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Sabato 18 gennaio 2025

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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11/05/2008

Il Vessillo di Alessandria significa libertà!

Il testo integrale della relazione del Priore della Confraternita del Santo Crocifisso in San Giovannino, tenuta in occasione della consegna dei Gagliaudi d'Oro 2008.

   

Il Vessillo di Alessandria significa libertà!

Signor Presidente del Consiglio Comunale,
Signori Componenti dell’Onorevole Giunta Municipale,
Signori Consiglieri,
Autorità,
Signore e Signori,

ringrazio subito il Sig. Sindaco ed il Signor Presidente del Consiglio Comunale che mi hanno affidato il compito di tenere questa conversazione di carattere storico nell’occasione del compleanno della città.
Non merito tanto.
E vi confesso che non senza un certo imbarazzo mi accingo ad intervenire.
Innazittutto per l’alta qualificazione del consesso che mi ascolta; poi, per l’argomento che cercherò di illustravi che rimanda alle nostre radici, alle radici del nostro Comune cioè della nostra comunità; infine per il fatto che non sono un “storico” di professione: semmai uno che si diletta di “ricerca storica”.
All’inizio muovendomi un po’ come “apprendista stregone”, successivamente imparando ed applicando la “metodologia della ricerca storica”.
Questo mi ha permesso di avere con le vicende storiche un approccio più libero e più concreto, meno condizionato dalla “scienza accademica” e dalle sue “mode”.
Proprio da quelle “fatiche” traggo un’indicazione: forse è venuto il momento di raccogliere in unico corpus , una sorta di “regesto”, tutto quanto riguarda la storia della Città: pubblicazioni, articoli, studi, etc.
Sarebbe un utile strumento da mettere a disposizione degli studiosi e di tutti coloro che a vario titolo si occupano con queste cose.
Si badi bene questa è solo la mia opinione personale, non è niente altro che il racconto della mia esperienza.
Ho imparato che effettivamente la storia è un “moto discontinuo” che non necessita di essere riordinato ma semplicemente compreso.
La storia è il luogo dove la libertà dell’uomo incontra la libertà di Dio ed il nostro compito è quello che tocca ad ogni buon cristiano nella sua vita cioè discernere, capire.
Chi riordina la storia lo fa sulla base del proprio sistema di valori che funziona da decodificatore degli avvenimenti, quindi inevitabilmente compie un’operazione ideologica.
Questo è ciò che cercherò di NON fare oggi.

Tutto nasce dalle ricerche per ricostruire la storia della Confraternita di S. Giovannino (che rimandando le sue origini alla seconda metà del XIII sec. è l’istituzione più antica della Città, dopo il Comune) e dalle discussioni ad esse conseguenti con alcuni amici, in particolare Gianni Isidoro De Piaggia.
Ad un certo punto mi sono imbattuto nell’identificazione del nostro stemma (araldicamente descritto come: d’argento alla croce piana di rosso) come “bandiera di S. Giorgio”.
Apro subito una piccolissima parentesi, per fare una richiesta al Sig. Sindaco:
Sig. Sindaco recuperi S. Giorgio!
Perché la sua immagine, negli ultimi anni, è stata completamente rimossa anche dal logo della nostra “Fiera” a lui dedicata. Infatti, se si osserva bene il logo della "Fiera" quello raffigurato in esso non è “S. Giorgio che uccide il drago”, ma semplicemente un cavaliere medievale, con la corazza ed una “picca da torneo”...e basta. Altro che S. Giorgio!

Si è eliminato il “drago”: simbolo del “nemico del genere umano”, citato nell'Apocalisse, operando di fatto un cambiamento che va ben oltre il mero aspetto grafico o estetico.
Ma, per tornare all'argomento, ecco quanto ho potuto raccogliere sull'origine di questo stemma che, peraltro, è ancora attualmente oggetto di studio approfondito.
Esso era, generalmente, lo stemma dei Comuni guelfi (seguaci del papa) e quindi anche di questa nostra Città i cui abitanti che proprio dal papa Alessandro III trassero il nome.
A Milano, già dal 1045 a seguito della formazione del Comune avvenuta per mezzo della pacificazione dei due ordini cittadini: il popolo ed i nobili con la partecipazione del clero, venne istituito il più antico emblema cittadino, risultante dalla fusione delle due insegne di parte, il bianco (del popolo) ed il rosso (dei nobili) in un unico stemma “partito”, cioè in uno scudo diviso a metà in senso verticale.
Pare poi che questo stemma fosse composto con la croce di rosso dopo la prima, cosiddetta, Crociata durante la quale la croce di rosso dipinta sulle armature fu il segno di riconoscimento di coloro che vi parteciparono.
Era anche il simbolo dei pellegrini che si recavano presso i luoghi santi del Cristianesimo e che - dopo il 1095, anno di conquista di Gerusalemme da parte dei Turchi selgiuchidi - mossi in gran parte (in un primo momento) da spirito sincero di missione, decisero di prendere la croce ed armarsi per liberare la terra ove nacque e visse Gesù Cristo, in risposta ai ripetuti attacchi subiti dai Turchi, decisi - soverchiati gli Arabi - a spingersi alla conquista dell'impero Bizantino.
Qualcuno sostiene che in realtà la scelta di tale segno distintivo sia stata deliberata direttamente dal Concilio di Clermont (oppure, a seguito delle deliberazioni conciliari) che diede avvio al movimento di liberazione dei luoghi santi.
La simbologia del Salvifico vessillo della vera croce - come Jacopo da Varagine (domenicano, autore della “Legenda aurea” o “Legenda Sanctorum” ed infine Arcivescovo di Genova dal 1292 al 1298, il suo culto come “beato fu confermato da Pio VII nel 1816) indicò la croce di San Giorgio - determinò nel medioevo, per i pellegrinaggi armati, l'appellativo di “crociate cristiane”.
Ho detto di Jacopo da Varagine. Ma come mai questo Arcivescovo di Genova era così legato a questo simbolo?
L'uso di questo vessillo da parte dei Genovesi pare risalire ad epoche remote, quando l'esercito bizantino stanziava nella città ed il vessillo della guarnigione (una croce rossa in campo bianco) veniva portato in omaggio nella piccola chiesa di San Giorgio.
A Genova infatti i bizantini tenevano un forte presidio, diretto nel 544 da Bono, nipote del generale Giovanni. Sarebbe sorta allora la prima cappella di S. Giorgio, nel Foro accanto al presidio militare.
I genovesi erano molto attaccati a questa Chiesa ed alla sua piazza che sorgevano sul luogo dove si suppone si trovasse il Forum romano. Si mantenne infatti sino a tutto l'Alto Medioevo l'uso di convocare qui il popolo; inoltre da qui si calcolavano le distanze in miglia romane sulle vie Aurelia e Postumia (da cui, per esempio, i nomi: Quarto - IV (quartum) milium, Sestri - VI (sextum) milium, Pontedecimo - Pons ad X (decimum) milium).
Ma un altro evento determinò la diffusione della “bandiera di S. Giorgio”.
Accadde che, nell'anno 1098, durante una delle più furiose battaglie, la battaglia di Antiochia, della Prima - cosiddetta - Crociata, i cavalieri crociati ed i condottieri inglesi vennero soccorsi dai genovesi con un aiuto che ribaltò l'esito dello scontro e consentì la presa della città, ritenuta inespugnabile.
Secondo la leggenda il martire si sarebbe mostrato, in una miracolosa apparizione, ai combattenti cristiani accompagnato da splendide e sfolgoranti creature celesti con numerose bandiere sulle quali erano raffigurate proprio delle croci rosse in campo bianco.
Successivamente, nel 1190 Londra e l'Inghilterra chiesero e ottennero la possibilità di utilizzo della bandiera crociata per avere le loro navi protette dalla flotta genovese nel Mar Mediterraneo e in parte del Mar Nero dai numerosi attacchi di pirateria; per questo privilegio il monarca inglese corrispondeva al Doge della Repubblica di Genova un tributo annuale. L'Inghilterra, la città di Londra e la Royal Navy issano tutt'oggi la bandiera di San Giorgio ed è la loro bandiera nazionale. Infatti, in seguito alla creazione dell'odierno Regno Unito, si è creata la Union Flag (chiamata erroneamente: Union Jack), risultata dalla sovrapposizione, in modo armonioso, delle bandiere di Inghilterra, Scozia e della vecchia bandiera adottata dalla corona britannica per l'Irlanda.
Comunque, esso corrisponde al Vexillum beati Petri raffigurato anche sull’Arazzo o Tapisserie de Bayeux che dimostra come tale emblema già nell’XI sec. fosse lo stemma concesso dai papi.
Fu, infatti il papa Alessandro II (il milanese Anselmo da Baggio) che lo inviò a Guglielmo il Conquistatore nella lotta contro Aroldo che si concluse con la battaglia di Hastings (1066), raffigurata nella Tapisserie.
Il medesimo Vexillum fu consegnato dallo stesso papa Alessandro II ad Erlembardo in segno di riconoscimento ufficiale della lotta della Patarìa milanese. Infatti, il Vexillum fu poco tempo dopo nelle mani di S. Arialdo, capofila dei riformatori patarini, quando questi nelle campagne di Monza sconfisse Guido da Velate, l’arcivescovo filoimperiale, che dopo essere stato rinchiuso nel Monastero di S. Celso riuscì a giungere a Borgoglio dove morì il 23 agosto 1071.
Si può quindi facilmente comprendere che anche la nostra terra fu coinvolta in queste vicende come pure sono noti e documentati i rapporti con i genovesi che, qualcuno sostiene, abbiano finanziato l'avvìo della nova civitas alessandrina, e che quindi lo stemma crociato doveva già essere noto nelle terre che poi costituirono Alessandria ben prima della data che convenzionalmente viene riconosciuta come fondante della città, il 1168. Il 3 maggio, perché in quel tempo le riunioni si svolgevano generalmente nei giorni festivi ed in questo giorno si celebrava (ancora fino al Concilio ecumenico Vaticano II) la festa dell’Inventio Sanctae Crucis, il ritrovamento della S. Croce a Gerusalemme per opera di S. Elena, madre dell’imperatore Costantino.
Nel quartiere di Borgoglio - dove fino al Concilio di Trento si celebrava con il rito ambrosiano - il Monastero benedettino di S. Pietro era alle dipendenze dirette dell’Arcivescovo di Milano (qui probabilmente si ritirò Guido da Velate) e la chiesa della Collegiata di S. Maria di Borgoglio che ancora nel 1336 era sanctae ecclesiae mediolanensis subiecta ed addirittura nel 1697 il suo sigillo recava l’immagine di S. Ambrogio che pure era dipinta sul campanile unitamente allo stemma crociato ed alla parola: libertas.
Un piccolo inciso: è molto bello che questa parola: libertas, LIBERTA', sia così intimamente legata alla storia della città.
Sia il Monastero di S. Pietro sia la Collegiata di S. Maria furono trasferite in città quando nel XVIII sec. il quartiere di Borgoglio fu distrutto per consentire la costruzione della Cittadella.
La Collegiata di S. Maria di Borgoglio, quando passò in città, fu unita alla Chiesa di S. Lorenzo che da allora e tuttora porta lo stesso titolo.
Il Monastero di S. Pietro nel 1520 era stato trasformato in Collegiata abbaziale che nel 1728, profittando del trasferimento in città e della morte dell’Abate commendatario, fu estinta dal papa Benedetto XIII ed unita alla mensa vescovile per cui il Vescovo di Alessandria assunse il titolo di: Abate della Collegiata di S. Pietro.
Nel 1730 la Collegiata trovò sede nella Chiesa di S. Dalmazzo nel quartiere cittadino di Marengo e mutò il nome in: Collegiata dei SS. Pietro e Dalmazzo. Anche il titolo del Vescovo mutò ed ancora oggi è: Abate dell'insigne Collegiata dei SS. Pietro e Dalmazzo. Successivamente dopo alcune peregrinazioni conseguenti all’utilizzo profano delle Chiese durante l’occupazione francese, dal 1824 trovò sede definitiva nella Chiesa del Carmine ed la prima dignità della Collegiata, il Priore del Capitolo, fu data la cura d’anime. Per questo ancora oggi non si dice il Parroco ma il Priore del Carmine.
Una piccola osservazione: attualmente lo stemma episcopale di S. E. Mons. nostro Vescovo reca nel “capo”, cioè nella parte più nobile dello scudo, la bandiera di S. Giorgio. Essa è pure lo stemma del Comune di Vercelli.
Con un solo segno araldico, Mons. Versaldi rende omaggio alla sua città di origine ed alla città nella quale svolge il suo - come si legge nel motto dello stemma - ministero.
Tornando al nostro stemma crociato, il 30 maggio 1206 papa Innocenzo III scrivendo Potestati ac populo alexandrinorum, al Podestà ed al popolo degli alessandrini, afferma che: In signum autem gratiae specialis mittimus vobis sub insigni Beati Petri Vexillum ut ipse vos tamquam filios speciales contra hostes mentis et corporis custodiat et defendat (In segno di speciale grazia vi mandiamo il Vessillo del Beato Pietro affinché vi custodisca e difenda quali figli speciali, contro i nemici dello spirito e del corpo). Questo documento trascritto dall’insigne storico il prof. don Francesco Gasparolo nel “Cartario alessandrino” (doc. CCLXXIII), costituisce perciò l’attestazione - si può dire - formale della concessione dello stemma ad Alessandria.
Si noti anche come l’aggettivo specialis sia usato dal papa come qualificativo sia della grazia accordata con la concessione del vexillum (gratiae specialis) sia degli Alessandrini (filios speciales).
Quindi, questa della concessione del Vexillum è l'unica data certa, storicamente fondata e documentata che riguarda la storia del nostro Comune.
Ma, avviandomi alla conclusione, qual è allora il segno che unisce tutti gli avvenimenti delle origini e giunge fino a noi.
Poco fa mi sono riferito alla parola: libertas.
Il 29 ottobre 1174 Alessandria contava circa 8.000 abitanti, quando subì l’attacco delle forze imperiali che avevano già espugnato nei mesi precedenti Susa ed Asti. Questa volta però l'esercito dell'Imperatore rimase bloccato di fronte al fossato che circondava la città. A questo proposito bisogna dire che sarà necessario, prima o poi, studiare i motivi che fecero fermare i soldati tedeschi.
Cominciò così un lungo assedio che terminò il 12 aprile 1175, era il Sabato Santo, con la resa degli uomini del Barbarossa, attaccati e colti impreparati dagli alessandrini mentre erano intenti a scavare un tunnel per fare irruzione all'interno della città.
La tradizione vuole, invece, che a salvare la città fosse stato uno stratagemma ideato dal mitico Gagliardo di cui oggi facciamo memoria con la consegna della “benemerenza civica” a lui intitolata..
L’anno dopo il 29 maggio 1176, il Barbarossa fu sconfitto definitivamente a Legnano.
Il tutto è ricordato nella cupola della nostra Cattedrale, disegnata dall’architetto conte Arborio Mella, che in 24 nicchie ospita gli altrettanti protettori delle città della Lega Lombarda.
Furono donate per iniziativa della Gioventù Cattolica Italiana dalle suddette Città nel settimo centenario della vittoria di Legnano (come ricorda l’iscrizione che è alla base della stessa cupola) e furono inaugurate il 26 aprile 1879. Alla cerimonia erano presenti oltre quello di Alessandria, ben 10 Vescovi, tra i quali il beato Giovanni Battista Scalabrini, Vescovo di Piacenza. Anche in questo caso si noti: inaugurate il 26 aprile.
Peraltro anche il prodigioso sudore che diede origine alla venerazione degli Alessandrini per la loro Madonna della Salve avvenne il 24 aprile 1489.
Per Alessandria quindi il mese di aprile è il "mese della libertà" contro l'occupazione dello straniero: il 12, libertà contro l'imperatore tedesco; ed il 25 di 770 anni dopo, contro le forze nazifasciste-germaniche.
Ecco credo che in questo semplice sostantivo: libertà, noi possiamo trovare la cifra originale degli alessandrini di ieri e di oggi.
Mi sia qui permessa una breve digressione linguistica.
Libertà deriva appunto da libertas ed è il sostantivo astratto che si riferisce ai liberi. Che è il nominativo plurale di liber.
Questa parola con la vocale i breve: ĭ, corrisponde a “libro”.
Con la i lunga: ī, identifica il sostantivo: “figli” originariamente i figli delle classi dirigenti, e poiché ci si riferisce ad un periodo in cui la società era organizzata su base tribale, è meglio dire “caste dominanti”. Identifica anche l’aggettivo: “libero”, “non soggetto ad alcun padrone”, il contrario di “schiavo”
Cosa significa questo?
I figli degli appartenenti alle classi dirigenti nascevano senza padroni.
Quindi, concettualmente la libertas è uno status naturale: si nasce liberi.
Nessuno può accordare ad alcuno la libertà.
Per questo la libertà fa parte del diritto naturale. Ripeto: si nasce liberi.
Ed il patto sociale si regge sull’equilibrio della libertà di ciascuno, con il fondamento della legge: la legalità.
Ecco perché il vulnus alla legalità è un vulnus profondo alle fondamenta della comunità.
E la libertà va difesa. Anche contro lo Stato. Se lo Stato con il suo ordinamento la conculca. Questo hanno sempre fatto gli alessandrini.
Voglio qui ricordare un avvenimento.
Quando nell’aprile 1945 si dovette di stabilire il luogo in cui avviare la trattativa per la resa delle forze armate nazifasciste, fu proposta la Cattedrale.
E dobbiamo alla penna del can. Quinto Gho se sappiamo ciò che è accaduto. Egli era, infatti, il Segretario del Capitolo della Cattedrale e stese il verbale con la descrizione di ogni avvenimento, accompagnandola con il suo commento.
Peraltro, è molto significativo che la mediazione della Chiesa alessandrina avvenne tramite il Capitolo ed il Vicario capitolare, Mons. Pier Damiano Civera, poiché il Vescovo era deceduto nel mese di marzo e la S. Sede, a causa degli avvenimenti bellici, non aveva ancora potuto provvedere per il successore che poi fu S. E. Mons. Pietro Gagnor.
Questa mediazione della Chiesa si espresse attraverso gli esponenti genuinamente alessandrini del clero. Con Mons. Civera, i Monsignori Quinto Gho, Urbano Viazzi ed altri.
Proprio per questo il Capitolo ha sempre goduto di un grandissimo prestigio e della più alta considerazione degli alessandrini: i suoi componenti eccellevano, erano il meglio sotto ogni punto di vista civile, culturale ed ecclesiale.
Si legge nel verbale di Mons. Gho:
“Il can. Gho propone quale sede il Duomo, luogo neutro, anche per simbolo ed auspicio. Attorno alle Cattedrali dei Comuni gloriosi si è svolta tutta la vita civile e politica dei tempi passati. La Cattedrale si erge quale simbolo di pace nel centro della città, e dalla Cattedrale partirà, ancora una volta, la pace….”.
E prosegue: “Ma se gli ufficiali tedeschi avessero avuto tempo di guardare alla cupola, non avrebbero trovato per loro un augurio: i ventiquattro protettori delle città della Lega Lombarda e la iscrizione che ricorda la disfatta di un altro fuhrer (n.d.r.: questa parola in tedesco, mi pare, significhi: condottiero), Federico Barbarossa, non prometteva nulla di nuovo.”.

Ecco,

Signor Sindaco,
Signor Presidente del Consiglio Comunale,
Signori Componenti dell’Onorevole Giunta Municipale,
Signori Consiglieri,
Autorità,
Signore e Signori,

queste tre parole: “nulla di nuovo”, indicano la costante della lotta per la libertà.

Quel Gonfalone, Beati Petri vexillum, con la bandiera di S. Giorgio vuole dire proprio questo: libertà.

 

 

Priore Roberto Piccinini

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria