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23/07/2012

10 grandi città a rischio default

Alessandria è in compagnia, ma forse si poteva attendere perché i tecnici del Ministero dell'Interno stanno lavorando al salva-dissesto. Altrimenti le grandi città si tireranno dietro lo Stato. Da La Stampa di oggi

   

10 grandi città a rischio default

Dieci grandi città sono a rischio fallimento
 

da "La Stampa" - 23 luglio 2012 - pagina 1/2

 

In cima alla lista nera Napoli e Palermo. In due anni aumentati i commissariamenti

 

Non solo Palermo. Ci sono almeno dieci grandi città italiane, con più di 150mila abitanti, che rischiano il fallimento. In cima alla lista, dopo il capolouogo siciliano, c'è Napoli. Poi Reggio Calabria finita in rosso già nel 2007-2008. Nelle pieghe delle nuove norme sulla spending review c'è una norma che impone di svalutare del 25% i residui attrivi accumulati fino ad oggi. In pratica si tratta di entrate contabilizzate ma non ancora incassate come possono essere i proventi delle multe e le tasse sui rifiuti. Cifre che di fatto "fanno" il bilancio di un ente che spesso per prassi gonfia queste voci pur sapendo di non riuscire a incassare il cento per cento degli importi messi a bilancio.

La denuncia "Tagliando di colpo i residui attivi è chiaro che i bilanci non quadrano più", dice alla Stampa il presidente dell'Anci Graziano Del Rio. In base ai dati a disposizione del Viminale il fenomeno dei Comuni che hanno dichiarato il dissesto negli ultimi due anni è letteralmente esploso: da uno o due casi l'anno si è passati a circa 25, comprese le amministrazioni del centro-Nord.

Monti insiste con la cura del rigore per ridurre la spesa pubblica, ma così manca l'ossigeno: il Pil cala, non c'è crescita e chi compra i nostri titoli non sa se riusciremo a ridare loro i soldi. Ecco perché l'Italia rischia il crack

Torna l'incubo spread sull'Italia, e non è un caso. Certo, c'entra il clima generale che sta attanagliando l'Eurogruppo, bloccato dai veti della Germania (che ha bloccato fino a settembre il suo sì al nuovo meccanismo di salvataggio) e dalle incertezze politiche di un' Unione europea che di unito ha ben poco. Lo si vede alla meraviglia in queste ore, con la Spagna sull'orlo del baratro. Situazione prevedibile, eppure l'impressione è che si debba arrivare sempre sul ciglio del burrone prima di fare mezzo passo indietro. Ma la velocità della corsa verso il vuoto è sempre maggiore.

Cavalcata spread - A confermarlo l'impennata costante della pressione sui titoli di stato. Oggi il differenziale italiano ha toccato di nuovo, dopo 9 mesi la soglia critica dei 500 punti, con tassi di rendimento al 6 per cento. Il premier Mario Monti si è detto "deluso" perché nonostante il rigore della propria azione di governo non è calato sensibilmente rispetto ai tempi di Berlusconi. Una posizione che denota il limite "filosofico" dei tecnici: tutti impegnati nel tagliare (i servizi più che gli sprechi), nel tassare, nell'incassare, ma assai poco propensi a sostenere la crescita. Parola magica che non vale però solo per il futuro. A suon di manovre recessive, stangate e stangatine (leggi aumento dell'Iva), patrimoniali studiate e minacciate si colpiscono i consumi. Senza agevolazioni alle imprese e alla ricerca, non migliorano né competitività né capacità d'investimento delle aziende. E la produttività, per forza di cose, è destinata a calare con o senza abolizione delle festività.

Gli indicatori che ci condannano - Senza crescita, con un Pil in costante diminuzione, non resta che un debito pubblico elefantiaco di suo, arrivato a 1.966 miliardi di euro. Di fronte a cifre come questa, i tagli alla spesa pubblca non bastano. E infatti lo spread, che in soldoni rappresenta l'indicatore degli investitori internazionali nei confronti di un paese di cui hanno comprato i titoli di stato, schizza alle stelle. Un piccolo esempio. L'Italia è la meno indebitata a livello totale, considerando cioè debito esplicito e implicito in rapporto al Pil: 146punti, contro i 192 della Germania e i 195 della Finlandia, due tra i pochi paesi che hanno ancora conservato la tripla A delle agenzie di rating. Sono più indebitate dell'Italia, eppure noi abbiamo un rating sotto la A. Perché? Perché siamo meno affidabili. Il Pil della Germania crescerà dell'1% nel 2012 (stima al rialzo) e la sua disoccupazione scenderà al 6 per cento, il Pil italiano in piena recessione calerà del 2% e la disoccupazione sfiorerà il -10 per cento.

In più, consumi in calo del 2,5% e tassazione effettiva (al netto dei furbetti) del 70 per cento. Tutti indicatori che dicono una cosa sola: la Germania, anche indebitandosi, troverà i soldi per ripagare chi compra i suoi Bund. L'Italia, al momento, quei soldi non li ha. E tagli o scudo anti-spread sembrano sempre più una cura placebo quando servirebbero invece medicine amare in dosi da cavallo.

Ci sono dieci grandi città italiane con più di 50 mila abitanti che sono ad un passo dal crac. Napoli e Palermo in cima alla «lista nera», anche se da settimane una task force a Palazzo Chigi sta facendo di tutto per evitare il peggio. Poi Reggio Calabria, finita in rosso già nel 2007-2008 ed ora oggetto di un’inchiesta della magistratura. E poi tante altre amministrazioni, grandi e meno grandi (come Milazzo), magari fino ad oggi virtuose, potrebbero essere costrette a chiedere il «dissesto», che significa scioglimento della consiglio, entrata in campo della Corte dei Conti e commissario prefettizio.
L’ultimo colpo, o se vogliamo il colpo di grazia, sta infatti per arrivare: è una norma inserita nel decreto sulla spending review che nelle pieghe delle nuove regole che impongono l’«armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio» impone di svalutare del 25% i residui attivi accumulati sino ad oggi. Si tratta di entrate contabilizzate ma non ancora incassate, come possono essere i proventi delle multe e le tassa sui rifiuti. Cifre importanti, che servono a «fare» il bilancio di un ente che spesso, per prassi, gonfia queste voci pur sapendo di non riuscire a poter incassare il 100% degli importi messi a bilancio. Incassi spesso molto dubbi insomma, che ora non possono più servire a far quadrare i conti.
«A rischio sono almeno una decina di grandi città» confidano i tecnici del governo che stanno monitorando la situazione. «La situazione sta diventando ogni giorno più difficile», conferma il presidente dell’Anci Graziano Del Rio. Che punta il dito contro l’ennesimo taglio dei trasferimenti, contro le misure introdotte dalla spending review, e che rilancia l’allarme di tanti colleghi sindaci. «Tagliando di colpo i residui attivi è chiaro che i bilanci non quadrano più». Di per sè il principio, argomenta Del Rio, non sarebbe nemmeno sbagliato, «ma serve più gradualità per dare tempo ai sindaci che hanno utilizzato questa modalità di adattarsi. Perché altrimenti anche Comuni virtuosi, come ad esempio Salerno, a questo punto sono a rischio».
In base ai dati a disposizione del Viminale il fenomeno dei Comuni che hanno dichiarato il dissesto negli ultimi due anni è letteralmente esploso: da 1-2 casi all’anno si è passati a circa 25, comprese anche amministrazioni del Centro-Nord dove questo tipo di fenomeno fino a ieri era sconosciuto. Eclatante il caso di Alessandria, il cui sindaco solo poche settimane fa, ha gettato la spugna sotto il peso di 100 milioni di euro di debiti. Stessa sorte in precedenza era toccata a Comuni più piccoli come Riomaggiore (Sp), Castiglion Fiorentino e Barni in provincia di Como.
C’è un problema di tenuta dei bilanci e ce n’è uno ancora più forte di cassa. Che spesso il sindaco di turno si trova vuota. Perché la centralizzazione della Tesoreria decisa di recente ha sì fatto affluire alla cassa nazionale qualcosa come 9 miliardi di liquidità aggiuntiva ma, al tempo stesso, ha reso più complicato da parte degli enti poter beneficiare di anticipazioni da parte del sistema bancario. Prima col proprio tesoriere municipale ogni sindaco poteva contrattare e in casi di emergenza otteneva liquidità praticamente anche gratis, ora se si rivolge ad una banca deve certamente pagare gli interessi. Ammesso che il prestito riesca ad ottenerlo. A tutto ciò occorre poi aggiungere gli ennesimi tagli ai trasferimenti imposti dalla spending review: 500 milioni già entro fine 2012 e 1 miliardo all’anno dal 2013.
«A 4 mesi dalla chiusura dei bilanci 2012 - spiega Del Rio - anche i 500 milioni di tagli ai trasferimenti previsti per quest’anno sono molto pesanti. Rappresentano una quota molto importante dei nostri bilanci e cancellarli così di colpo non solo crea altri problemi di cassa ma sconvolge anche gli obiettivi del patto di stabilità». Per questo l’associazione dei Comuni, che domani tornerà a manifestare a Roma contro i nuovi tagli, manda a Monti un messaggio preciso: «Attenzione a forzare la mano, perché avanti di questo passo il giorno in cui comuni come Milano, Napoli e Torino usciranno dal patto di stabilità basterà questo solo gesto a scassare i conti dell’intero Stato».

Conclude Del Rio: «Siamo disponibili a ragionare, ma le cose vanno fatte con criterio. E soprattutto bisogna tenere conto che come Comuni negli ultimi anni abbiamo già dato 22 miliardi di euro».

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria