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Tre puntate – quelle
del 20 e 27 gennaio e del 3 febbraio – per raccontare, anche così, la storia di
Alessandria. Piercarlo Fabbio, curatore e conduttore de ‘La Mia Cara
Alessandria’, in onda ogni martedì dalle frequenze di Radio Bbsi e
disponibile nella sezione podcast dei siti
www.fabbio.it e
www.ritrattidallalba.it, sfoglia il
giornale cattolico della città.
1° puntata – 1879,
l’Origine
Oggi i giornali di carta stanno lentamente estinguendosi, sostituiti
progressivamente dai telematici, dal web, dalle televisioni e dalle radio. È un
fenomeno inarrestabile, ma che volge lentamente al peggio. Se i giornali hanno
perso appeal, il giornalismo non è morto. C’è stato, però, un periodo della
nostra storia dove la nascita di testate, soprattutto locali, è stata impetuosa.
Tra metà e fine Ottocento quando i giornali laici, liberali, socialisti e
finalmente anche cattolici hanno incominciato a farsi largo nelle attenzioni dei
lettori. Come fa il settimanale di informazione di opinione della diocesi di
Alessandria, ‘La Voce Alessandrina’, il più antico del capoluogo.
Siamo al 1879 e la notizia dell’anno sarà probabilmente il restauro del Duomo,
ma intanto è il 9 gennaio e “finalmente Alessandria vide sorgere fra le sue
mura un giornale religioso dopo oltre 30 anni in cui lo sproloquio ebbe campo
libero su tutti e su tutto; quindi non è a stupire se lo spirito cattolico vi è
assai deficiente”. Sono parole del canonico Berta e il giornale di
cui tratta è ‘Verità e Fede’. Lo dirige don Giuseppe Prelli, ma l’idea di
fondarlo era stato del Vescovo Mons. Pietro Giocondo Salvaj. Casalese, nato il
27 aprile 1815, fece solenne ingresso in diocesi il 22 marzo 1873. Nel giorno
della consacrazione, avvenuta ad Alba il 2 marzo, aveva illustrato – come
ricorda lo storico Renato Lanzavecchia - con la sua prima lettera pastorale “i
principi cui si sarebbe ispirato, per una chiesa non tanto di istituti quanto di
valori: (sarebbero stati) i giovani, gli anziani, i poveri. La decisione di
fondare un giornale diocesano, però non venne presa bene nel clima anticlericale
dell’epoca, a pochi anni dalla completa unità d’Italia. Chi avrebbe comperato
quel giornale pretino? I liberali e i massoni non avevano dubbi: sarebe stato
letto dalle “dame di Maria”, dalle paolotte e dai picchiapetti. Lo stesso
Vescovo Salvaj fu sottoposto alle saccenti critiche degli avversari: “a Roma è
creduto liberale, ma al contrario è un caporione di sacrestia”. Eppure,
nonostante l’ostilità, ‘Verità e fede’ incominciò a svolgere un ruolo importante
almeno dal 1880 in avanti, ed ebbe in allora (1891) il coraggio di pubblicare
integralmente la ‘Rerum Novarum’, in un momento in cui i cattolici erano
vincolati al “non expedit” di Pio IX, all’impedimento della gerarchia di
consentire loro di essere elettori ed eletti nelle istituzioni politiche del
Regno italico. Rimaneva aperto però il campo amministrativo e il ruolo di un
giornale locale, seppur di carattere religioso, poteva essere importante.
‘Verità e Fede’, si legge sotto la testata, è giornale religioso, letterario e
scientifico, esce al Sabato, costa 5 centesimi, l’abbonamento semestrale si
acquista con 2 lire e quello annuale con 3. Pagamento anticipato. La direzione è
in via Savonarola 3. Il rapporto con i lettori è programmaticamente garantito,
visto che campeggia in prima pagina che non si terrà conto degli scritti
anonimi. Si comporta in modo coraggioso al punto che il suo direttore, don
Giuseppe Prelli viene aggredito dai liberali nel novembre del 1882. Verso la
fine del secolo il settimanale muta testata più volte: ‘La Sveglia’ dal 1893 al
1895; poi ‘L’Unione’ dal 1895 al 1897, infine ‘La nuova Sveglia’ tra il 97 e il
98. Nell’Ottobre del 1898 cambia ancora nome. Si intitola ‘L’Ordine’ (e per
qualche numero la testata sarà sostituita da ‘La Penna Bianca’). Il nuovo
direttore è don Giuseppe Boccassi. Del resto, dopo la morte di Mons. Salvaj,
nuovo Vescovo è Giuseppe Capecci. Cambiano anche gli avversari. Ora sono i
socialisti a prevalere. Questi ultimi – racconta Ezio Gabutti, uno dei più
preparati storici del movimento cattolico alessandrino – “chiedono,
successivamente sconfessati dalla giunta provinciale amministrativa, la
rimozione del Crocefisso dalle aule scolastiche: ‘L’Ordine’ raccoglie tremila
firme contro la proposta. Sollecitano l’allontanamento delle Suore
dall’orfanotrofio: il giornale, in difesa di questa presenza, certifica
l’adesione di più di diecimila alessandrini. Proibiscono le preghiere nelle
corsie dell’ospedale, fanno depennare – nei lasciti e nei testamenti in archivio
– tutte le disposizioni a favore del clero, intimano al cappellano del ricovero
di non adoperare, per motivi di risparmio, più di due candele sull’altare
durante la celebrazione della Messa. I cattolici alessandrini rispondono con le
armi dell’apostolato, non ancora della politica”. “L’Ordine prosegue
ininterrottamente fino al 1917, passando attraverso il patto Gentiloni del 1913,
riducendo le pagine in tempo di guerra e mostrandosi molto attento alle
conseguenze della disfatta di Caporetto. Sospende anche le pubblicazioni, che
riprenderanno in concomitanza con la fine del conflitto. Nel 1919 è Vescovo
Mons. Giosuè Signori, che prende la decisione, ad inizio ottobre, di affidare la
direzione del giornale ad un giovane avvocato trentenne, Carlo Torriani,
impegnato a livello sociale e politico. Fonderà, nel gennaio del 1919, insieme a
Don Luigi Sturzo, il Partito Polare Italiano. ‘L’Ordine’ il 25 gennaio 1919
pubblicherà integralmente l’Appello ai liberi e forti, il programma e lo Statuto
del nuovo partito. Occorre però anche una nuova testata, ed è proprio Torriani a
proporre il nuovo titolo, ‘La Libertà’, che inizierà le pubblicazioni nel
gennaio 1920, con una linea politica inequivocabile: pieno sostegno a Sturzo
anche quando si stacca dalla collaborazione governativa con Mussolini. I
fascisti non si fermano alle battaglie dialettiche. Torriani viene
schiaffeggiato in corso Roma dal deputato Edoardo Torre e deve lasciare nel 1923
la direzione del giornale, proprio su pressioni delle autorità fasciste. Il
Vescovo, mons. Nicolao Milone, lo sostituisce don Carlo Danielli, che guiderà
‘La Libertà’ fino al 1938. Gli succede Don Giuseppe Amato quando, per intervento
dell’autorità fascista, è costretto a interrompere le pubblicazioni. Il 25
aprile 1940 il giornale cambia nuovamente testata per poter vedere la luce. Si
chiamerà ‘Voce Alessandrina’, ma nel 1941 il prefetto Soprano ordina il
sequestro del giornale, reo di aver pubblicato il messaggio natalizio di Pio
XII. Con due sole facciate il giornale riprende le pubblicazioni tra la fine di
aprile e l’inizio di maggio 1945, per salutare la liberazione della città e la
fine della guerra.
“Sono passato in
duomo. Nella penombra della chiesa ho incontrato un sacrestano e gli ho chiesto
di imprestarmi, per leggerlo, l’ultimo numero di ‘Voce’. Se ne è privato con un
certo sospetto. Non si fida, ma il periodo inclina all’apertura tra gli uomini,
il cui grande dolore collettivo della guerra ha insegnato a considerarsi ancor
di più fratelli. E’ andato di filato in Canonica, dove vi è stato da pocheore la
firma della resa delle truppe tedesche di stanza in Alessandria, e se ne è
ritornato con un giornale stropicciato, perché letto da più persone, passato di
mano in mano. È l’edizione del 10 maggio 1945”. Il titolo a tutta pagina non
lascia dubbi: ‘Sull’Italia tutta sventola il tricolore della libertà’. Quella
copia che stringo tra le mani diventerà storica, perché racconta, praticamente
in presa diretta per i media locali del tempo, i fatti che si sono svolti
nell’ultima settimana. In Alessandria nella Sacrestia del Duomo tra i quadri del
Moncalvo e a Milano, quando il 25 aprile, all’Arcivescovado retto dal cardinale
Ildefonso Schuster, si presentano Giuseppe Cadorna, Benito Mussolini e
collaboratori. E qui, ‘Voce’ sceglie una doppia via giornalistica: il racconto
fedele dei fatti e il resoconto dei passi salienti dei colloqui: la richiesta di
resa al Capo del Governo di Salò, la comunicazione dell’avvenuta resa della
Leitkommandatur germanica ad insaputa di Mussolini, che esclama, sentendosi
tradito dall’alleato: “Ci hanno trattato come servi e duramente per tanti,
troppi anni. Ora basta!”. Poi accetterà ogni condizione di resa pur non
sottoscrivendole mai. Ma il giornale alessandrino sceglie di mettere nel titolo
del pezzo il suo giudizio sferzante: ‘L’ultimo tradimento’. Un titolo che può
essere interpretato a più livelli, dopo la tragedia dell’8 settembre 1943 e
l’epilogo dell’ultima parte della guerra in un’Italia divisa in due, in preda ad
un conflitto civile di inaudita violenza, che nei giorni seguenti produrrà altri
lutti, che ancora oggi cercano conferme e ragioni. Poco sopra, in taglio medio,
attraverso una succinta cronistoria degli avvenimenti, il giornale aveva fornito
le tappe della Liberazione, della morte di Mussolini e di quella di Hitler, l’8
maggio, che aveva posto fine alla guerra in Europa. Intanto la Diocesi era
rimasta senza Vescovo, perché Mons. Nicolao Milone era mancato improvvisamente
l’11 marzo 1945. L’ingresso solenne in diocesi del nuovo Pastore, Mons. Giuseppe
Pietro Gagnorè registrato il 17 marzo 1946 da ‘La Voce alessandrina’, che sotto
la testata ora riporta ‘settimanale della curia vescovile e dell’azione
cattolica’. La copia costa 8 lire, poi saliranno a 10 e la redazione è in via
Parma 4, proprio sotto il campanile del Duomo. Gagnor si occupa quasi subito del
giornale con un gesto fortemente simbolico. Chiama Carlo Torriani a dirigere il
settimanale, di fatto restituendo ciò che il predecessore, sotto la sferza
dell’autorità fascista, aveva dovuto sottrargli, quando ancora il giornale si
chiamava ‘La Libertà’. Nel frattempo l’avvocato Torriani, già segretario
provinciale del partito popolare, era diventato sacerdote. Era infatti entrato
in seminario nel 1934, due anni dopo la morte della madre. Nel 1937 veniva
ordinato sacerdote e assegnato alla cura dell’ordine della Divina Provvidenza
fondato dalla beata madre Teresa Michel. Negli anni della guerra aveva
partecipato attivamente all’organizzazione della lotta clandestina come
tesoriere del Comitato di Liberazione Nazionale di Alessandria e fiancheggiatore
dei resistenti. Ora, ritornato alla guida di ‘Voce’, “tre intuizioni furono
sviluppate da Torriani nei suoi interventi – racconta Ezio Gabutti – la
centralità della persona umana, il riconoscimento dell’autonomia di una serie di
corpi intermedi – dalla famiglia agli enti locali - ritenuti preesistenti allo
Stato, l’individuazione dei contenuti sociali di una democrazia politica”.
(Gabutti Ezio, Le grandi scelte, Alessandria, 2003, pag. 14) E’ il 4 aprile
1946: “Si tratta di elezioni amministrative e si dovrebbe parlare agli elettori
del modo di pagare i debiti del Comune e del miglior modo di dare comodità ai
cittadini. Invece si continua a far echeggiare le piazze di bestemmie contro la
Religione e di scemenze contro i preti. Per certi oratori che non sanno neppure
che cosa sia un municipio la cosa è più facile. Il bello si è che Nenni in
piazza ha dichiarato che la “religione non c’entra” e ha invitato l’altra parte
a non “mescolare il sacro con il profano”. Togliatti poi bestemmia le sacre
pagine a suo uso e consumo dimenticando di dire che cosa il comunismo veramente
voglia” (Gabutti) Il giornale parteggia per la Repubblica, anche se non in modo
fazioso. Solo che non basta a Torriani una Repubblica tanto per… Pone un
problema di contenuti, legando la forma repubblicana alla Costituzione e alle
tutele necessarie, perché non vi può essere un rinnovamento dello Stato, senza
che vi sia un rinnovamento degli spiriti. Gli Anni Cinquanta sono densi di
avvenimenti: il Po devasta il Polesine e Voce si organizza per la solidarietà
degli alessandrini alle popolazioni colpite; i primi passi verso l’Unione
Europea e il ruolo di Alcide De Gasperi a cui è dedicata la prima pagina del 26
agosto 1954 che dà notizia della sua scomparsa. L’elezione a Presidente della
Repubblica di Giovanni Gronchi nel 1955; le eccezionali nevicate del 1956, la
riforma agraria della DC, i fatti di Ungheria con un titolo emblematico:
“Budapest, città cimitero prega in silenzio pei suoi morti”. Improvvisamente,
però, Mons. Carlo Torriani scompare. E’ il 17 aprile 1958 e il titolo di Voce
sarà eloquente: “Ora che è morto, egli prenderà a parlare”.
“La sera del 30 gennaio 1958 l’Italia sgrana gli occhi davanti a Modugno, a
questo meridionale baffuto che esprime attraverso i gesti una tensione
indescrivibile e frantuma il cliché del cantante immobile, sdolcinato, pulito
comunicando invece felicità e gioia” (Felice Liperi, Storia della canzone
italiana, Eri, Roma 1999, pag. 183). Interpreta la nuova forza di un Paese che
finalmente, dopo la ricostruzione post bellica, cerca i suoi successi nel campo
economico, sociale, politico. Anche ‘Voce alessandrina’, dopo la morte del suo
direttore più prestigioso, don Carlo Torriani, affidata alla direzione di don
Carlo Canestri, si occupa di questo nuovo Paese, di un periodo ove le tensioni
fra i due mondi creati dalla guerra si contrappongono pericolosamente. Est
contro Ovest. E ‘La Voce’ sa dove stare titolando ‘Tutto il mondo l’ha appreso
con un senso d’orrore: Le forche d’Ungheria’. E’ l’11 febbraio 1960 e Voce
scrive inequivocabilmente riferendosi a quei fatti: “E’ questa purtroppo la
tragica e aberrante realtà. Il comunismo che afferma di ispirare la sua politica
allo spirito di Camp David, è anche quello che commette questi esecrabili
assassinii, che viola i più elementari diritti umani, che considera la libertà
una parola vuota di senso e di significato”. All’Orizzonte però è la speranza a
prevalere, perché dal 1958 in Vaticano siede un nuovo Papa, Giovanni XXIII e nel
gennaio 1961 ‘Voce’ individua un nuovo tassello del Mondo che vuole cambiare se
stesso: ‘Kennedy alla Casa Bianca con una squadra di energici e nuovi
giocatori’. Si intravedono nuove frontiere. Intanto all’interno del giornale
diocesano, si alternano negli editoriali il direttore ‘C.C’, Carlo Canestri e un
giovane cronista. E’ un sacerdote e anche nella firma vuol mantenere questa
qualifica: ‘d’ (minuscolo) L.R. (maiuscole). Si occupa di temi importanti della
politica e della società: dalla ‘scuola libera’ alla libertà che devono avere le
famiglie di scegliere la proposta che ritengono migliore per i propri figli, al
rapporto tra comunismo e società. “Quali valori può difendere il comunismo in
Italia?” Togliatti, per esempio, che credibilità avrebbe visto che “era disposto
a fare il baratto di Trieste con Gorizia al tempo in cui Tito era ancora
ossequiente a Mosca?” d.L.R. dovrà vedere l’inizio del Concilio Vaticano II,
l’11 ottobre 1962, ancora da redattore. ‘Voce’ esce al giovedì e l’11 ottobre è
proprio giovedì. Il fondo titola ‘In piedi!’ Di lì a poco vi sarà un nuovo
direttore e d. L.R. si svelerà in Don Luigi Riccardi che firmerà la più lunga
direzione della storia del settimanale diocesano dal 1963 al 1992. La Voce, agli
inizi degli anni Sessanta costa 35 lire e cambia la firma del direttore: una
semplice R. maiuscola d’ora in poi ne caratterizzerà gli editoriali, che
scandiranno i travolgenti eventi dell’epoca: Paolo VI, la morte di Kennedy, la
scomparsa di “un uomo che non ci fu amico”, Palmiro Togliatti, il rapporto tra
Moro e Nenni, il centrosinistra in Italia ed in Alessandria. La diocesi avrà dal
1965 un nuovo vigoroso e deciso vescovo, Mons. Giuseppe Almici. Dalla grande
attenzione verso la politica nazionale, con l’avvento in città del
centrosinistra guidato da Abbiati e poi da Magrassi, ‘La Voce’ si occupa sempre
più da vicino dei fatti locali: la tangenziale da Cantalupo all’albero di
Napoleone, l’arrivo della Michelin, la Giunta rossa e le vicende che sconvolgono
Palazzo Rosso nell’ottobre 1972. Ma anche di una grande rivoluzione come quella
studentesca del 1968 oppure dell’Ottavo Centenario della nascita di Alessandria.
Gli anni settanta sono comunque zeppi di stravolgimenti anche sul piano del
costume e della società che vuole cambiare. Come può Riccardi reggere la volontà
popolare che porterà a legalizzare l’aborto? “Una conquista civile, quella
dell’aborto gradita alla borghesia laicista, gaudente ed amorale, che forma
l’ossatura della classe media: quella borghesia che i socialisti dicono ogni
domenica di combattere, ma della quale sono stati finora servi sciocchi ed
impreparati”. Il vecchio nemico dunque ritorna: è il socialismo di fine
Ottocento interpretato da un novello protagonista, l’on. Loris Fortuna, ma la
critica sociale di ‘Voce’ è feroce e inappellabile. Intanto da qualche anno
segue la politica locale un altro giornalista sacerdote. È don Remigio Cavanna
(DOC), la cui penna è non di rado “intinta nel vetriolo”. Un uomo coraggioso
nelloscrivere, ma anche nell’azione. Lo si ricorda impegnatissimo con Giuseppe
Zerbino, Franco Marchiaro ed Emma Camagna in difficili trattative quando
succederà ad Alessandria la rivolta nel Carcere di piazza Don Soria nel maggio
1974. Tragici fatti in cui persero la vita 12 persone tra i rivoltosi, il
personale di custodia ed alcuni civili che in carcere svolgevano la loro opera.
La sua penna smetterà di scrivere nell’aprile 2001. I ‘pezzi alla mia maniera’,
com’era solito dire, non faranno più parte dell’impaginato di ‘Voce’, che nel
frattempo ha visto pubblicate tante notizie: nuovi Vescovi, Mons. Maggioni e
Mons. Charrier, nuovi Papi dopo Paolo VI a cui la direzione di Riccardi doveva
più di un tema di riflessione, Albino Luciani e Giovanni Paolo II, il pontefice
venuto dall’Est. Soprattutto l’avvicendarsi di un nuovo direttore, al posto di
Mons. Luigi Riccardi. E’ nuovamente un laico, Marco Caramagna, che reitera la
prima esperienza di Carlo Torriani con ‘La libertà’. Caramagna è uomo delle
istituzioni, dirige l’ufficio stampa della Provincia e si occupa da vicino delle
questioni regionali e nazionali dell’Ordine dei giornalisti. Preferisce un
profilo meno esposto. Lascia ad altri l’espressione diretta delle idee sulle
colonne del Giornale, che intanto esce al venerdì e costa 1400 lire. La sua
direzione si intravede in quelli che sono i segni delle priorità: i titoli, la
scelta delle posizioni, l’individuazione di alcuni temi e non di altri, la
consapevolezza che ‘Voce’ ha una missione: scrivere ciò che altri non possono
dire. La direzione di Caramagna si deve occupare dell’alluvione del 1994 e dei
fatti ad essa conseguenti; la ricostruzione, il primo sindaco, Francesca Calvo,
eletto direttamente dalla popolazione, ma anche il primo sindaco donna. Così
come deve registrare l’avvento di un nuovo Vescovo, Mons. Giuseppe Versaldi, che
lascerà Alessandria, in quanto eletto Cardinale, ed infine l’arrivo di Mons.
Guido Gallese, attuale pastore della Chiesa alessandrina. Caramagna è restio a
prendere la prima pagina, ma non si può sottrarre ai momenti importanti della
vita del giornale. Ed è con un brano di un suo editoriale che si chiude questo
viaggio. Sull’edizione di venerdì 9 gennaio 2004, quando ‘Voce’ compie 125 anni,
scrive: “La fedeltà alla Chiesa locale e universale è sempre stato un punto di
riferimento per tutti, come l’attenzione agli ultimi e l’impegno per la
solidarietà. (…) Perché servire la verità, difendere la libertà, ampliare la
conoscenza sono “voli” non facili, ma nel contempo compiti basilari di chi opera
nell’informazione”. Ora il settimanale ha compiuto 136 anni. Dunque buon
compleanno.
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