) e a individuare la migliore posizione in vista delle prossime scadenze, tra cui, il superamento dello stesso governo Prodi che, seppur viene negato ufficialmente con forza, non è più un tema tabù, almeno per gli addetti ai lavori.
E se tra i prodiani sorgono già i timori di possibili complotti contro il premier, tra i DS si fa ogni giorno di più minacciosa l’ipotesi di una scissione a sinistra, con il rischio della formazione di un più consistente raggruppamento di coloro che non intendono abbandonare il loro DNA social-comunista per non rischiare di morire postdemocristiani o, peggio, privi della più elementare e rassicurante identità.
Ed anche sul fronte della Casa delle Libertà, scontato il definitivo abbandono del solitario Follini con la sua nuova creatura dell’”Italia di mezzo”, permangono forti le differenze strategiche e tattiche tra i berluscones dei diversi schieramenti e i filocasiniani fautori di un rinnovato centro-destra senza la leadership del cavaliere, considerato ingombrante a dispetto della progressiva crescente popolarità che il sorridente ex premier sta acquisendo nel Paese.
Ed ecco allora riformarsi la squadra degli eterni referendari che, dopo gli annunci a ripetizione di Franco Marini sulla necessità di ripensare il sistema elettorale, hanno già provveduto a depositare presso la cancelleria della Corte di Cassazione due quesiti referendari per la modifica della legge elettorale.
Stesso ideatore dell’infausto referendum del 1993 con cui si decise di abbandonare la proporzionale, il costituzionalista Giovanni Gazzetta è ancora lì ad ispirare le azioni dei vari Arturo Parisi, Mario Segni (sì ancora lui, il Mariotto sempre pronto a raccogliere firme per inseguire un impossibile sogno di rivincita), Willer Bordon e Augusto Barbera. Se verranno raccolte le prescritte 500.000 firme e la Consulta darà via libera, si giungerà alla celebrazione del referendum nel 2008 e, in caso di esito positivo (51% dei votanti e maggioranza dei voti validamente espressi), il premio di maggioranza non andrà più alla coalizione, ma al partito che avrà ottenuto più voti e non saranno più possibili le candidature multiple dei leader in più collegi.
Insomma è l’ennesimo tentativo di passare dal bipolarismo al bipartitismo con buona pace per i fautori, come don Chisciotte, del sistema proporzionale con sbarramento, premio di maggioranza alla coalizione e voti di preferenza.
Certo in una situazione come quella che caratterizza l’intera vicenda di questa seconda Repubblica dove vince chi sta all’opposizione e chi va al governo non governa per i veti delle minoranze di coalizione, qualcosa di nuovo si dovrà pur tentare. Se Casini invoca una Costituente per le riforme istituzionali e i referendari la strada provocatoria di una spallata dal basso verso il bipartitismo e con Violante che non rinuncia alla vecchia idea dei DS del sistema francese a doppio turno, meglio sarebbe se si trovasse la soluzione dentro l’attuale Parlamento sostenuta da una forte maggioranza trasversale.
Resta la pericolosità di una situazione, che si avvita ogni giorno di più su stessa, di un sistema politico istituzionale impotente che per decidere rischia una deriva presidenzialistica con un Parlamento ridotto all’impotenza dal permanente ricorso al voto di fiducia, tanto più iniquo in un Senato dove la conta viene decisa dai senatori a vita che rappresentano solo se stessi, e di un sistema sociale, economico e culturale al limite della tenuta. Se poi si aggiunge una finanziaria schizofrenica che scontenta tutti il rischio di un’implosione sociale e politica non è più un’ipotesi irrealistica.
Stavolta la discesa in piazza congiunta di destra e sinistra contro i provvedimenti del governo è la spia di un malessere sociale, economico, politico e culturale di notevole spessore. Basterebbe un appello allo sciopero fiscale da parte di qualche focoso capo popolo per far saltare un sistema che solo Visco e i comunisti d’antan possono ritenere di poter sottoporre a cure impositive e a metodi di indagine ispettiva degni di un regime. Attenti che dalla schizofrenia delle proposte non si finisca dritti dritti in manicomio.
 

don Chisciotte
 

dalla Mancha. 4 Novembre 2006

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria