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Venerdì 10 gennaio 2025

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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19/07/2015

LMCA: bellecaldai e Savino...

Fabbio va alla ricerca del segreto della farinata, non abbandonando però il racconto sui cibi di strada tra richiami, cicli attrezzati e il Moccagatta

   

LMCA: bellecaldai e Savino...

Raccogliendo alcuni suggerimenti preziosi dagli ascoltatori, che seguono non solo mentre la trasmissione, ideata, curata e condotta da Piercarlo Fabbio, va in onda ogni martedì dalle frequenze di Radio Bbsi ma anche utilizzando i podcast e scaricando in download le varie puntate che vengono pubblicate sui siti www.fabbio.it e www.ritrattidallalba.it, ‘La Mia Cara Alessandria’ nella puntata del 28 aprile – dopo aver dedicato la settimana scorsa un ricordo personale al gelataio ambulante -, vede Piercarlo Fabbio occuparsi dei venditori di farinata, “che pur in Alessandria girovagavano con un carrettino simile a quello del gelataio, sebbene meno tecnologico ed esteticamente più grossolano”? Ecco, perché? Cerchiamo di porre rimedio, non solo occupandoci del “bellecaldaio” (“Bell’e calda” era il richiamo che lo contraddistingueva, che è anche il secondo nome della farinata alessandrina), ma anche di coloro, magari solo citandoli, che popolavano le nostre città con offerte di cibi da strada e i cui epigoni oggi sono i paninari, i venditori di piadine, i rari confezionatori di hot dog, almeno a girare qui da noi”. Lo si trovava davanti al ‘Moccagatta’ al termine delle partite dei grigi, che allora pencolavano tra la serie A e la B. E’ probabile che, durante l’inverno, un qualcosa di caldo potesse fare bene dopo circa tre ore passate ai bordi di un campo, magari immersi nell’umidità, nella nebbia incollaticcia e neppure riscaldati da uno 0-0 (match pari, ma il dialetto lo ha trasformato in mes pari, che è più o meno la stessa cosa visto che ci si spartisce la posta in parti uguali), dicevo, neppure troppo riscaldati da un risultato che in casa lasciava, ora come allora, l’amaro in bocca. E quindi una fetta di bell’ e calda (belecouda) poteva funzionare. Avvolta in una pezzo di carta, forse un po’ gommosa, ma ancora tiepida, riscaldata dalla brace sotto la teglia di rame martellato con l’interno stagnato, veniva ingurgitata tra mugugni per il prezzo, sempre troppo alto per la quantità ricevuta. Ancor più se la ressa intorno al “triciclo”, faceva temere al venditore che il contenuto della teglia se ne sarebbe volato via in un batter d’occhio. Meglio sfruttare il mercato quand’è positivo! Il carretto somigliava a quello del gelataio, ma era meno bello. Grigio, squadrato, spinto non da una moto ma dalla forza del venditore che pigiava sui pedali con forza specialmente in partenza. Sotto alla teglia vi era una brace con i tizzoni roventi, ma non il fuoco. L’ultimo venditore che mi ricordi aveva il laboratorio in una via del centro storico, probabilmente via Vochieri, mentre altri, come Savino (in via Bergamo) o Toschi (in piazza Marconi, poi in via Merula) si erano ormai ritirati in piccoli negozi e non potevano più essere catalogati tra i venditori ambulanti. Peraltro ‘Savino’ era il nome e Toschi il cognome… Insomma una sorta di monopolio o di cartello da granducato di Toscana. E’ mancato proprio in questi giorni Franco Traversa, che era il fornaio di Savino. Lo chiamavano tutti Savino, però”.

L’uomo era infiocchettato da un grembiule forse bianco, più probabilmente bianco con forte tendenza al grigio, che doveva dare l’idea di una certa igiene. Completava la strumentazione a disposizione anche un coltello con il quale la farinata veniva tagliata in fette e deposta nell’involto di carta cerata.

Ma da dove veniva la farinata? La storia è vecchia quasi quanto Alessandria. “Nel XIII sec. le navi erano sospinte oltre che dal vento anche dalla forza dei rematori, spesso alimentati con zuppe di legumi ben conservabili come i ceci. Dopo la battaglia della Meloria (1284), dove i genovesi sconfissero i pisani, le galere della ‘Lanterna’ erano così affollate di riottosi vogatori da perdere la loro proverbiale agilità, e sembra che una di queste imbarcazioni, solcando l’irrequieto Golfo di Biscaglia, si sarebbe trovata per diversi giorni al centro di una tempesta. L’acqua di mare imbarcata provocò gravi danni nella stiva: i ceci si ammollarono, qualche barile di olio si sfasciò, e l’umido ridusse tutto in una purea. Quando ritornò il bel tempo, fu scoperto il piccolo disastro arrecato alle provviste e, per il fatto che i viveri erano diventati scarsi, ai prigionieri fu data da mangiare l’informe cibo. Qualcuno dei pisani rifiutò la purea, abbandonando la scodella sul banco, salvo poi riappropriarsene il giorno dopo, quando i morsi della fame erano diventati irresistibili. Un’intera giornata di esposizione al sole aveva però trasformato la pietanza in una specie di focaccetta, qualcosa di diverso dalla poca appetitosa poltiglia di ceci. La scoperta casuale interessò i genovesi che ne perfezionarono la ricetta cuocendola in forno a legna, e battezzandola per scherno agli avversari ‘oro di Pisa’".

Si trattava, dunque, di una cucina di strada, popolare, che si comprasse con pochi soldi e che magari avesse stretti legami con il territorio. E le figure che esercitavano questa professione erano girovaghe, perché non era la gente ad andare da loro, ma erano loro che andavano dalla gente. “Se ci pensiamo un po’, qualche retaggio è rimasto. Savino aveva iniziato con il castagnaccio. A Milano tutti i castagnacciari venivano chiamati ‘Gigi della gnaccia’. Li chiamavano Gigi perché provenivano o dalla Toscana o dalla Liguria. Secondo alcuni riuscirono ad unire di più loro l’Italia, di quanto non fecero i Savoia." Ma lasciamo che Carlo G. Valli ce lo descriva con una certa verve: "E’ caldo e bollente, strillava l’ambulante che stringeva sul fianco sinistro la grande teglia di rame stagnato, rotonda e dal basso bordo, per aver modo di agire liberamente con la mano destra, o la teneva sospesa davanti, sul torace, sorretta da enormi bretelle; alle volte la posavano su un cavalletto di legno rotondo sostenuto da un paletto. (…) Ad ogni richiesta l’uomo infilava un coltello nel gnaccio (…) e con la mano rapoida la incideva, estraendone generose fette, pastose e morbide, dal bruno colore della castagna, abbronzate dalla fiamma, miracolosamente ancora tiepide, sotto gli occhi dei bramosi acquirenti che seguivano quel semplice gesto misurandone la grandezza quando la porzione veniva posata sul lembo di carta”. (Valli, Carlo G., C’erano una volta Cibi di strada, azzurra, Pastrengo, 2014, pag. 102).
E dopo il gelataio e il ‘bellecaldaio’, la rassegna potrebbe continuare come per l’acciugaio. “Ci basti per ora sapere che l’acciuga poteva essere considerato l’anello di collegamento darwiniano tra mare e terra. E l’evoluzionista britannico avrebbe dovuto ancora studiare tanto, prima di arrivare a ritenere un pesce come anima di due luoghi, proprio qua, sulla via del sale”.

Come da tradizione la rubrica della ‘Reclame d’annata… però’ (Burro naturale San Giorgio, Dott. Cav. G. Osimo, Cesare Verona); per ‘Stra per stra’ ci troviamo in piazza Amilcare Soria (confluenza delle vie: San Pio V, Burgonzio, 1821, Venezia). Il Basile lo cita come “persona estremamente buona con tutti, senza distinzione di credi, di ideologie, di vedute speciali”. Nato a Canelli nel 1887, studia in Seminario ed è consacrato sacerdote. Insegna al Liceo Plana di Alessandria. Ma è particolarmente interessato all’alfabetizzazione dei carcerati, convinto com’è che la mancanza di cultura personale sia una delle cause che favoriscono i delitti. Insieme ad altri, come lo stesso Basile, Petazzi, Chionna e Guazzotti fonda la scuola carceraria che riuscirà a diplomare in ragioneria e come geometri tanti reclusi. Fu cameriere soprannumerario Segreto del Papa e si dedicò fino quasi al termine della sua vita – morì in Alessandria nel 1962 – perché la sopraggiunta cecità gli impedì di continuare la sua preziosa opera. C’è della storia anche sulla piazza: 1800-1814 place de San Bernardin, dal Convento del 1300, poi trasformato in Ospedale, quindi, dal 1841 al 1845, trasformato in carcere; piazza dell’Ospedale, conosciuta come piazza dei Bigatti, per il mercato dei bozzoli; dal 1878 piazza Goito, dove si è tenuto il mercato della frutta all’ingrosso; ora piazza Don Amilcare Soria."

La puntata si chiude con ‘L’almanacco del giorno prima, fatti successi tanti, tanti anni fa in Alessandria’ e con la playlist della settimana curata con Roberto Cristiano: Il cielo in una stanza, After the rain, Centro di Gravità Permanente, La canzone del sole, La Mia Banda Suona Il Rock, Contessa.

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria