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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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08/07/2015

LMCA: il museo delle divise

Donato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria al Comune, ora i suoi contenuti sono esposti in Cittadella, sotto la custodia dei Bersaglieri in congedo. Un rapido excursus

   

LMCA: il museo delle divise

La musica di ‘Hello Dolly’ apre la puntata del 7 aprile de ‘La Mia Cara Alessandria’, trasmissione di Radio BBSI scritta, curata e condotta da Piercarlo Fabbio, introducendo la marcia e la parata. E’ passato più di un lustro da quando il Comune e il presidente della Fondazione Cassa di Risparmio Pierangelo Taverna decisero di incominciare a insediare un primo momento culturale stabile all’interno della Cittadella. Oggi è conosciuto semplicemente come ‘Museo delle divise’ e chissà quanti lo hanno già visitato sotto la guida amorevole e professionale dell’Associazione Nazionale dei Bersaglieri, presieduta da Pietro Bologna.

In realtà ha un nome più complesso, perché si tratta dell’esposizione permanente di uniformi, armi e cimeli del regio esercito in Italia dal 1848 al 1946. L’idea fu quella di fare un omaggio, nel 2011, al 150esimo dell’unità d’Italia. Un riconoscimento non solo a chi aveva combattuto per formare e difendere quell’unità, ma anche al luogo, la Cittadella di Alessandria, dove ben 27 anni prima della Guerra d’Indipendenza del 1848, e 40 anni prima dell’Unità sancita nel 1861, aveva sventolato un tricolore, nella notte tra il 9 e il 10 marzo 1821.

E Alessandria aveva potuto tenere a battesimo il Risorgimento. Le due cose riuscirono a essere messe insieme, utilizzando una Collezione, di proprietà di Anselmo Aliberti, poi donata dalla Fondazione al Comune. La raccolta è composta da oltre 1500 pezzi, tutti originali e databili al periodo 1848-1946. Nel Palazzo del Governatore alla Cittadella fu processato e detenuto Andrea Vochieri, nel 1833, prima di essere fucilato nella piazza d’armi ove ora sorge l’attuale piazza Genova o Matteotti. Nel palazzo, dove governò spietatamente Gabriele Galateri di Genola (i suoi discendenti lo chiamano ancora ‘el cativ’), si entra superando tre scalini e si svolta a sinistra per trovarci immersi in un tempo che quelle stesse stanze hanno conosciuto in ogni sua forma e sfaccettatura. Due corridoi distribuiscono i visitatori verso le 15 stanze della mostra. Sono lievemente sfalsati e portano ad altri due ambienti aggiuntivi: la sala dedicata ai bossoli di proiettili e quella che contiene un abito originale appartenuto all’allora Re Umberto II.

Nelle 15 grandi stanze della mostra sono stati ricostruiti i luoghi ove le uniformi potevano essere usate, nel tempo della loro vigenza. Perché le divise sono prodotti del legislatore, che, interviene, a secondo delle necessità e dei mutamenti prodotti nello Stato nazionale, per fissare nuovi canoni nella vestizione dei militari. Così, ad esempio le uniformi risorgimentali dell’esercito sardo-piemontese vengono sostituite, dopo la presa di Roma negli anni Settanta dell’Ottocento, da quelle riformate dal generale Ricotti Magnani per volere di Vittorio Emanuele II. Divisa che ebbe ben poca fortuna, perché sostituita di lì a poco, nel 1876, venne nuovamente sostituita.

Nella terza sala, dedicata ad un campo militare in un periodo compreso tra il 1878 e il 1895, sono contenuti i manichini dei soldati di vari corpi che indossano questa nuova uniforme, più elegante rispetto a quella precedente della riforma Ricotti. Non vi sono solo divise indossate, ma anche armi e accessori: sciabole, moschetti, pistole, capelli, kepi con telini protettivi e uniformi di soldati, sottoufficiali e ufficiali, come quella del colonnello comandante del Reggimento di Fanteria oppure del graduato di truppa di Cavalleria in grande uniforme con tanto di colbacco e sciabola. Dal Risorgimento si va all’ufficio del comando militare per come era organizzato tra il 1878 e il 1890. Ma si può visitare idealmente anche la Caserma di fine Ottocento, come poteva essere la nostra Valfrè. Non poteva mancare il fascino discreto e borghese del circolo ufficiali.

Cambiano le uniformi con la riforma Baistrocchi del 1933, sempre meno suggestive e colorate e sempre più funzionali alla guerra, che di lì a poco scoppierà. Si chiude con la nuova Italia tra l’esercito della RSI e quello partigiano e con un omaggio alle donne combattenti e alla nascente repubblica. D’un fiato abbiamo trascorso in quelle austere stanze bel 98 anni della nostra storia in cui si è fatta l’Italia e forse anche gli italiani, Massimo d’Azeglio permettendo.
Per la ‘reclame d’annata’: Ditta Bellotti, Stabilimento fotomeccanico Cassone, Studio dentistico dott. Bertalero. Per i proverbi: “Avrì u fa i fiù e magg ha l’ha l’unur” (Aprile fa i fiori e maggio ne ha l’onore); “Avrì scur e piuvus u fa l’ani grass e grasius” (Aprile scuro e piovoso fa l’anno ricco e grazioso); “Avrì bagnà, pon per tit l’anà” (Aprile bagnato, pane per tutta l’annata); “Nadal erbus, Pasqua piuvusa” (Natale senza neve, porta ad una Pasqua piovosa).

Dopo l’Almanacco del giorno prima, fatti successi tanti, tanti anni fa in Alessandria; finale in musica con la playlist della settimana dedicata ad Alberto Rabagliati: Quando La Radio Canta (1940); Amapola (1941); Maria la O, Ernesto Lecuona; Bambina Innamorata (1954); Tu Musica Divina, (1940); C'è Una Casetta Piccina (Sposi, 1940); Quano canta Rabagliati (1941); Ba... ba... Baciami Piccina; Ma l'amore no; La scuola del ritmo (1946). (puntata 125)

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria