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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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28/09/2005

A Ladispoli, a Ladispoli, ma la posta è vecchia?

Intervento di don Chisciotte dalla Mancha. UDC, sistema proporzionale, leadership della CDL e frattaglie di un dibattito politico che ha segnato l'estate.

   

A Ladispoli, a Ladispoli, ma la posta è vecchia?

È assai arduo tenere il passo con le vicende del teatrino politico di casa Italia. Ancora aperto il tormentone del caso Fazio, in stand by quello del partito unico o unitario, mentre nel centro-destra si trascina la questione della legge elettorale e le lotte per l’investitura del dopo Berlusconi, nel centro-sinistra prende il via la tragicomica vicenda delle primarie prodiane. Ha un bel reiterare, il Presidente Ciampi, il suo appello a “guardare in avanti e alle cose concrete”, se un giorno sì e l’altro pure, Polo ed Ulivo sono, soprattutto, alle prese con le loro scadenze e, assai meno, alle questioni programmatiche e direttamente coinvolgenti i problemi delle famiglie italiane.

Al Presidente Ciampi, peraltro, si dovrebbe, seppur sommessamente, ricordare che fu proprio sotto il suo governo che si cambiò il sistema elettorale e che ciò avvenne, naturalmente (era l’agosto 1993), proprio alla vigilia del voto del marzo 1994. È patetico Romano Prodi quando grida all’attacco al sistema democratico da parte di Follini e UDC con la loro richiesta del ritorno al proporzionale; così come indisponente risulta Luciano Violante, quando si erge, lui capo del giustizialismo affossatore dei partiti democratici della Prima Repubblica, a difensore integerrimo della democrazia. E contraddittori sono, altresì, quegli ex comunisti dei DS che, alcuni anni fa, sostennero la battaglia per l’eliminazione della quota (25%) proporzionale del mattarrellum, con la tesi che essa favoriva la frantumazione delle forze politiche, ed ora, usano l’argomento esattamente contrario per difendere i vari partitini che appartengono al caravanserraglio dell’Unione. Da sempre sosteniamo il ritorno al metodo proporzionale alla tedesca e ad un sistema di partiti democratici in cui le decisioni vengano assunte secondo il principio canonico: “una testa un voto”. Ciò che, tuttavia, non convince in tutta questa vicenda, è il tentativo degli amici dell’UDC, dopo il buen retiro nell’hotel “la Posta vecchia”, sul mare di Ladispoli, di incrociare, sino a confonderle e a sovrapporle, le due questioni per loro dirimenti: modifica del sistema elettorale e cambio della leadership.

Questioni che, invece, andrebbero affrontate separatamente e nei tempi politici realisticamente possibili. Da alcuni anni i capi dell’UDC stanno fremendo esageratamente sui tempi del ricambio della leadership. Un ricambio che, ovviamente, non potrà non avvenire, atteso che in politica, come nella vita, è solo questione di tempo. Tanto più, dopo un’esperienza come quella del Cavaliere e di Forza Italia, che ha oramai tagliato il traguardo dei primi dieci anni e sembra giungere con qualche affanno all’appuntamento elettorale della prossima primavera. Si sa che, l’esame attento dei rapporti di forza e la valutazione corretta del tempo il cui si possono esercitare le diverse opzioni, sono elementi essenziali di qualsivoglia strategia e tattica politica. A me sembra che, tanto nella valutazione dei primi che nella scelta del secondo, la dirigenza dell’UDC stia clamorosamente sbagliando e rischiando un pericoloso boomerang politico ed elettorale.

Non so quali forze e quali ragionamenti ispirino la strategia e la tattica di Follini e Casini. Bruno Tabacci è stato il solo a perseguire da molto tempo, e talora con scarsa adesione, l’idea di un cambiamento all’interno dell’alleanza. Assai più incerta ed ondivaga la posizione di Follini e, per certi versi, ambigua (data anche la sua funzione istituzionale) quella del Presidente Casini. Allo stato dell’arte si deve constatare che la loro azione ha sin qui prodotto i seguenti risultati: un logoramento progressivo dell’alleanza; uno scontro nemmeno troppo velato e sotterraneo al proprio interno; un isolamento pericoloso e che è sempre un cattivo compagno in politica ed, infine, il rischio, non si sa quanto ben calcolato, di una riduzione della rappresentanza parlamentare ai minimi termini.

Esaminiamo analiticamente le diverse questioni. Si dice di non volere passare dall’altra parte ma che, anzi, la volontà è quella di introdurre una “discontinuità”, solo con la quale la Casa delle libertà può ancora aspirare a vincere. Di fatto, dall’altra parte, scontata la netta chiusura di Prodi, nonostante i baci e gli abbracci di Mastella a Telese, né dai settori ex DC e rutelliani della Margherita, né, tantomeno, dalle componenti più manovriere dei DS (D’Alema in testa) sono venuti segnali incoraggianti, tali da prefigurare possibili scenari futuri alternativi. Anzi, rebus sic stantibus, volenti o nolenti, al di là del velleitario appello centrista del prof Monti, col centro-destra, così come è ancor oggi configurato, bisognerà fare i conti anche in un futuro prossimo.

E non saranno proposte di modifiche elettorali, come quelle frettolosamente depositate alla Camera dei Deputati (onestamente non difendibili nemmeno da un proporzionalista straconvinto come Don Chisciotte) a cambiare la situazione. Innanzi tutto perché quelle proposte, come si è visto, non solo non passano, ma consentono a Berlusconi di assumere immediatamente il ruolo di mediatore-garante, tanto all’interno della Casa delle Libertà, quanto nei confronti dei partiti di opposizione. All’interno dell’UDC poi si scontano le posizioni differenziate, non solo dei “berluscones “ storici (Carlo Giovanardi, Sandro Fontana ed Emerenzio Barbieri), ma anche di quegli amici siciliani (Totò Cuffaro in primis) alle prese con un rinnovo di mandato che, salvo capriole politiche non impossibili, come più volte accaduto nella lunga storia politica siciliana, non sembrano oggettivamente praticabili a breve- medio termine.

Ecco perché a Ladispoli ci si è dovuti accontentare di richiedere il cambio del sistema elettorale, posto che il cambiamento di leadership politica non è oggettivamente all’ordine del giorno, almeno sino alle elezioni politiche e/o, più realisticamente, immediatamente dopo… Non si comprende a questo punto perché si voglia puntare all’eliminazione della quota di sbarramento elettorale al 4% che, come giustamente sostiene Fini e AN, è la condizione per garantire, con la rappresentanza proporzionale dei seggi, il bipolarismo e la governabilità: due beni preziosi cui, credo, nessuno intenda più rinunciare.

Se a sinistra non ci sono sponde e a destra ci si isola, prima con FI sul tema della leadership, poi con la Lega per il voto sulla devolution, infine con AN e Fini sulla legge elettorale, dove si intende andare a parare? E, soprattutto, se in queste condizioni non si cambia la legge elettorale, come si andrà a finire con la rappresentanza parlamentare della prossima legislatura? Il mio augurio è che si vada compatti al voto su devolution e legge elettorale proporzionale con sbarramento almeno al 4%, indicazione del premier e sfiducia costruttiva. Contemporaneamente si cessi la lunga guerra di logoramento e di posizione autodistruttiva per impegnarsi veramente nella formazione del partito unitario, sezione italiana del PPE e, poi… si vedrà e se son rose… fioriranno, senza forzature e strappi, frutto di strategie miopi e tattiche controproducenti.

 

Don Chisciotte

 

dalla Mancha, 17 Settembre 2005

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria