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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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31/01/2013

Ci hanno raccontato che il dissesto non poteva essere evitato, ma...

Su 'Lo Spiffero' un articolo del prof. Manacorda rimette in sesto la questione. Lo proponiamo dopo le polemiche per nascondere la scelta di dichiararlo, compreso l'annullamento dei ricorsi al TAR deliberati da Fabbio

   

Ci hanno raccontato che il dissesto non poteva essere evitato, ma...

Da Lo Spiffero (http://www.lospiffero.com/a-conti-fatti/condoni-contabili-8633.html)

 

Scritto da Carlo Manacorda, economista, Università di Torino

 

A prescindere dalle responsabilità personali degli ex amministratori, verosimilmente il Comune di Alessandria resterà, nella storia di questi anni, come l’ultimo ente locale ad aver dichiarato il dissesto finanziario. Se il sindaco Maria Rita Rossa avesse potuto reggere ancora qualche mese non avrebbe proposto, nel luglio 2012, l’infausta deliberazione di dissesto che marchiò indelebilmente la Città mandrogna di infamia contabile di fronte al mondo intero. Per il vero, l’amministrazione fu costretta all’adozione del provvedimento dalla legge, tuttavia applicata con un accanimento mai usato neppure davanti a disastri finanziari anche peggiori, presenti in altri comuni del bel Paese. E che questi disastri siano ampiamente diffusi è provato da alcune norme inserite nel decreto-legge 174/2012 (L. 213/2012 – Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali). Papà Monti - tanto vituperato dai sindaci per aver ulteriormente ridotto i trasferimenti agli enti locali, e che nel 2012 ha voluto prendersi una bella fetta di IMU (ricredendosi però al riguardo per il 2013) -, per non far cadere nel baratro non pochi comuni spendaccioni (magari ancheTorino), con squisita sensibilità politica (non certo economica per gli interessi del Paese e per quelli degli operatori del mercato) ha preferito concedere una sorta di maxi-condono contabile a tutti gli enti locali che, a rigor di legge (precedente), avrebbero dovuto prima o poi seguire la strada alessandrina; cioè, dichiarare il dissesto finanziario. Evidentemente, temendo che il numero potesse andare oltre ogni immaginazione, ha preferito evitare di giungere a situazioni ad alto rischio per la tenuta dell’intero sistema paese.

 

Quali sono itermini della questione. Le norme prevedono che l’ente (comune o provincia) è in dissesto finanziario quando non può garantire l’assolvimento delle funzioni ovvero esistono, nei suoi confronti, crediti liquidi ed esigibili di terzi che non è più in grado di onorare. L’ente è cioè, come si dice tecnicamente, in situazione di squilibrio finanziario. Queste condizioni lo costringono (lo costringerebbero) a dichiarare il dissesto. Il Capo dello Stato (così è avvenuto per Alessandria) nomina allora una commissione straordinaria di liquidazione che deve rimettere a posto i conti. Orbene, chissà quanti creditori inseguono da mesi, per ottenerne il pagamento, i propri crediti liquidi ed esigibili verso un’infinità di enti locali! La risposta è ricorrente: “non abbiamo soldi”; quindi, non siamo in grado di far fronte ai debiti. Inoltre, non sono pochi i sindaci o i presidenti di provincia che dichiarano che, non potendo più assolvere le loro funzioni per mancanza di quattrini, taglieranno i servizi (il presidente della provincia di Torino Saitta minaccia addirittura di spegnere il riscaldamento nelle scuole). Se si verificano fatti di questo genere, non esistono dubbi: c’è dissesto. E dovrebbe essere dichiarato dai comuni, piccoli e grandi, e dalle province. Con costume tipicamente italiano, si colpiscono però quelli che forse sono “politicamente” meno forti (evidentemente Alessandria era debole), mentre sopravvivono beatamente, anche se non pagano i debiti, sindaci (o presidenti) che, per il pedigree politico, non possono subire l’onta di essere “commissariati”. Da questi, anche la Corte dei conti si tiene alla larga, limitandosi a qualche tirata d’orecchie per la loro gestione. Non certo ad intimare di dichiarare il dissesto finanziario.

Monti ha buttato a tutti la ciambella di salvataggio. Qualora l’ente locale si trovi in condizioni di potenziale dissesto finanziario (cioè in stato fallimentare), può adottare un piano della durata massima di 10 anni per tornare alle condizioni di riequilibrio finanziario. Il piano deve contenere puntuali impegni su diversi elementi idonei a rimettere i conti in ordine. Inoltre, per tutto il periodo di durata del piano, l’ente deve tenere molti comportamenti virtuosi. Spiccano tra questi, per la gioia degli amministrati (gli amministratori fanno finanza allegra e gli amministrati pagano), quello di deliberare sempre nella massima misura tariffe e tasse, nonché di accertare lo stato delle posizioni debitorie per mutui (e sui derivati, cosa si farà vista l’incertezza degli sviluppi?). L’ente, purché abbia deliberato tariffe e tasse nella misura massima, può anche attingere anticipazioni di cassa ad un fondo rotativo (fondo anti-dissesto, già ribattezzato pensando a Napoli “fondo De Magistris”) che gli consente di riconquistare progressivamente l’equilibrio finanziario perduto, essendo prevista la restituzione delle anticipazioni in 10 anni. Il piano diventa esecutivo soltanto dopo l’approvazione da parte della Corte dei conti, la quale poi vigila sulla sua corretta esecuzione. Fino a che la Corte non ha approvato il piano, sono sospese le azioni giudiziarie che qualche precipitoso creditore può aver intrapreso contro l’ente per tornare a casa dei propri quattrini. In questo contesto di “buonismo”, si è inserito anche il TAR Sicilia che ha bloccato, pochi giorni fa, il procedimento di dissesto del comune di Cefalù sostenendo che l’intimazione della Corte dei conti nei confronti di un comune a dichiarare il dissesto non lo costringe ad eseguirla in quanto può essere impugnata davanti al TAR. Sarà il TAR a decidere se vi si deve dare seguito (se tutto ciò fosse già esistito, il comune di Alessandria sarebbe stato salvo, senza finire nel discredito).

Con la legge di stabilità (228/2012), sempre Monti “il cattivo” concede agli enti locali, in via straordinaria per l’anno 2013, un mini-condono, questa volta non in materia di dissesto ma di patto di stabilità. Per gli enti locali che hanno avviato nel 2012 procedure di privatizzazione di partecipate ma che riscuoteranno i corrispettivi soltanto entro il 28 febbraio 2013, ci sarà una riduzione della sanzione per il mancato rispetto del patto nel 2012 (sarà il caso Torino?).

A conti fatti, anche i più rigidi custodi tecnici dei conti pubblici diventando neo-politici si ammorbidiscono. Concedendo maxi o mini condoni, toccano le corde sensibili di coloro (amministratori locali) capaci magari di orientare un po’ a loro favore il voto degli elettori. E non fanno paura gli aumenti delle sanzioni previste per chi si è reso responsabile di dissesto poiché, con il quadro creato, sarà estremamente difficile che qualcuno vi possa ancora cadere dentro. Purtroppo i neo-politici sono meno morbidi nei confronti dei cittadini. Il dissesto sostanzialmente affida la gestione dell’ente alla commissione straordinaria ed i creditori possono sperare in una maggiore comprensione da parte di essa per ottenere quanto è loro dovuto. Se la gestione resta invece affidata agli stessi amministratori, e per di più coperti da un piano decennale di rientro, i creditori non potranno sperare in inversioni di tendenza per i pagamenti attesi: gli amministratori continueranno a comportarsi nella stessa maniera. Quanto ai contribuenti, sanno subito che i piani pluriennali di rientro finanziario autorizzano gli amministratori ad applicare tasse e tariffe al massimo. Però il proverbio è rispettato: “Uomo avvisato mezzo salvato”.

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria