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14/07/2013

Il caso Berlusconi insegna...

Gli scienziati hanno intuito l'esistenza di Plutone, mentre in politica anche le cose più lampanti possono essere messe in dubbio... Un commento di Gianni Pardo

   

Il caso Berlusconi insegna...

Venerdì, 12 luglio 2013 - 10:47:00

 

Di Gianni Pardo

 

Anni fa degli scienziati scopersero Plutone non perché l’avessero visto ma perché dedussero da altri fenomeni gravitazionali che doveva esistere.
Viceversa la maggior parte della gente si accorge delle cose solo quando le vede, anzi, a volte riesce a negare ciò che vede in favore di ciò che crede.
Ecco perché parlare e scrivere di politica è pressoché inutile: non solo siamo lontani dalla scienza, ma anche se qualcosa fosse seriamente dimostrabile, la maggior parte delle persone continuerebbe lo stesso a pensarla come prima. C’è gente che contro ogni evidenza ha creduto per decenni che l’Unione Sovietica fosse un Paese prospero e libero. La realtà, in questo campo, appare a volte inconoscibile. Ad esempio, il fatto che Silvio Berlusconi sia stato assolto o prescritto più o meno trenta volte per alcuni significa che è stato perseguitato da magistrati ostili, mentre era innocente, per altri significa che ha avuto avvocati bravi e denaro da spendere a fiumi, mentre di fatto era colpevole in tutti i processi. Dunque i giudici non sono affidabili per nessuno, né quando assolvono, né quando condannano.

In tutta questa vicenda la prima danneggiata è la giustizia penale. Se per alcuni, essendo abbastanza ricchi, il risultato si può di fatto comprare, e se per altri contro pregiudizi politici inamovibili l’innocenza non conta nulla, è come se al governo ci fosse Caligola. La seconda vittima, non meno importante della prima, è la politica. È assurdo che dall’assoluzione o dalla condanna di un singolo uomo politico dipenda la sorte del governo. Soprattutto quando una cosa del genere non l’afferma un pericoloso estremista ma quel compassato galantuomo che è per tutti Renato Schifani.

Sono argomenti scivolosi e conviene prescindere dalle posizioni politiche di ciascuno. Cerchiamo di badare soltanto ai dati obiettivi. Ammettiamo che il governo Letta sia il solo possibile e comunque il più utile nelle circostanze
attuali: i magistrati potrebbero allora, nell’interesse del Paese, pur reputando Berlusconi colpevole, assolverlo solo per non turbare gli equilibri politici. Ma sarebbe una cosa normale? Ammettiamo invece che quella sezione della Cassazione sia composta da magistrati assolutamente ostili all’attuale esecutivo e che essi, pur sapendo Berlusconi innocente, lo condannino per far cadere il governo. Sarebbe una cosa normale? In realtà è comunque assurdo che si affidi la sopravvivenza di un esecutivo a dei magistrati non eletti dal popolo. È una responsabilità eccessiva e del tutto al di fuori delle loro funzioni.

La legge è uguale per tutti perché nei Tribunali si amministra la giustizia che riguarda i cittadini, non lo Stato. E infatti nessun giudice deve essere chiamato a decisioni che finiscono con l’essere decisioni politiche. Ecco il significato della “separazione dei poteri”: e in questo senso è già troppo che esista la Corte Costituzionale, come già tante volte osservato. È per evitare che ci fosse un serio conflitto fra il potere giudiziario, da una parte, e quello esecutivo e legislativo, dall’altra, che prima del 1993 esisteva l’
articolo 68 della Costituzione. Ecco il suo dettato: “Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale; né può essere arrestato, o altrimenti privato della libertà personale, o sottoposto a perquisizione personale o domiciliare”; “Eguale autorizzazione è richiesta per trarre in arresto o mantenere in detenzione un membro del Parlamento in esecuzione di una sentenza anche irrevocabile”. Come si vede l’attuale imperversare delle toghe era del tutto impossibile. Non bastava neanche una sentenza passata in giudicato. Poi, nel demenziale cupio dissolvi di Mani Pulite, e in un delirio di infantile giustizialismo, il Parlamento reputò che fosse un affare, per il Paese, investire i magistrati di una responsabilità che non gli competeva e non gli compete. Non capirono, questi bifolchi intimiditi, che l’art.68 non era a favore dei parlamentari ma della democrazia. E si autoaffondarono.

Il lettore, qualunque sia la sua posizione politica, deve porsi un dilemma
ineludibile: è giusto che un gruppetto di magistrati decida il destino di una nazione? Anche ad ammettere che siano in buona fede, e che per salvare il Paese passino - con strazio - oltre la lettera della legge, è normale che la sorte di una nazione democratica sia decisa non dalla volontà degli elettori, ma da quella di un gruppo di funzionari che non rispondono a nessuno delle loro decisioni? E se la loro opinione fosse sbagliata? O sono gli unici esseri umani infallibili, al mondo? Non bisogna pensare al caso singolo. Le proprie preferenze politiche non contano: ciò che importa è che la nostra democrazia ormai è commissariata. E chi non se ne accorge non somiglia certo a quegli scienziati che scopersero Plutone.

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria