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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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11/03/2006

Vince Berlusconi, no vince Prodi. E poi che succede?

Dalla Mancha, Don Chisciotte valuta il neo sistema elettorale proporzionale e ritiene che il voto di aprile...

   

Vince Berlusconi, no vince Prodi. E poi che succede?

I giuochi, è proprio il caso di dirlo, sono quasi interamente fatti, almeno per quanto riguarda i probabili eletti. Se un tempo gioie e delusioni si vivevano, come è giusto che fosse, dopo il voto, ora tutto, o quasi tutto, si è consumato entro le ore 20 di Lunedì 6 Marzo, con candidati silurati non dagli elettori, ma dai compilatori delle liste attraverso atti di imperio senza alcuna discussione e la minima partecipazione le quali sole, con la regola aurea di “una testa un voto”, danno un senso alla democrazia.
Un sistema proporzionale spurio, così come anomalo era il precedente ircocervo del mattarellum (molto maggioritario e un poco proporzionale), sono la dimostrazione di un decennio terribile che ha contrassegnato questa lunga fase di transizione politica tra il vecchio ed il veramente nuovo che non è ancora nato.
E così, dalle scelte fatte in casa di Berlusconi e dei DS (1994, 1996, 2001) si è passati alle liste blindate stabilite a Roma dai soliti noti. Liste sulle quali il ruolo degli elettori sarà solamente quello di stabilire, con il voto, il peso specifico di ciascuna forza politica.
Insomma dalla monarchia assoluta dei due partiti maggiori a quella costituzionale dei capi o sedicenti tali delle residue componenti in campo. Certo, cosa ben diversa dai fatti e misfatti cui eravamo abituati noi vecchi “DC non pentiti”, anche se, in ogni caso, si tratta di un passo in avanti per la ripresa di un ruolo dei partiti che sembrava essersi perduto per sempre. Purtroppo si è passati dal niente al troppo, senza regole e la benché minima partecipazione a tutto vantaggio dei capibastone e dei famigli.
Contrariamente alla vulgata corrente del disprezzo, di netto sapore qualunquista, noi, nonostante tutti i limiti e le schifezze di tale metodo di selezione dei candidati, continuiamo a sostenere la necessità di non abbandonare il campo, avendo consapevolezza piena della posta in gioco. Questo del 9 e 10 aprile è e sarà un voto decisivo e di svolta.
Conquistate dal centro sinistra quasi tutte le amministrazioni comunali, provinciali e regionali con la pressoché totale adesione dei sindacati di ogni colore e orientamento; forti nella corporazione dei magistrati, degli intellettuali e degli artisti, con le nuove realtà delle associazioni dei consumatori, la vittoria dell’Unione anche alle politiche, con il controllo del governo e degli enti ad esso collegati, creerebbe un’oggettiva condizione di dominio politico assolutamente asfissiante ed intollerabile per chi non la pensasse secondo il pensiero prevalente.
Naturalmente, dopo cinque anni di cura berlusconiana, non mancano i mugugni e i dissensi. Soprattutto diffusa è la sensazione di frustrazione da parte di coloro che avevano tanto sperato in un cambiamento profondo che, onestamente, è risultato inferiore alle attese, più che alle stesse promesse.
Il contratto con gli italiani, sottoscritto in tempi del tutto diversi da quelli in cui, dopo l’11 settembre del 2001, il governo si è trovato ad operare, seppur sia stato rispettato in gran parte, resta insoddisfatto nella parte in cui più aveva sperato il blocco sociale prevalente di riferimento nel voto del 2001: la riduzione del prelievo fiscale sotto il 40%. Si sperava di dover riservare allo Stato non più di un terzo delle proprie fatiche e dei propri redditi annui, quello che, insomma, un cittadino può riconoscere quale giusto corrispettivo per i servizi resi. Così non è avvenuto ed anche se molte sono state le ragioni a giustificazione dei mancati risultati, resta la frustrazione profonda in molti degli antichi elettori. Ovviamente peggio sarebbe se dalla frustrazione si regredisse sino all’impotenza, al disamoramento del voto, lasciando campo libero al professore di Bologna e ai suoi mentori diessini pronti, dopo le elezioni, a menare la danza. L’hanno già cominciata da tempo anche i poteri forti, con De Benedetti e “La Repubblica” in testa, cui si è immeditamente accodato il direttore del Corriere della Sera, Paolo Mieli. E così quello che un tempo il vecchio Fortebraccio indicava come “Il Corriere della serva” è diventato l’alfiere portabandiera di Prodi e dei compagnuzzi suoi…
Di un cosa siamo certi: comunque vadano le cose, la situazione politica italiana non sarà più come prima. La partita si presenta quanto mai aperta e la guerra psicologica fatta a colpa di sondaggi e di sondaggisti di parte non sarà servita a nulla se, come Don Chisciotte si augura, la gente andrà a votare almeno nella percentuale dell’altra volta. Se i moderati vanno a votare la partita è vinta dal Cavaliere, poiché ai moderati non può essere fatta digerire una minestra riscaldata fatta di ambigui ammiccamenti a destra verso la confindustria e a sinistra con la CGIL e con una compagine parlamentare destinata allo scontro pressoché permanente su quasi tutte le questioni.
Uniti sì, ma solo contro il Cavaliere, se l’Unione prevalesse porterebbe sicuramente uno sconquasso nel centro-destra, ma il rimescolamento delle carte non lascerebbe indenne la stessa abborracciata coalizione ulivista.
Ed anche una vittoria del centro-destra, nelle condizioni attuali, con la rivoluzione inevitabile a sinistra, non mancherebbe di sortire effetti allo suo stesso interno.
Esaminiamo i fatti così come si presentano a meno di un mese dalla consultazione elettorale.
Una scelta incomprensibile di lista unitaria nella elezione dei deputati alla Camera da parte dell’Unione, non sembra essere la strada migliore per utilizzare il proporzionale, con il quale, come è noto, non sempre due più due fa quattro. Così, mentre il centro-destra, partito in condizioni di oggettivo svantaggio, con la tattica delle tre punte e dei gruppi minori, può aspirare a raccogliere il massimo dei consensi di appartenenza, nello schieramento ulivista e dell’Unione, sono più probabili spostamenti all’interno tra i partiti con possibili fughe dal centro. È questa, peraltro, una delle speranze su cui puntano gli ex DC (UDC e Nuova DC di Rotondi) della Casa delle Libertà.
Al Senato, invece, depurati i voti dell’ultima generazione degli elettori, si potrà misurare la consistenza elettorale effettiva di ciascun partito. Sarà quella la base cencelliana di riferimento per ogni distribuzione successiva del potere, anche se, chi vince alla Camera disporrà di un premio di maggioranza che opererà in maniera assai differenziata nei due casi. Se vince il Cavaliere un rafforzamento della compagine parlamentare garantirà la governabilità; se vince l’Unione, il premio rafforzerà con le componenti maggiori dei DS e della Margherita, una nutrita schiera di comunisti di dichiarata fede che renderà assai difficile al professor Prodi di corrispondere agli impegni interni ed internazionali cui il Paese dovrà in ogni caso far fronte. La spartizione delle cariche e del potere potrà fare il miracolo, sulla scia dell’inevitabile euforia per l’eventuale cacciata del tiranno, ma la festa non durerà che l’éspace d’un matin.
E, d’altra parte, la stessa CDL non potrà restare a lungo nelle condizioni attuali di debolezza strutturale organizzativa e politica. La scelta per il partito unitario dei moderati collegato al Partito Popolare Europeo appare lo sbocco inevitabile, qualunque sia lo scenario post elettorale.
Scenario tutto da decifrare quello che uscisse da un voto alla pari senza vincitori e vinti. Un’ipotesi di grande coalizione alla tedesca, nonostante le dichiarazioni scaramantiche contrarie di taluni, non sarebbe improbabile.
Restano due scadenze fondamentali dalle conseguenze altrettanto decisive per gli sviluppi della situazione politica del Paese: l’elezione del Presidente della Repubblica, che dovrà accompagnare quasi in contemporanea quelle dei Presidenti delle due Camere dopo il voto e il referendum sulla devolution nel mese di Giugno.
È chiaro che questi due temi avranno un ben diverso svolgimento a seconda dei risultati elettorali del 9 e 10 aprile.
La speranza è quella di andare avanti per non trovarci nel tunnel di una ingovernabilità da cui il Paese non potrebbe uscire bene e, a quel punto, diventerebbe inevitabile l’elezione di un’assemblea costituente alla ricerca di un nuovo patto costituzionale con cui passare veramente, dopo dieci anni di faticosissima transizione, alla nuova Repubblica.
Ancora una volta i destini dell’Italia sono nelle mani e nella testa dei moderati e l’augurio resta quello che essi sappiano farne l’uso migliore.


Don Chisciotte

 

dalla Mancha, 8 Marzo 2006



 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria