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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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14/02/2010

Fiat e aiuti di Stato: c'è ingratitudine?

il problema è che la crisi ha creato un nuovo ordine e la politica industriale del Governo deve ora lasciare gli incentivi per l'auto e andare verso un sostegno reale alle piccole e medie imprese vero nerbo del nostro Paese. L'opinione di Don Chisciotte

   

Fiat e aiuti di Stato: c'è ingratitudine?

La settimana scorsa, sollecitati dalle crisi occupazionali dell’ALCOA e di Termini Imerese, avevamo evidenziato i caratteri assolutamente nuovi e diversi di una crisi occupazionale di carattere strutturale collegata ai mutamenti intervenuti nella divisione dei lavoro a livello planetario.

Nuovi attori sono scesi in campo e troppo differenziate sono le condizioni economiche, sociali, di cultura industriale e ambientale e di protezione sociale tra i Paesi del ricco occidente e dell’Europa custode di un welfare state che non regge più, e troppo pesanti le conseguenze, soprattutto a carico dei lavoratori della fascia di età in cui risulta difficile sia pensare alla pensione, sia ad una riconversione compatibile.

È in questo quadro che esplode in tutta la sua gravità la questione FIAT.
Finito il tempo in cui l’Avvocato poteva affermare: “ciò che è bene per la FIAT è bene per l’Italia”, dal 2006, anno in cui le redini dell’azienda sono state assunte da Marchionne con la presidenza di Luca Cordero di Montezemolo, alla soglia di una situazione pre fallimentare, le cose sono profondamente mutate.

In fondo, lo tsunami finanziario che ha sconvolto il mondo ha rappresentato un’opportunità per Marchionne e soci, potendo contare sulle risorse USA ai fini del salvataggio di Chrysler in forza di un convincente piano industriale che, tuttavia, cambia profondamente la natura e la funzione di quella che è stato per quasi un secolo uno dei campioni del sistema industriale italiano.

Campione sempre sostenuto da tutti i governi italiani succedutesi da Giolitti in poi. Sia in periodo di pace, sia di guerra, la FIAT ha rappresentato un esempio, non isolato nel panorama europeo, di azienda mista privato-pubblica, in cui era ben declinato l’assioma di un capitalismo nostrano uso a pubblicizzare le perdite e a privatizzare i profitti. Magari con qualche esportazione di capitali di consistente valore, come stanno a dimostrare le triste vicende delle eredità familiari di casa Agnelli, degne di una delle pagine più brutte della saga dei Forsyte o dei Buddenbrooks.
È patetico il sig. Luca Cordero di Montezemolo, cui sembra strizzare l’occhietto il segretario del PD Bersani, quando sostiene che da quando lui e Marchionne hanno assunto le redini del gruppo FIAT, la società non ha preso un soldo dallo Stato.

E gli incentivi per le rottamazioni, stimati in oltre 250 milioni di €, dal 2006 al 2008, che cosa sono? E gli oltre 20 miliardi di euro, che autorevoli esperti economici calcolano approssimativamente, di finanziamenti diretti assicurati al colosso torinese negli anni precedenti, oltre alla garanzia di un sostanziale monopolio al tempo in cui si temeva l’invasione dell’auto giapponese, cos’altro furono? Per non parlare del caso dell’Alfa Romeo e della Lancia regalate alla Fiat contro una pingue offerta della Ford lasciata miseramente e colpevolmente cadere.

Bene hanno fatto i ministri Scajola e Calderoli a replicare alle incaute e ingrate parole dello scapigliato sempre giovin signore torinese.
Il primo, ricordando che, se FIAT è uscita dalla crisi qualche merito va ascritto alla politica del governo, mentre, più brutalmente, ma con non meno efficacia, il ministro leghista ha chiesto retoricamente se Luca Cordero, con quelle parole, non stesse raccontando una barzelletta.

Ingrata FIAT e pericolosissima situazione per i lavoratori del gruppo.
Va preso atto che non siamo più di fronte ad una realtà i cui interessi coincidono con quelli del Paese. Spostato il baricentro strategico a Detroit e diffusa la produzione in varie parti del mondo in cui esistono le migliori economie di scala, si deve considerare la Fiat alla stregua di tutti gli altri operatori operanti nel mercato.

Produrre meno di un terzo della sua produzione in Italia, assai al di sotto di quanto fanno gli operatori concorrenti in Francia (Renault)e in Germania (Wolkswagen), comporta per lo Stato lasciare aperte le porte a possibili investitori alternativi.

Basta con gli incentivi, palliativi di breve periodo, di fatto elementi di distorsione del mercato, mentre seriamente si deve puntare a una nuova politica economica e industriale a sostegno soprattutto delle industrie medie e piccole che costituiscono il nerbo strutturale della nostra economia.

Certo lo scenario è profondamente mutato e nuove idee e nuovi progetti dovranno scaturire dal nostro genio italico. Essenziale che lo si accompagni e sostenga con politiche aperte e di forte connotazione solidaristica e sussidiaria.

 

 

Don Chisciotte

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria