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Domenica 19 gennaio 2025

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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08/01/2006

Se vince Prodi, la sinistra che fa?

Piccolo bignamino della nostra ultima storia patria: dalla rivoluzione giudiziario-mediatica al caso Unipol. Eventuali sviluppi ipotizzati da un ben ritornato Don Chisciotte

   

Se vince Prodi, la sinistra che fa?

Confesso che provo difficoltà e un certo disgusto nel leggere “La Repubblica” dagli anni ‘80, quelli in cui il quotidiano di Scalfari, corteggiando sistematicamente l’allora Segretario della DC, Ciriaco De Mita, dispensava giornaliere dosi di letame sulla Democrazia Cristiana, sulla sua storia e sugli uomini che, fedeli ad un’ipotesi di politica riformista, vedevano nei socialisti i possibili alfieri di una ristrutturazione socialdemocratica della sinistra italiana.
Scomparsi Albertino Marcora, Toni Bisaglia e Carlo Donat Cattin, gli unici “leoni” della seconda e terza generazione democristiana capaci alla pugna, non ci salvarono da una fine ingloriosa né l’impaurito Forlani né l’algido Martinazzoli. Una fine tanto più incomprensibile ed inaccettabile, poiché intervenuta senza alcuna volontà di resistere, col tristissimo risultato che perdemmo una guerra senza combattere.
Con l’attacco congiunto mediatico-giudiziario vennero travolti Craxi e i socialisti e con essi tutti i partiti, Democrazia Cristiana in testa, che avevano guidato il Paese per quasi tutta la seconda metà del secolo scorso.
Crisi della politica e del sistema rappresentativo dei partiti, di cui una pesante responsabilità spetta ad Achille Occhetto e alla dirigenza del PCI-PDS, con Luciano Violante in primis, i quali credettero di giungere finalmente al potere per via giudiziaria. Quella stessa via che, con “mani pulite”, miracolosamente non li travolse, grazie al “compagno G”, Primo Greganti, che si assunse ogni responsabilità sui finanziamenti illeciti e grazie anche ad uno strano teorema sviluppato dai giudici, per cui, mentre l’on. Forlani “non poteva non sapere”, l’on. Occhetto invece, cieco e smemorato secondo la vulgata giudiziaria corrente, “non poteva sapere”.
Ma la “ gioiosa macchina da guerra” dovette fare i conti, perdendo, con il fenomeno nuovo rappresentato dal Cavaliere a da Forza Italia che riuscì, in pochi mesi, a raccogliere la stragrande maggioranza degli elettori del pentapartito e a realizzare il capolavoro di mettere insieme gli ex missini di AN con gli uomini di Bossi e della Lega Nord.
Fu il trionfo dei moderati nel 1994, contro i quali si abbatté immediatamente la mannaia della magistratura milanese, che sferrò al capo del governo Berlusconi e alle sue aziende, sino a quel momento indisturbate, uno degli attacchi che, per quantità e virulenza delle accuse, mai alcun altra azienda o istituzione pubblica o privata aveva potuto o dovuto subire in tutta la storia giudiziaria della nostra unità nazionale.
Ribaltone e successiva sconfitta del 1996 (sconfitta di seggi per il mattarellum e non di voti) e lunga “attraversata nel deserto” durante l’inqualificabile quinquennio prodian-d’alemiano (1996-2001) sino al “contratto con gli italiani”, la ricostituzione della casa delle libertà e il trionfo del 2001.

 

Fatti e misfatti prelettorali

Alla vigilia delle prossime elezioni fissate per il 9 aprile 2006, stanno avvenendo fatti e misfatti, che i due o tre giornali, capifila ed espressione di quei ”poteri forti” abituati da sempre a “privatizzare i profitti e a pubblicizzare le perdite”, quotidianamente si impegnano a registrare, anticipare e/o amplificare, vuoi criminalizzando a turno gli avversari da abbattere, vuoi declinando con arrogante sicurezza temi, proposte e soluzioni per la politica italiana. Insomma, non più organi e strumenti di informazione propri di un giornalismo professionale, ma veri e propri agit-prop e maitre a penser della politica italiana.
Paolo Mieli da un lato e il sempiterno Eugenio Scalfari, con il luogotenente Ezio Mauro, dall’altro, coadiuvati a giorni alterni dalla Stampa di Torino e da Il Sole 24 Ore, sono le punte avanzate di un capitalismo bolso e infiacchito, che con Luca Cordero di Montezemolo (l’uomo dai mille incarichi e, per dirla con l’amato Niccolò, di non misurabili “virtù”, se valutiamo le sue performance imprenditoriali e di straordinaria “fortuna”, se consideriamo le mille opportunità che la vita gli ha sin qui riservato), si stanno impegnando nell’impresa. Il tutto, sotto l’attenta regia dell’uomo che, da sempre, si atteggia a gran visir del sistema italiano, avendo passato indenne tutte le burrasche politico, finanziarie e giudiziarie di questo Paese, Carlo De Benedetti. Sì proprio lui, l’aspirante alla tessera n. 1 del costituendo Partito Democratico, che, dopo un previsto breve periodo di amministrazione del provvisorio Prodi, dovrebbe riconoscere in Rutelli e Veltroni i leader credibili della rinnovata sinistra italiana.
Una ragione in più per conservare l’antica idiosincrasia alla lettura del quotidiano scalfari-debenedettiano et similia, convinto come sono, che non saranno questi apprendisti stregoni a risolvere la crisi politica del Paese, oltretutto puntando, ora come allora, alla distruzione di ciò che resta dei partiti di massa ereditati dal secolo appena trascorso: ieri il pentapartito, oggi i DS di Fassino, D’Alema e Bersani.
Troppe coincidenze non casuali tra i fatti del ’92-94 e quelli di oggi. A distanza di tredici anni, vissuti in una complicatissima e lunga transizione (la cosiddetta “seconda Repubblica”), una complessa ragnatela mediatico-giudiziaria sta tentando di stritolare, ora come allora, quanto rimane di un aggregato elettorale consistente e forte nel sistema politico italiano.
Non che l’idea di far fuori le estreme dalle possibilità di governo sia in sé peregrina. Gli è che pensare di risolvere a sinistra il caso, con la distruzione dell’unità dei DS a favore di un fantomatico nuovo partito egemonizzato dai poteri forti, quelli del fu “salotto buono” milanese, con il ruolo di pifferaio magico assegnato al dottor De Benedetti ed ai suoi accoliti, mi sembra una stranezza velleitaria fuori da ogni ragionevole possibilità di riuscita.
I partiti non si creano a tavolino, nemmeno da chi con i tavolini ha avuto in passato dichiarate, se non accertate, frequentazioni. E, d’altronde, il caso di Berlusconi e di Forza Italia non può essere riprodotto sull’altra sponda. Allora ci fu un elettorato orfano dei suoi partiti di elezione che trovò nel Cavaliere l’alfiere indomito per la propria sopravvivenza. Oggi, seppur feriti in uno dei punti nevralgici del loro sistema di potere, le cooperative e l’Unipol, con pesanti risvolti a carico dei massimi dirigenti politici, resta la realtà di un partito, i DS, ancora forte nelle sue rappresentanze istituzionali nei livelli locali (regioni, province e comuni) e nei gangli decisivi della casematte sovrastrutturali (per dirla gramscianamente); ossia nella cultura, nelle organizzazioni sociali, nella stessa magistratura e ancora in grado di resistere (vedi caso Monte dei Paschi) nel tremendo sconquasso di potere che sta avvenendo a livello bancario. Qui è veramente in atto uno scontro titanico interno e internazionale. Fatto saltare Antonio Fazio, con l’intervenuta nomina del neo governatore Mario Draghi e con l’approvazione della nuova legge sul risparmio, siamo solo agli inizi di un processo di ristrutturazione i cui esiti sono ancora tutti da decifrare. Intanto Antonveneta è stata acquisita dagli olandesi di Abn-Amro, senza bisogno di OPA, di patti e contropatti, ma per via giudiziaria, mentre per la BNL, si vedrà. Insomma dai “furbetti del quartierino” ai furbastri di sempre…

 

La partita del potere in Banca e nella politica italiana

È qui che probabilmente si gioca, come a suo tempo lucidamente intuì Nino Andreatta, la vera partita del potere in Italia. Una partita che, dopo la scomparsa di Enrico Cuccia, non è ancora giunta al suo epilogo e ad un accettabile equilibrio finale. Essendo questa, tra l’altro, una delle ragioni delle attuali difficoltà dei DS e dei loro massimi esponenti, i quali incautamente, come incautamente fece Fazio, si sono avventurati (con una compagnia di giro, più banda brancaleonica che selezionata equipe di efficienti ed abili finanzieri) in un attacco alla stanza proibita (RCS e BNL), quella in cui: “ chi tocca i fili muore”.
Bene ha fatto l’on. Sandro Bondi ad intervenire sollecitando i DS ad un chiarimento di fondo e ad invitarli a compiere quel reciproco riconoscimento e legittimazione che, sin qui sono mancati, tra le due più importanti formazioni politiche oggi presenti in Italia: i DS da un lato e Forza Italia dall’altro.
Sul centro-destra il futuro, comunque vadano le elezioni, è segnato. Fallito il tentativo folliniano, probabilmente non estraneo ai giuochi dei Mieli e degli Scalfari, di una rottura tra UDC e FI, la prospettiva resta quella della formazione di un grande Partito moderato, collegato all’esperienza dei Popolari europei. Infatti il “Manifesto dei valori”, approvato nell’assemblea dell’8 Novembre scorso, contiene i dieci principi costitutivi del nuovo partito dei moderati e dei riformisti italiani.
Sul centro-sinistra quello che serve non è un fantomatico Partito Democratico frutto dell’immaginifica astrazione di alcuni intellettuali e dei loro interessati padroni e suggeritori. Un partito che dovrebbe scaturire dalla traumatica rottura di ciò che resta, ed è ancora molto e valido del vecchio PCI, quanto l’assunzione definitiva da parte degli eredi di Togliatti, Longo e Berlinguer, dell’irreversibile scelta socialdemocratica e riformista, attorno a cui costruire l’alternativa democratica al centro-destra in un rinnovato e credibile bipolarismo fondato sul reciproco riconoscimento di pari legittimità democratica. Che ci si riesca con il prossimo voto proporzionale con premio di maggioranza è assai difficile oggi prevederlo. Certo non sarà Romano Prodi e chi già pensa alla sua sostituzione con il duetto dei sindaci romani, vecchio e nuovo, a risolvere il caso storico della sinistra italiana. Piaccia oppure no, è ancora alla lucida, seppur improvvida e sfortunata, intuizione craxiana che gli eredi diessini debbono rifarsi, ridandosi il coraggio di una profonda autocritica sul passato e assumendo orgogliosamente e non per terze interposte figure, la guida di un riformismo di sinistra di cui il nostro Paese, come tutta l’Europa, ha tuttora bisogno. Può darsi che, come in questi giorni chiede Confindustria, dopo il voto di Aprile serva un rinnovato patto costituzionale e si debba convocare una nuova Costituente, anche se, probabilmente, serviranno tempi più brevi, con il passaggio, da augurarsi positivo, del referendum sulla riforma costituzionale appena varata dal Parlamento. L’auspicabile continuità di un governo di centro-destra, in grado di portare a compimento la trasformazione profonda del Paese avviata dal governo di legislatura uscente, dovrebbe favorire sul piano politico, da un lato, la formazione del nuovo partito dei moderati, e dall’altro la definitiva ricomposizione attorno ai DS della nuova realtà della sinistra italiana.
Una vittoria, come quella annunciata di Prodi e company, lungi dal facilitare il processo di ricomposizione del nostro sistema, per come si stanno mettendo le cose, appare sempre più come la soluzione meno adatta ed efficace per ritrovare un equilibrio politico perduto con la fine del pentapartito e che la lacerazione ipotizzata dei DS, di sicuro non favorirebbe. Sta ancora alla saggezza del popolo italiano far sì che le fortune di questo Paese, lungi dall’essere prodotte dalle interessate attenzione dei soliti noti a loro esclusivo vantaggio, derivino, come nei momenti più alti della nostra storia, dalla consapevole e ampia partecipazione popolare cui solo compete, con la sovranità sancita nella Costituzione, il compito di concorrere con metodo democratico alla vita dei partiti, strumenti indispensabili per il pieno dispiegarsi della democrazia.

 

Don Chisciotte


dalla Mancha, Gennaio 2006

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria