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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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07/07/2015

LMCA: la Primavera qui da noi

Si raccolgono erbe, si fanno frittate, si recitano proverbi, si vive più fuori casa e le donne fanno bucati pantagruelici e si occupano dei bachi da seta...

   

LMCA: la Primavera qui da noi

Puntata dedicata alla Primavera, quella de “La mia cara Alessandria” di Martedì 24 marzo 2015 sulle frequenze di Radio BBSI. Piercarlo Fabbio, autore e conduttore del programma, la spiega così: “Siamo stati per un bel po’ di puntate in mezzo alla storia, sia grande che minuta. Ci ritorneremo, ma è bene rifiatare. Tanto più che da qualche giorno è Primavera e il broncio invernale gradatamente viene sostituito dal sorriso della resurrezione della natura. I poeti hanno infiocchettato la Primavera come nessun altra stagione, ma i piemontesi sono gente pratica e i nostri proverbi ci raccontano una realtà che proprio in rima non è.”
Quindi Primavera sì, ma non in generale: la Primavera qui da noi. E come non partire con i proverbi?
A la Primma, tit i’erbi i von ben per fé l’insalata (A primavera tutte le erbe vanno bene per fare l’insalata). Ma ce n’è anche un altro che fa il paio con quello appena sentito: An Primaveira, tit cul cu bita fora la testa a l’è bon per fé la mnestra (In primavera, tutto ciò che mette fuori la testa è buono per fare la minestra)
Enrico Bassignana, uno degli antropologi più citati da LMCA, racconta che: “In passato l’inverno era una stagione dura. Faceva freddo, fuori ma anche in casa. C’era tempo a disposizione, ma non troppa varietà sui modi di impegnarlo. Si viveva di scorte, di ciò che si era riusciti ad accantonare nella bella stagione: e non si sapeva per quanto avrebbe dovuto durare. Poi, ad un certo punto, qualcosa cambiava. Delle chiazze di verde nuovo iniziavano a comparire nei prati e lungo le siepi. Un verde che è uniforme solo per noi, gente di oggi, ma che una volta si sapeva meglio conoscere, e utilizzare. Di qui le uscite nelle belle giornate, per le prime raccolte destinate a minestroni, insalate o frittate.”
È l’occasione per passare in rassegna alcune erbe: “U je nenta erba cla uarda an sü ca l’abia nenta la so virtü”. (Non c’è erba che guardi in su, che non abbia la sua virtù): il papavero (la pianta e non il fiore che tutti conosciamo, qui si chiamano anche “donnette”), il trifoglio, il timo, l’ortica, la ruchetta o rughetta o rucola selvatica, la borragine (dalle foglie rugose) ma si stia attenti perché anche la Digitale è simile, ma è pianta medicamentosa e non commestibile in quanto tossica, il crisantemo campestre, il tordilio (simile al prezzemolo), la sanguisorba o pimpinella, la portulaca selvatica, il tanaceto o balsamina, il raperonzolo, la cicoria, il tarassaco o dente di leone, per noi dente di cane con il caratteristico fiore a soffione, il crispino, il ramolaccio selvatico, i sarsett che poi sono le foglie di valeriana selvatica.
Per “denc ad con” si va nei campi a prato o in quelli che attendono le semine più tarde come il granturco. In realtà il soffione non è altro che una trasformazione del fiore giallo del dente di cane.
E una volta colte le erbe e sicuri, possiamo passare alle insalate e alle frittate.
La primavera è anche l’inizio di un ciclo completamente nuovo. Del resto le giornate si fanno più lunghe e alcune colture, come la potatura delle viti, la sarchiatura, la concimazione, la semina e il trapianto degli ortaggi imponevano al contadino di passare buona parte della giornata nei campi. E di alzarsi assai prima al mattino. Alimentarsi era attività che ancora una volta la natura proponeva e disponeva.
E quindi “A la primma, tüc i’erbi i von ben per fé l’insalada” (In Primavera tutte le erbe vanno bene per fare l’insalata”). La fame, aiutava non poco…
L’altro versante del lavoro in campagna era costituito dall’opera delle donne in cascina. Se gli uomini andavano per campi, le donne, in Primavera, dovevano recuperare il tempo perduto in Inverno. Per esempio nel fare i grandi bucati, che nella stagione fredda erano stati sospesi perché richiedevano spazi aperti e letteralmente inzuppavano d’acqua le donne. I grandi bucati “spezzavano la schiena alle massaie (…) Il lavoro richiedeva una lunga preparazione, in quanto il giorno prima del lavaggio vero e proprio, bisognava mettere i panni in ammollo e lasciarceli tutta la notte. I mastelli per il bucato erano grosse tinozze di legno, serrate da due cerchi di ferro, come le botti, caratterizzate da altrettanti manici che recavano un foro ciascuno.
Per il bucato di Primavera non sempre vi era tutto lo spazio per stendere i panni ad asciugare. Il filo, molle e pendulo, da tendere con una “carassa” (cioè un bastone nodoso) con in cima una biforcazione ove far passare la corda, non sempre poteva contenere tutti i capi lavati. Un metodo molto usato, specialmente in presenza di terreni erbosi, era quello di stendere le lenzuola sul prato. Unico inconveniente rispetto al filo teso? Quello di dover girare le lenzuola una volta asciugate dalla parte esposta al sole. E magari di sbatterle prima di piegarle per pulirle da residui d’erba e da qualche curioso insetto che si era annidato nelle pieghe della stoffa.
La raccolta dell’erba fresca per gli animali era un’altra incombenza femminile, come la cura del pollaio e delle conigliere. Anche il controllo della popolazione avicola veniva fatto dalle donne.
Particolare cura poi, qui da noi, si offriva ai bachi da seta e alla loro predisposizione per i gelsi (da noi si chiamavano “muron” per le more bianche o nere che producevano).
I gelsi consentivano la coltura dei bachi. “Questa pianta infatti, oggi quasi del tutto scomparsa da noi, si trovava dislocata lungo i campi e serviva per dividere le proprietà terriere. Alimentare i bachi era una grandissima fatica, in quanto bisognava provvedere ai rifornimenti di cibo, mediamente ogni due ore, dall’alba al tramonto. Avvenuta la prima muta, le bestiole, all’inizio dell’estate venivano portate nelle “bigatere”, appositi graticci sistemati generalmente nei sottotetti ed attrezzati proprio per l’allevamento dei bachi.” E anche questo era essenzialmente un lavoro da donne!
La cultura delle colture si basava su riti tradizionali, che solo la meccanizzazione, le nuove scoperte, la chimica e magari il ritorno al biologico hanno superato. Non a caso anche il tempo agricolo veniva scandito dalle lunazioni, che corrispondono a circa un mese. Ma i mesi erano tutti uguali? No, i mesi di trenta giorni avevano potere negativo (non parliamo di febbraio, il più negativo di tutti), mentre positivi erano quelli di trentuno. Com’è marzo, per fortuna!
La nuova rubrica “Reclame d’annata” muove i primi passi proponendo alcune pubblicità del 1920: Centerba Spatocco, Bronchiolina, Sciroppo Pagliari
Ancora una puntata della rubrica “Strà per strà” le vie degli alessandrini, dedicata a Giovanni Inverardi.
Le rubriche terminano al solito con L’Almanacco del giorno prima.
La Playlist della settimana è opera di Roberto Cristiano che ci porta nel mondo della musica da viaggio con canzoni dei Mamas and Papas, dei Beatles, di Lucio Battisti, dei Doors. (puntata 123 BBSI)

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria