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Sabato 18 gennaio 2025

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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29/06/2008

Tra Politica e Magistratura: il ruolo dello Stato

Don Chisciotte spiega, con la similitudine del mulino, come dovrebbe funzionare la Giustizia in Italia e la pericolosa involuzione del PD che rischia di essere guidato da... Di Pietro

   

Tra Politica e Magistratura: il ruolo dello Stato

Varato il DdL diventato il “lodo Schifani 2”, ossia l’immunità per le più alte cariche dello Stato, dopo l’emendamento al decreto sulla sicurezza, già approvato al Senato, con cui si è deciso la sospensione per un anno per i processi che comportano pene inferiori a dieci anni, per dare priorità a quelli connessi ai reati più gravi “che provocano maggior allarme sociale”, ritorna prepotentemente alla ribalta il tema dei rapporti tra politica, nelle sue espressioni istituzionali più rilevanti del Parlamento e del Governo e la magistratura.

Con l’aiuto del mio amico Eretico che mi fa dono delle sue riflessioni, cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

I tre poteri fondamentali – legislativo, esecutivo, giudiziario – fanno capo allo Stato, ossia – in uno Stato democratico – ai cittadini.
Alla Magistratura è assegnata la “funzione giurisdizionale”, ossia di “applicazione”, al servizio del “potere giudiziario”, che, tutto intero, rimane allo Stato. Deve, in sostanza, amministrare la giustizia secondo le leggi emanate dal “legislatore; dunque sempre dallo Stato". Lo Stato fa le leggi, le applica, le fa rispettare. Per farle rispettare dispone dell’ordinamento (non potere) giurisdizionale, della Magistratura per l’appunto. E questa, dunque, non è alla pari né, tanto meno, al di sopra dello Stato; ma ne fa parte quale “strumento tecnico-operativo”, non politico. Essa può, anzi deve, esprimere le sue istanze e i suoi pareri anche politici, ma soltanto attraverso il Ministro che la rappresenta all’interno del governo.

L’autonomia di cui la Magistratura è dotata, riguarda l’amministrazione della giustizia, ossia l’applicazione delle leggi dello Stato, e vale a garantire al cittadino l’imparzialità di giudizio, non a separarla dal corpo dello Stato. Autonomia giurisdizionale non significa indipendenza istituzionale. La Magistratura ha dei doveri, non dei poteri. Il suo motto dovrebbe essere: “La legge è uguale per tutti e la giustizia anche”.

Se tutto ciò ha un qualche fondamento, assistendo a quanto sta accadendo in Italia (ormai da troppo tempo) nascono le seguenti riflessioni.
“Sovversione” significa comportamento contrario all’ordine costituzionale. In tale fattispecie rientra anche il prevaricare le norme sulle quali tale ordine si fonda.
Le esternazioni pubbliche – quali le diffusioni mediatiche di opinioni, messaggi e proclami – sono prevaricazioni lesive per uno Stato di diritto e squalificanti per l’autorevolezza sia morale che istituzionale della Magistratura.

La cosiddetta “macchina della Giustizia” può essere, metaforicamente, vista come una “macina”, che trasforma “biada di varia natura” (contenzioso) in “farina confezionata” (sentenze).
La “farina” alimenta il civile convivere, che, dunque, deperisce quando la “macina” (per insufficienza propria, o per altri motivi) produce troppo poco o male. In tal caso, uno Stato democratico deve intervenire, pena la sua stessa sopravvivenza. E la regolazione del flusso di “biada” alla “macina”, in funzione del prodotto che il corpo sociale e politico reclama con urgenza, è una delle operazioni che lo Stato può e deve fare.
Rimarrà poi – sempre allo Stato – il problema di “adeguare la macina” al fabbisogno o – se necessario – di munirsi di una “macina migliore”.
La Magistratura è “macina” non “mugnaio”.
Un pensiero cattivo: Se le Forze armate assumessero atteggiamenti simili a quelli di una “certa Magistratura”, si urlerebbe al “golpe”. E con ragione.

Spiace che Veltroni, strattonato dall’inquisitore di Montenero di Bisaccia ridotto a esternazioni da osteria, colpevolmente da lui fatto sopravvivere politicamente, debba inseguire girotondini e micromegafoli, i vari Grillo e Travaglio dell’antipolitica, i quali, perdenti sul piano elettorale, tentano di rovesciare ancora una volta per via giudiziaria quanto gli elettori, ossia il popolo sovrano, con voto democratico liberamente espresso hanno sancito il 13 e 14 Aprile scorso: il diritto del premier di governare per cinque anni. E dire che il leader del PD si era presentato come l’uomo nuovo che avrebbe dovuto superare l’antiberlusconismo di cui si era nutrita, nelle alterne fortune, la fallimentare esperienza dell’Ulivo e dintorni. Propositi durati “l’èspace d’un matin”…..
Attenzione ai richiami prima alla piazza e poi al referendum di cui vanno predicando alcuni esponenti dell’Idv : potrebbero risultare un boomerang pericolosissimo, con un elettorato stanco di inefficienze e rinvii e che chiede solo una cosa: un governo che sappia e possa governare. La piazza, se chiamata ad esprimersi, potrebbe rivelare amare sorprese…….specie per i Tonini di turno.

 

 

Don Chisciotte

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria