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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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30/04/2006

C'è l'ASPAL e la democrazia affonda a Palazzo Rosso

Grave decisione della CDL che abbandona l'aula e lascia la maggioranza alla rappresentanza di se stessa. La sintesi dell'intervento di Fabbio a nome dell'opposizione

   

C'è l'ASPAL e la democrazia affonda a Palazzo Rosso

Sintesi dell’intervento di Piercarlo Fabbio

al Consiglio Comunale del 28 aprile 2006 in materia di scissione dell’ASPAL spa

 

Intervengo a nome dell’intera opposizione, perché riteniamo di aver subito un forte vulnus in queste ore e perché valutiamo come non sia solo la Casa delle Libertà a registrare un deciso fallo nei suoi confronti, ma l’intero Consiglio Comunale a dover ammettere come si sia perduta, in queste ore, una grande occasione di democrazia.

Non è però inutile dire che la delibera in discussione – la scissione dell’ASPAL spa in tre società diverse -  ha avuto un’istruttoria largamente insufficiente. A lungo discussa dalla Giunta e, a latere, dalla maggioranza, poi portata in Consiglio Comunale con l’obiettivo di perseguire una formalità: molto articolata la formazione dell’atto, acceleratissima la decisione, scarsissimi i tempi dedicati al confronto, alla discussione, alla ricerca di eventuali convergenze.

È una perdita netta dei sicuri confini della democrazia, attraverso un continuo e costante percorso di indebolimento del ruolo consiliare, perpetrato da una maggioranza incapace di intrattenere relazioni politiche di alto livello e da un esecutivo sempre più alla ricerca di decisioni che ne giustifichino la presenza al governo della città. Presenza che, dopo quattro anni, rimane ormai difficile da decifrare.

E quattro anni non sono ancora bastati al centrosinistra per perseguire una decisione contenuta nel proprio programma di mandato, anzi, tentata di camuffare – è successo ieri nelle Commissioni Bilancio e Affari Istituzionali congiunte – come un atto necessitato dalla legge, come un semplice atto dovuto. Abbiamo, con i colleghi commissari dell'opposizione, smontato in pochissimo tempo questo tentativo di truccare le carte, riportando la discussione sul piano politico. Dove dovrebbe stare. Dove dovrebbe essere confrontata e non sottratta al dialogo. Ebbene, se è vero che nel programma di mandato del centrosinistra la scissione dell’ASPAL era sancita, è altrettanto vero che oggi si propone al Consiglio una configurazione societaria assolutamente poco incline al possibile cambiamento.

Anzi l’atto è gattopardesco, da Principe di Salina: cambiare tutto per non cambiare nulla. Da una società multiservizi se ne generano tre, ma senza che neppure sfiorino l’intelletto dei nostri amministratori in maggioranza le possibilità che si celavano dietro un’azione del genere. Avremo però tre di tutto: tre società, tre presidenti, tre consigli d'amministrazione, tre direttori generali, eccetera. Un provvedimento intanto costoso. Certamente più costoso dell'attuale.

Un provvedimento che si potrebbe accettare solo come "ponte" verso un disegno più maturo e consapevole.

Infatti, tra i possibili orientamenti relativi al governo dei servizi pubblici a sfondo imprenditoriale o di caratteristica industriale, l'Amministrazione si è semplicemente adeguata alla mera tutela patrimoniale dell’esistente, che certamente consente ad altri enti pubblici, ad altri Comuni limitrofi di scegliere il servizio del quale essere partner rispetto al proprio fabbisogno, ma che finisce per chiudersi e chiudere al libero mercato.

Alcuni esempi: le farmacie, ad esempio. Da tempo siamo sostenitori della necessità di svincolare al libero mercato –  dell’imprenditoria o delle professionalità locali – quelle farmacie collocate in luoghi ove la redditività risulti alta, per  occupare, invece, spazi più disagiati del territorio comunale con servizi oggi meno favorevoli economicamente, ma che consentano ai concittadini di usufruire di servizi che già altri utilizzano. Trattenersi le farmacie per la sola giustificazione che così si avrebbe un sistema di dumping pubblico per tentare di sfruttare tutte quelle occasioni di abbattimento dei prezzi (il famoso caso del 20%), è riduttivo e poco realistico. L'argomento serve per fare discussione, non certo per consolidare piani economici.

Ma anche il servizio di ristorazione industriale poteva convenientemente essere alienato, così come quello di tributi e affissioni. Nel passato tali servizi erano stati affidati in appalto o in concessione e il Comune, già in allora, aveva potuto tranquillamente rispondere ad un obbligo di legge o fornire un servizio richiesto dalla cittadinanza. La gestione pubblicistica, se orientata alla creazione di utili da investire nella cultura (il teatro) avrebbe una ragione (e l’ha fin qui avuta), ma se indirizzata alla mera costituzione di risorse a largo raggio, finisce per essere poco coniugabile con il ruolo del Comune, specie nel suo rapporto con il mercato.

I servizi gestiti devono essere dichiarati strategici. Penso che un criterio per far ciò sia quello di sottoporli alla prova della loro reperibilità sul libero mercato ed alla reale necessità che la popolazione o segmenti di essa ne potrebbe avere. Un Comune che accorpi a se stesso l’intero range dei servizi, finisce per essere imprenditore in un mercato che esso stesso controlla o nel quale già gode di vantaggi, proprio per la sua natura di ente pubblico. L’imparzialità del suo agire è dunque palese in questo caso.

Non a caso il legislatore ha voluto sanzionare l’affidamento in house dei servizi pubblici locali, cioè in regime di privativa nel territorio di competenza, con la non ammissibilità a libero mercato delle aziende affidatarie.

Una discussione che riguardasse la politica complessiva dei servizi pubblici, così come la politica culturale del Comune, in un quadro di riconversione degli strumenti societari a disposizione e, infine, il rapporto tra orientamento delle politiche e loro messa in opera, non poteva certo esaurirsi in un pomeriggio, nell’esame tecnico di un provvedimento, che, peraltro, nonostante l’impegno dei commissari dell’opposizione, non è stato valutato con l’approfondimento dovuto. E comunque non doveva essere messo in dubbio dal sospetto che hanno generato le violazioni regolamentari nella convocazione della Commissione Affari Istituzionali. Violazioni da noi denunciate nella Conferenza dei Capigruppo e sulle quali si sono registrate interpretazioni discordanti dei fatti e delle testimonianze.

Invece così ha voluto una maggioranza che ritiene l’esame dell’aula alla stregua di una formalità, così protesa verso il veloce raggiungimento di quegli obiettivi che è stata incapace di concretizzare in quattro anni. E cosa avrebbe significato utilizzare qualche giorno in più, visto che il provvedimento è stato licenziato dalla Giunta il 20 aprile, affrontato in Commissione il 27 e adottato dal Consiglio il 28?

La democrazia viene piegata, così, ai voleri del più forte, che però dovrebbe essere in grado di non essere anche il più prepotente, proprio in virtù di quel rispetto verso l’opinione pubblica che l’opposizione rappresenta e che, come dimostrato durante le ultime consultazioni elettorali, si è dimostrata maggioranza nella società.

Non ci resta dunque – impossibilitati a svolgere il nostro compito – che abbandonare l’aula e naturalmente consentire che la maggioranza d’aula sia referente di se stessa, visto che non può esserlo più della maggioranza degli alessandrini.

 

Piercarlo Fabbio

Capogruppo Forza Italia

 

 

L’intervento – a braccio, di cui il testo pubblicato è una sintesi a posteriori - è stato svolto a nome dei capigruppo Maurizio Grassano (LN), Antonio Maconi (AN), Gabrio Secco (Lista Calvo), Dario Pavanello (Gruppo Misto Indipendenti) e dei colleghi consiglieri: Paolo Bonadeo, Teresa Curino, Gianfranco Cuttica di Revigliasco, Giuseppe Giordano, Fedele Micò, Gian Paolo Olivieri, Fabrizio Priano, Ugo Robutti, Oreste Rossi detto Tino, Manuela Ulandi, Luciano Vandone.

 

 

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria