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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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23/03/2015

LMCA: buon compleanno Voce!

Il settimanale cattolico alessandrino ha 136 anni e Fabbio ne racconta la storia in tre puntate della trasmissione condotta su radio BBSI. Eccone una sintesi

   

LMCA: buon compleanno Voce!

Tre puntate – quelle del 20 e 27 gennaio e del 3 febbraio – per raccontare, anche così, la storia di Alessandria. Piercarlo Fabbio, curatore e conduttore de ‘La Mia Cara Alessandria’, in onda ogni martedì dalle frequenze di Radio Bbsi e disponibile nella sezione podcast dei siti www.fabbio.it e www.ritrattidallalba.it, sfoglia il giornale cattolico della città.

 

1° puntata – 1879, l’Origine
Oggi i giornali di carta stanno lentamente estinguendosi, sostituiti progressivamente dai telematici, dal web, dalle televisioni e dalle radio. È un fenomeno inarrestabile, ma che volge lentamente al peggio. Se i giornali hanno perso appeal, il giornalismo non è morto. C’è stato, però, un periodo della nostra storia dove la nascita di testate, soprattutto locali, è stata impetuosa. Tra metà e fine Ottocento quando i giornali laici, liberali, socialisti e finalmente anche cattolici hanno incominciato a farsi largo nelle attenzioni dei lettori. Come fa il settimanale di informazione di opinione della diocesi di Alessandria, ‘La Voce Alessandrina’, il più antico del capoluogo.
Siamo al 1879 e la notizia dell’anno sarà probabilmente il restauro del Duomo, ma intanto è il 9 gennaio e “finalmente Alessandria vide sorgere fra le sue mura un giornale religioso dopo oltre 30 anni in cui lo sproloquio ebbe campo libero su tutti e su tutto; quindi non è a stupire se lo spirito cattolico vi è assai deficiente”. Sono parole del canonico Berta e il giornale di cui tratta è ‘Verità e Fede’. Lo dirige don Giuseppe Prelli, ma l’idea di fondarlo era stato del Vescovo Mons. Pietro Giocondo Salvaj. Casalese, nato il 27 aprile 1815, fece solenne ingresso in diocesi il 22 marzo 1873. Nel giorno della consacrazione, avvenuta ad Alba il 2 marzo, aveva illustrato – come ricorda lo storico Renato Lanzavecchia - con la sua prima lettera pastorale “i principi cui si sarebbe ispirato, per una chiesa non tanto di istituti quanto di valori: (sarebbero stati) i giovani, gli anziani, i poveri. La decisione di fondare un giornale diocesano, però non venne presa bene nel clima anticlericale dell’epoca, a pochi anni dalla completa unità d’Italia. Chi avrebbe comperato quel giornale pretino? I liberali e i massoni non avevano dubbi: sarebe stato letto dalle “dame di Maria”, dalle paolotte e dai picchiapetti. Lo stesso Vescovo Salvaj fu sottoposto alle saccenti critiche degli avversari: “a Roma è creduto liberale, ma al contrario è un caporione di sacrestia”. Eppure, nonostante l’ostilità, ‘Verità e fede’ incominciò a svolgere un ruolo importante almeno dal 1880 in avanti, ed ebbe in allora (1891) il coraggio di pubblicare integralmente la ‘Rerum Novarum’, in un momento in cui i cattolici erano vincolati al “non expedit” di Pio IX, all’impedimento della gerarchia di consentire loro di essere elettori ed eletti nelle istituzioni politiche del Regno italico. Rimaneva aperto però il campo amministrativo e il ruolo di un giornale locale, seppur di carattere religioso, poteva essere importante. ‘Verità e Fede’, si legge sotto la testata, è giornale religioso, letterario e scientifico, esce al Sabato, costa 5 centesimi, l’abbonamento semestrale si acquista con 2 lire e quello annuale con 3. Pagamento anticipato. La direzione è in via Savonarola 3. Il rapporto con i lettori è programmaticamente garantito, visto che campeggia in prima pagina che non si terrà conto degli scritti anonimi. Si comporta in modo coraggioso al punto che il suo direttore, don Giuseppe Prelli viene aggredito dai liberali nel novembre del 1882. Verso la fine del secolo il settimanale muta testata più volte: ‘La Sveglia’ dal 1893 al 1895; poi ‘L’Unione’ dal 1895 al 1897, infine ‘La nuova Sveglia’ tra il 97 e il 98. Nell’Ottobre del 1898 cambia ancora nome. Si intitola ‘L’Ordine’ (e per qualche numero la testata sarà sostituita da ‘La Penna Bianca’). Il nuovo direttore è don Giuseppe Boccassi. Del resto, dopo la morte di Mons. Salvaj, nuovo Vescovo è Giuseppe Capecci. Cambiano anche gli avversari. Ora sono i socialisti a prevalere. Questi ultimi – racconta Ezio Gabutti, uno dei più preparati storici del movimento cattolico alessandrino – “chiedono, successivamente sconfessati dalla giunta provinciale amministrativa, la rimozione del Crocefisso dalle aule scolastiche: ‘L’Ordine’ raccoglie tremila firme contro la proposta. Sollecitano l’allontanamento delle Suore dall’orfanotrofio: il giornale, in difesa di questa presenza, certifica l’adesione di più di diecimila alessandrini. Proibiscono le preghiere nelle corsie dell’ospedale, fanno depennare – nei lasciti e nei testamenti in archivio – tutte le disposizioni a favore del clero, intimano al cappellano del ricovero di non adoperare, per motivi di risparmio, più di due candele sull’altare durante la celebrazione della Messa. I cattolici alessandrini rispondono con le armi dell’apostolato, non ancora della politica”. “L’Ordine prosegue ininterrottamente fino al 1917, passando attraverso il patto Gentiloni del 1913, riducendo le pagine in tempo di guerra e mostrandosi molto attento alle conseguenze della disfatta di Caporetto. Sospende anche le pubblicazioni, che riprenderanno in concomitanza con la fine del conflitto. Nel 1919 è Vescovo Mons. Giosuè Signori, che prende la decisione, ad inizio ottobre, di affidare la direzione del giornale ad un giovane avvocato trentenne, Carlo Torriani, impegnato a livello sociale e politico. Fonderà, nel gennaio del 1919, insieme a Don Luigi Sturzo, il Partito Polare Italiano. ‘L’Ordine’ il 25 gennaio 1919 pubblicherà integralmente l’Appello ai liberi e forti, il programma e lo Statuto del nuovo partito. Occorre però anche una nuova testata, ed è proprio Torriani a proporre il nuovo titolo, ‘La Libertà’, che inizierà le pubblicazioni nel gennaio 1920, con una linea politica inequivocabile: pieno sostegno a Sturzo anche quando si stacca dalla collaborazione governativa con Mussolini. I fascisti non si fermano alle battaglie dialettiche. Torriani viene schiaffeggiato in corso Roma dal deputato Edoardo Torre e deve lasciare nel 1923 la direzione del giornale, proprio su pressioni delle autorità fasciste. Il Vescovo, mons. Nicolao Milone, lo sostituisce don Carlo Danielli, che guiderà ‘La Libertà’ fino al 1938. Gli succede Don Giuseppe Amato quando, per intervento dell’autorità fascista, è costretto a interrompere le pubblicazioni. Il 25 aprile 1940 il giornale cambia nuovamente testata per poter vedere la luce. Si chiamerà ‘Voce Alessandrina’, ma nel 1941 il prefetto Soprano ordina il sequestro del giornale, reo di aver pubblicato il messaggio natalizio di Pio XII. Con due sole facciate il giornale riprende le pubblicazioni tra la fine di aprile e l’inizio di maggio 1945, per salutare la liberazione della città e la fine della guerra.

“Sono passato in duomo. Nella penombra della chiesa ho incontrato un sacrestano e gli ho chiesto di imprestarmi, per leggerlo, l’ultimo numero di ‘Voce’. Se ne è privato con un certo sospetto. Non si fida, ma il periodo inclina all’apertura tra gli uomini, il cui grande dolore collettivo della guerra ha insegnato a considerarsi ancor di più fratelli. E’ andato di filato in Canonica, dove vi è stato da pocheore la firma della resa delle truppe tedesche di stanza in Alessandria, e se ne è ritornato con un giornale stropicciato, perché letto da più persone, passato di mano in mano. È l’edizione del 10 maggio 1945”. Il titolo a tutta pagina non lascia dubbi: ‘Sull’Italia tutta sventola il tricolore della libertà’. Quella copia che stringo tra le mani diventerà storica, perché racconta, praticamente in presa diretta per i media locali del tempo, i fatti che si sono svolti nell’ultima settimana. In Alessandria nella Sacrestia del Duomo tra i quadri del Moncalvo e a Milano, quando il 25 aprile, all’Arcivescovado retto dal cardinale Ildefonso Schuster, si presentano Giuseppe Cadorna, Benito Mussolini e collaboratori. E qui, ‘Voce’ sceglie una doppia via giornalistica: il racconto fedele dei fatti e il resoconto dei passi salienti dei colloqui: la richiesta di resa al Capo del Governo di Salò, la comunicazione dell’avvenuta resa della Leitkommandatur germanica ad insaputa di Mussolini, che esclama, sentendosi tradito dall’alleato: “Ci hanno trattato come servi e duramente per tanti, troppi anni. Ora basta!”. Poi accetterà ogni condizione di resa pur non sottoscrivendole mai. Ma il giornale alessandrino sceglie di mettere nel titolo del pezzo il suo giudizio sferzante: ‘L’ultimo tradimento’. Un titolo che può essere interpretato a più livelli, dopo la tragedia dell’8 settembre 1943 e l’epilogo dell’ultima parte della guerra in un’Italia divisa in due, in preda ad un conflitto civile di inaudita violenza, che nei giorni seguenti produrrà altri lutti, che ancora oggi cercano conferme e ragioni. Poco sopra, in taglio medio, attraverso una succinta cronistoria degli avvenimenti, il giornale aveva fornito le tappe della Liberazione, della morte di Mussolini e di quella di Hitler, l’8 maggio, che aveva posto fine alla guerra in Europa. Intanto la Diocesi era rimasta senza Vescovo, perché Mons. Nicolao Milone era mancato improvvisamente l’11 marzo 1945. L’ingresso solenne in diocesi del nuovo Pastore, Mons. Giuseppe Pietro Gagnorè registrato il 17 marzo 1946 da ‘La Voce alessandrina’, che sotto la testata ora riporta ‘settimanale della curia vescovile e dell’azione cattolica’. La copia costa 8 lire, poi saliranno a 10 e la redazione è in via Parma 4, proprio sotto il campanile del Duomo. Gagnor si occupa quasi subito del giornale con un gesto fortemente simbolico. Chiama Carlo Torriani a dirigere il settimanale, di fatto restituendo ciò che il predecessore, sotto la sferza dell’autorità fascista, aveva dovuto sottrargli, quando ancora il giornale si chiamava ‘La Libertà’. Nel frattempo l’avvocato Torriani, già segretario provinciale del partito popolare, era diventato sacerdote. Era infatti entrato in seminario nel 1934, due anni dopo la morte della madre. Nel 1937 veniva ordinato sacerdote e assegnato alla cura dell’ordine della Divina Provvidenza fondato dalla beata madre Teresa Michel. Negli anni della guerra aveva partecipato attivamente all’organizzazione della lotta clandestina come tesoriere del Comitato di Liberazione Nazionale di Alessandria e fiancheggiatore dei resistenti. Ora, ritornato alla guida di ‘Voce’, “tre intuizioni furono sviluppate da Torriani nei suoi interventi – racconta Ezio Gabutti – la centralità della persona umana, il riconoscimento dell’autonomia di una serie di corpi intermedi – dalla famiglia agli enti locali - ritenuti preesistenti allo Stato, l’individuazione dei contenuti sociali di una democrazia politica”. (Gabutti Ezio, Le grandi scelte, Alessandria, 2003, pag. 14) E’ il 4 aprile 1946: “Si tratta di elezioni amministrative e si dovrebbe parlare agli elettori del modo di pagare i debiti del Comune e del miglior modo di dare comodità ai cittadini. Invece si continua a far echeggiare le piazze di bestemmie contro la Religione e di scemenze contro i preti. Per certi oratori che non sanno neppure che cosa sia un municipio la cosa è più facile. Il bello si è che Nenni in piazza ha dichiarato che la “religione non c’entra” e ha invitato l’altra parte a non “mescolare il sacro con il profano”. Togliatti poi bestemmia le sacre pagine a suo uso e consumo dimenticando di dire che cosa il comunismo veramente voglia” (Gabutti) Il giornale parteggia per la Repubblica, anche se non in modo fazioso. Solo che non basta a Torriani una Repubblica tanto per… Pone un problema di contenuti, legando la forma repubblicana alla Costituzione e alle tutele necessarie, perché non vi può essere un rinnovamento dello Stato, senza che vi sia un rinnovamento degli spiriti. Gli Anni Cinquanta sono densi di avvenimenti: il Po devasta il Polesine e Voce si organizza per la solidarietà degli alessandrini alle popolazioni colpite; i primi passi verso l’Unione Europea e il ruolo di Alcide De Gasperi a cui è dedicata la prima pagina del 26 agosto 1954 che dà notizia della sua scomparsa. L’elezione a Presidente della Repubblica di Giovanni Gronchi nel 1955; le eccezionali nevicate del 1956, la riforma agraria della DC, i fatti di Ungheria con un titolo emblematico: “Budapest, città cimitero prega in silenzio pei suoi morti”. Improvvisamente, però, Mons. Carlo Torriani scompare. E’ il 17 aprile 1958 e il titolo di Voce sarà eloquente: “Ora che è morto, egli prenderà a parlare”.


“La sera del 30 gennaio 1958 l’Italia sgrana gli occhi davanti a Modugno, a questo meridionale baffuto che esprime attraverso i gesti una tensione indescrivibile e frantuma il cliché del cantante immobile, sdolcinato, pulito comunicando invece felicità e gioia” (Felice Liperi, Storia della canzone italiana, Eri, Roma 1999, pag. 183). Interpreta la nuova forza di un Paese che finalmente, dopo la ricostruzione post bellica, cerca i suoi successi nel campo economico, sociale, politico. Anche ‘Voce alessandrina’, dopo la morte del suo direttore più prestigioso, don Carlo Torriani, affidata alla direzione di don Carlo Canestri, si occupa di questo nuovo Paese, di un periodo ove le tensioni fra i due mondi creati dalla guerra si contrappongono pericolosamente. Est contro Ovest. E ‘La Voce’ sa dove stare titolando ‘Tutto il mondo l’ha appreso con un senso d’orrore: Le forche d’Ungheria’. E’ l’11 febbraio 1960 e Voce scrive inequivocabilmente riferendosi a quei fatti: “E’ questa purtroppo la tragica e aberrante realtà. Il comunismo che afferma di ispirare la sua politica allo spirito di Camp David, è anche quello che commette questi esecrabili assassinii, che viola i più elementari diritti umani, che considera la libertà una parola vuota di senso e di significato”. All’Orizzonte però è la speranza a prevalere, perché dal 1958 in Vaticano siede un nuovo Papa, Giovanni XXIII e nel gennaio 1961 ‘Voce’ individua un nuovo tassello del Mondo che vuole cambiare se stesso: ‘Kennedy alla Casa Bianca con una squadra di energici e nuovi giocatori’. Si intravedono nuove frontiere. Intanto all’interno del giornale diocesano, si alternano negli editoriali il direttore ‘C.C’, Carlo Canestri e un giovane cronista. E’ un sacerdote e anche nella firma vuol mantenere questa qualifica: ‘d’ (minuscolo) L.R. (maiuscole). Si occupa di temi importanti della politica e della società: dalla ‘scuola libera’ alla libertà che devono avere le famiglie di scegliere la proposta che ritengono migliore per i propri figli, al rapporto tra comunismo e società. “Quali valori può difendere il comunismo in Italia?” Togliatti, per esempio, che credibilità avrebbe visto che “era disposto a fare il baratto di Trieste con Gorizia al tempo in cui Tito era ancora ossequiente a Mosca?” d.L.R. dovrà vedere l’inizio del Concilio Vaticano II, l’11 ottobre 1962, ancora da redattore. ‘Voce’ esce al giovedì e l’11 ottobre è proprio giovedì. Il fondo titola ‘In piedi!’ Di lì a poco vi sarà un nuovo direttore e d. L.R. si svelerà in Don Luigi Riccardi che firmerà la più lunga direzione della storia del settimanale diocesano dal 1963 al 1992. La Voce, agli inizi degli anni Sessanta costa 35 lire e cambia la firma del direttore: una semplice R. maiuscola d’ora in poi ne caratterizzerà gli editoriali, che scandiranno i travolgenti eventi dell’epoca: Paolo VI, la morte di Kennedy, la scomparsa di “un uomo che non ci fu amico”, Palmiro Togliatti, il rapporto tra Moro e Nenni, il centrosinistra in Italia ed in Alessandria. La diocesi avrà dal 1965 un nuovo vigoroso e deciso vescovo, Mons. Giuseppe Almici. Dalla grande attenzione verso la politica nazionale, con l’avvento in città del centrosinistra guidato da Abbiati e poi da Magrassi, ‘La Voce’ si occupa sempre più da vicino dei fatti locali: la tangenziale da Cantalupo all’albero di Napoleone, l’arrivo della Michelin, la Giunta rossa e le vicende che sconvolgono Palazzo Rosso nell’ottobre 1972. Ma anche di una grande rivoluzione come quella studentesca del 1968 oppure dell’Ottavo Centenario della nascita di Alessandria. Gli anni settanta sono comunque zeppi di stravolgimenti anche sul piano del costume e della società che vuole cambiare. Come può Riccardi reggere la volontà popolare che porterà a legalizzare l’aborto? “Una conquista civile, quella dell’aborto gradita alla borghesia laicista, gaudente ed amorale, che forma l’ossatura della classe media: quella borghesia che i socialisti dicono ogni domenica di combattere, ma della quale sono stati finora servi sciocchi ed impreparati”. Il vecchio nemico dunque ritorna: è il socialismo di fine Ottocento interpretato da un novello protagonista, l’on. Loris Fortuna, ma la critica sociale di ‘Voce’ è feroce e inappellabile. Intanto da qualche anno segue la politica locale un altro giornalista sacerdote. È don Remigio Cavanna (DOC), la cui penna è non di rado “intinta nel vetriolo”. Un uomo coraggioso nelloscrivere, ma anche nell’azione. Lo si ricorda impegnatissimo con Giuseppe Zerbino, Franco Marchiaro ed Emma Camagna in difficili trattative quando succederà ad Alessandria la rivolta nel Carcere di piazza Don Soria nel maggio 1974. Tragici fatti in cui persero la vita 12 persone tra i rivoltosi, il personale di custodia ed alcuni civili che in carcere svolgevano la loro opera. La sua penna smetterà di scrivere nell’aprile 2001. I ‘pezzi alla mia maniera’, com’era solito dire, non faranno più parte dell’impaginato di ‘Voce’, che nel frattempo ha visto pubblicate tante notizie: nuovi Vescovi, Mons. Maggioni e Mons. Charrier, nuovi Papi dopo Paolo VI a cui la direzione di Riccardi doveva più di un tema di riflessione, Albino Luciani e Giovanni Paolo II, il pontefice venuto dall’Est. Soprattutto l’avvicendarsi di un nuovo direttore, al posto di Mons. Luigi Riccardi. E’ nuovamente un laico, Marco Caramagna, che reitera la prima esperienza di Carlo Torriani con ‘La libertà’. Caramagna è uomo delle istituzioni, dirige l’ufficio stampa della Provincia e si occupa da vicino delle questioni regionali e nazionali dell’Ordine dei giornalisti. Preferisce un profilo meno esposto. Lascia ad altri l’espressione diretta delle idee sulle colonne del Giornale, che intanto esce al venerdì e costa 1400 lire. La sua direzione si intravede in quelli che sono i segni delle priorità: i titoli, la scelta delle posizioni, l’individuazione di alcuni temi e non di altri, la consapevolezza che ‘Voce’ ha una missione: scrivere ciò che altri non possono dire. La direzione di Caramagna si deve occupare dell’alluvione del 1994 e dei fatti ad essa conseguenti; la ricostruzione, il primo sindaco, Francesca Calvo, eletto direttamente dalla popolazione, ma anche il primo sindaco donna. Così come deve registrare l’avvento di un nuovo Vescovo, Mons. Giuseppe Versaldi, che lascerà Alessandria, in quanto eletto Cardinale, ed infine l’arrivo di Mons. Guido Gallese, attuale pastore della Chiesa alessandrina. Caramagna è restio a prendere la prima pagina, ma non si può sottrarre ai momenti importanti della vita del giornale. Ed è con un brano di un suo editoriale che si chiude questo viaggio. Sull’edizione di venerdì 9 gennaio 2004, quando ‘Voce’ compie 125 anni, scrive: “La fedeltà alla Chiesa locale e universale è sempre stato un punto di riferimento per tutti, come l’attenzione agli ultimi e l’impegno per la solidarietà. (…) Perché servire la verità, difendere la libertà, ampliare la conoscenza sono “voli” non facili, ma nel contempo compiti basilari di chi opera nell’informazione”. Ora il settimanale ha compiuto 136 anni. Dunque buon compleanno.

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria