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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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12/04/2006

Il cavaliere indomito: da vittima sacrificale annunciata a protagonista assoluto di una campagna avvelenata

Don Chisciotte d'aprile: cosa è successo in queste ultime ore, cosa succederà da domani?

   

Il cavaliere indomito: da vittima sacrificale annunciata a protagonista assoluto di una campagna avvelenata

Siamo ancora scioccati dalla lunga seduta televisiva di Lunedì 10 Aprile, protrattasi dal pomeriggio sino all’alba del giorno dopo, durante la quale abbiamo assistito ad un continuo altalenarsi di numeri e di stati d’animo tra i due Poli, sino alla definitiva verifica dell’inutilità di quegli strumenti di rilevamento demoscopico rivelatisi autentici exit… flops.
A Londra il Cavaliere era dato vincente 4-1, insomma senza alcuna possibilità a detta degli esperti bookmakers inglesi. E, d’altronde, “The Economist” prima, con il suo perentorio “BASTA” in copertina, seguito dal solito “Financial Times”, annunciavano il sicuro de profundis di Berlusconi.
Onore al merito del Cavaliere di Arcore, indomito sino alla temerarietà, per aver saputo ribaltare un pronostico che sembrava segnato dal fato. Un risultato che avrebbe dovuto collocarsi coerentemente al trend negativo delle diverse consultazioni elettorali (amministrative, regionali, europee) successive al trionfo del 2001, quello del “contratto con gli italiani”.
Un recupero di oltre sette punti percentuali in una campagna elettorale condotta, pressoché in solitaria testimonianza, ha in sé del portentoso.
Bloccato da una legge sulla par condicio che, invano il Cavaliere e i suoi avevano cercato di cambiare, scontrandosi con il netto rifiuto di Casini, Fini e della stessa Lega, più preoccupati per le loro formazioni e dallo strapotere del leader di FI che per la tenuta della coalizione nel suo insieme, Berlusconi si è scontrato contro tutto e contro tutti.
Perseguitato da una magistratura inquirente, sempre in agguato con tempistica politica ad orologeria, inviso ai sindacati delle diverse corporazioni e agli enti locali quasi tutti guidati da giunte di sinistra ed alle loro diverse amministrazioni ed enti controllati dalle tentacolari prese sociali, attaccato quotidianamente dalla grande stampa dipendente dai soliti noti, e, scientificamente schivato da uno sfidante che gli ha imposto un tipo di confronto totalmente al di fuori del terreno a lui più consueto, il Cavaliere ha fatto veramente i miracoli.
Subita la decisione di due confronti televisivi all’americana richiesti dallo sfidante professore bolognese, quale conditio sine qua non, in barba ai pronunciamenti della commissione parlamentare di vigilanza sul servizio radiotelevisivo, il Cavaliere doveva anche fare i conti con quella tattica delle tre punte, positiva nei suoi intendimenti, ma autentica camicia di forza per un fighter abituato alla pugna in campo aperto, costretto da impedimenti, limitazioni e regole che lo riducevano a combattere con le mani legate. Insomma è stata veramente la gara di un uomo solo all’attacco, contro tutto e contro tutti, nella consapevolezza diffusa che sarebbe stata la sua Caporetto.
Non si erano, tuttavia, fatti i conti con la tetragona volontà di pugnare del Cavaliere, con la sua naturale sintonia con le pulsioni più profonde dei moderati italiani, di cui Berlusconi ha saputo toccare le corde più sensibili, grazie alla tattica suicida dell’armata Brancaleone del centro sinistra, impegolatasi senza rimedio in quell’impegnativa proposta di riduzione del cuneo fiscale di 5 punti in un anno, il cui costo di oltre 10.000 miliardi di vecchie lire, non poteva e non potrà che essere pagato dal solito Pantalone. Un assist sul tema fiscale fornitogli da Prodi che ha finito con l’essere il leit motiv dominante di tutta la parte finale della campagna elettorale.
Straordinaria l’uscita finale del Cavaliere con l’impegno dell’annullamento, in caso di vittoria, dell’ICI sulla prima casa. Un popolo, l’italiano, che, con irlandesi, spagnoli e portoghesi condivide il primato della più elevata percentuale di case in proprietà, era proprio quello che voleva sentirsi dire. E, dunque… “coglioni” quelli che pensassero di votare contro i loro interessi…
Ed allora, mentre Fini e Casini, con più o meno intenso trasporto, svolgevano il loro pur decisivo ruolo di co-èquipier in linea con il sistema proporzionale introdotto, per il Cavaliere diventava esiziale riportare a votare quegli indecisi, insoddisfatti, rimasti frustrati, dalla dura realtà della situazione economica e sociale e dal mancato raggiungimento di alcuni punti del contratto, soprattutto, quella riduzione alle due sognate aliquote fiscali rimaste, per il ceto medio, un miraggio.
È inutile dire che l’essere riuscito a mobilitare oltre l’83% dell’elettorato attivo, in una campagna che il centro-sinistra, sicuro al 100 % della vittoria, tentava in tutti i modi di tenere su toni sommessi e moderati, è stato il vero capolavoro politico del Presidente del consiglio e leader di Forza Italia.
Doveva essere la sua Caporetto e se, al fotofinish, non è divenuta la sua Vittorio Veneto, poco ci è mancato, con la maggioranza assoluta al Senato e una manciata di voti in meno alla Camera dei Deputati. Di qui la realtà di un Paese elettoralmente, politicamente e, probabilmente, anche culturalmente spaccato esattamente a metà, il quale, disponendo di uno strumento elettorale elementare quale quello della proporzionale senza preferenze, ha segnato in maniera netta e inconfondibile l’attuale consistenza delle diverse forze politiche.
Da quei dati bisogna partire per capire cosa potrà accadere.
La CDL ha avuto la maggioranza assoluta dei voti al Senato (oltre 430.000 voti in più rispetto all’Unione) in cui, tuttavia, grazie al meccanismo elettorale reclamato dalla sinistra e avallato per motivi costituzionalmente ineccepibili dal Presidente Ciampi , e soprattutto, grazie al voto degli italiani residenti all’estero, l’Unione ottiene una strettissima maggioranza di due o tre voti.
Alla Camera, la differenza a favore dell’Unione è di soli 24.000 voti circa, voti di cui la CDL ha chiesto l’immediata verifica, in presenza di oltre 40.000 schede annullate, che, col premio di maggioranza previsto dalla legge elettorale, garantisce all’Unione una maggioranza di 340 seggi contro 277 della CDL.
Con i conteggi provvisori la situazione attuale è la seguente: al Senato 158 seggi all’Unione e 156 alla Casa delle Libertà; alla Camera dei Deputati, con lo scatto del premio di maggioranza, 348 seggi all’Unione e 281 alla Casa delle Libertà.
In queste condizioni :
a) la Casa delle Libertà, con un comunicato congiunto letto nella conferenza stampa unitaria serale di Martedì 11 Aprile, con Berlusconi, Fini, Cesa e Maroni, ha comunicato la volontà di richiedere agli organi competenti della Cassazione l’esatta attribuzione di questi voti e la verifica delle schede contestate, nonché dei verbali trasmessi dai Presidenti dei seggi, ai Comuni e da questi alle Prefetture e al Ministero degli Interni. 24.000 voti su oltre 38 milioni di votanti sono una cifra troppo piccola numericamente e troppo importante politicamente, visto che assegna la maggioranza e con esso il relativo premio alla coalizione cui viene attribuita, per non “andare a vedere”.
b) Berlusconi e alleati, mentre sono ovviamente pronti a riconoscere la vittoria dopo che la verifica dei voti sarà stata effettuata, sono indisponibili a farlo adesso in assenza di quella verifica. Essenziale che il tutto si svolga con ordine e seguendo le normali procedure di legge. In ogni caso, sostengono unitariamente, se dopo la verifica di cui sopra, l’Unione vedesse riconfermato il risultato, spetterebbe a quest’ultima valutare “se e come procedere per assicurare la governabilità” di un Paese che si è rivelato spaccato esattamente a metà. Fuori dal testo del comunicato, Berlusconi intervenendo a braccio, si è spinto ad ipotizzare la possibilità, qualunque sia l’esito della verifica finale del voto, della formazione di un governo di ampia convergenza, partendo dal reciproco riconoscimento dei diversi ruoli e abbandonando i toni e la faccia dell’arme.
c) Questa interessante e coraggiosa apertura non ha, tuttavia, trovato, almeno sin qui, udienza presso l’Unione. Prodi con arrogante sicumera ha affermato essere la maggioranza forte e compatta in grado di assicurare la governabilità del Paese. La direzione dei DS confermava con un immediato comunicato serale, l’inaccettabilità della proposta. Altrettanto netta la risposta di Maroni e di Giovanardi: “se sono capaci di governare in queste condizioni ci provino”, certo, assicurano a nome della CdL, troveranno la stessa opposizione determinata e dura che l’attuale governo ha dovuto subire nei cinque anni trascorsi.
Sin qui le immediate reazioni del dopo voto. Ci sono da considerare alcune scadenze immediate:
1) l’elezione dei presidenti dei due rami del Parlamento, dove i giochi sembrerebbero già concordati: Franco Marini al Senato e Fausto Bertinotti alla Camera. Il primo in corsa per il dopo Ciampi e l’altro, confinato su uno scranno elevato che fu già di Ingrao e della Iotti, con l’intento di allontanarlo da ogni possibilità di nuocere sul piano del governo…;
2) l’elezione del Presidente della Repubblica, unico, allo stato degli atti, terreno politico-istituzionale su cui ricercare una possibile intesa. Un pronostico? Se non vogliono andare all’avventura, riconfermeranno Ciampi;
3) il referendum sulla devolution. Trattasi di un tema delicatissimo e decisivo dovendosi decidere se mantenere in vita l’attuale caotico nuovo Titolo V della Costituzione, così come imposto dal centro-sinistra alla fine del 2000, o di far passare la nuova riforma costituzionale che, con tutti i suoi limiti, introduce significativi elementi di autentico federalismo, riordina correttamente i diversi compiti di Stato e Regioni, riassetta i nuovi compiti delle due Camere e definisce i nuovi poteri dei Presidenti della Repubblica e del Capo del governo. La Lega, giustamente, reclama la coesione della CdL su questa che è la ragione stessa della sua esistenza politica. Un eventuale sconfitta del referendum ci porterebbe indietro di vent’anni, con l’aggravante di un titolo V che, nella sua attuale formulazione, rende oggettivamente impossibile il corretto svolgimento delle diverse competenze e funzioni di Stato e Regioni. A quel punto, l’elezione di un’assemblea costituente per la riscrittura completa della Costituzione sarebbe inevitabile ma , in presenza, di un governo nelle condizioni politiche e numeriche di un Paese e di una delle due Camere (il Senato), esattamente spaccati a metà, in presenza di una situazione economica interna e internazionale difficile, la stessa tenuta complessiva democratica ed istituzionale del Paese sarebbe gravemente a rischio.
Dello stato relativo alle due coalizioni e a quello dei diversi partiti che le compongono dopo i risultati elettorali e sugli scenari evolutivi che, come da tempo andiamo sostenendo, si dovranno disegnare, discuteremo con calma la prossima volta.

 

dalla Mancha, 12 Aprile 2006

don Chisciotte

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria