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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

Ricerca avanzata

29/05/2005

Referendum: perché non vado a votare!

Vorrei poter mutare o confermare una legge non cambiare la società su principi che non condivido. Alla base dei quesiti parecchie mistificazioni e ricercati equivoci...

   

Referendum: perché non vado a votare!

Mi sono ormai risolto a pensare che i quattro quesiti referendari che ci verranno sottoposti il 12 e il 13 giugno prossimi non possono essere affrontati con superficialità e scarsa informazione sulle loro implicazioni. Tanto varrebbe starsene a casa, in caso non si riuscisse a farsi un’idea di ciò che si deve abrogare. E, paradossalmente, al termine di un approfondito percorso di conoscenza, il rischio più che probabile è proprio quello di decidere scientemente di non andare a votare.

Perché? Forse perché non siamo nelle condizioni dei referendum che hanno permesso divorzio ed aborto negli anni Ottanta, ove veramente il cittadino si trovava di fronte ad un problema di coscienza. O dentro o fuori. Sì o No. In questo caso è tutt’altra questione.

Si pensi solo alle mistificazioni comunicative di cui sono stati inondati i testi sottoposti agli elettori. I quesiti somigliano più a un origami giuridico complicato e disomogeneo, piuttosto che a un percorso di applicazione di un principio alto come quello della libertà dell’uomo e della donna (il primo malato, la seconda madre), piuttosto che la tutela dell’embrione, che è poi il nucleo portante delle nostre stesse esistenze.

Non a caso la prima domanda referendaria si intitola sinteticamente “cura nuove malattie”, ed effettivamente tende a liberalizzare la ricerca su ciascun embrione umano, senza ulteriore protezione per lo stesso embrione. Ma, nello stesso tempo, evita di vietare gli interventi di clonazione mediante trasferimento di nucleo, che è poi quello che è stato recentemente fatto in Corea e in Gran Bretagna qualche ora fa.

Gli embrioni, secondo la legge 40/2004, non possono essere crioconservati, perché è ammessa la loro produzione in numero strettamente necessario all’impianto in utero e comunque non superiore a tre. La crioconservazione consentirebbe di riattizzare le tecniche di produzione di embrioni soprannumerari, che, secondo gli estensori dei quesiti referendari, dovrebbero servire per la ricerca. Bene, attualmente gli embrioni soprannumerari (quelli che non sono serviti agli impianti) sono nel mondo circa 300 mila. Basterebbero per circa 5000 anni di ricerca, al ritmo attuale. E comunque l’Italia è un paese largamente ormai tagliato fuori dai brevetti che l’industria farmaceutica mondiale ha già depositato per il settore. E comunque mi si dovrebbe dire con certezza se l’embrione è vita, al di là di ciò che io credo in materia.

Il secondo quesito si intitola “utilizzo di più embrioni” e mira a sfondare il limite di tre embrioni per impianto di cui sopra parlavo. Valgono le considerazioni precedentemente esposte. In più aggiungo che la stimolazione ovarica a cui viene sottoposta la donna per produrre ovociti è, a sentire molti medici, particolarmente pericolosa per la donna stessa. Ci si sta ormai indirizzando verso stimolazioni di minor entità – cioè mirante poi alla produzione di soli tre embrioni – proprio per tutelare la salute della madre. Ma qui la scienza non è compatta: minor stimolazione ha garantito comunque un livello di successo negli impianti pari al 27%, quando quella intensiva non riesce a superare il 30%. Non è forse che il desiderio di maternità debba essere meno schiavo dell’utilizzo massivo di farmaci su base ormonale, che comunque garantisce più consumo, più spesa, più produzione, pur senza garantire significativamente maggiori successi?

La domanda tre, invece si supera sul terreno dell’equivoco. Dalla procreazione medicalmente assistita esclusivamente omologa, cioè effettuata da una coppia (sposata o convivente) con componenti di sesso diverso, si passerebbe, secondo gli estensori del quesito, ad una gamma amplissima: dall’utero in affitto, alla fecondazione in una coppia lesbica, dal seme di un donatore esterno alla coppia, a chissà qual altra invenzione. Al di là del fatto che in situazioni di questo genere forse varrebbe la pena di estendere la facoltà dell’adozione (che capisco essere altra cosa, ma che finisce sempre per essere un grande, immenso, stupendo regalo che l’umanità fa ad altri essere umani), quali famiglie sta pensando di costruire una eventuale legge 40 modificata dal voto referendario?

Io non so se in questo caso si modifica una legge o si voglia mutare una società in modo surrettizio e subdolo. So solo, e lo dico utilizzando il ragionamento del vicepresidente del Parlamento Europeo, on. Mario Mauro, che ci troviamo di fronte ad un atto di inqualificabile violenza verso chi ha modelli societari diversi e crede in un rapporto di coppia fondato sul matrimonio e sull’unione che deriva dall’amore fra donna e uomo.

Infine l’ultima questione, il cosiddetto “ampliamento della sfera dei diritti”. Il ricorso alla procreazione medicalmente assistita non dovrebbe essere più motivata dal superamento dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dall’infertilità umana, ma dal mero desiderio di chi vuole scegliere questo metodo piuttosto che un altro. Almeno sembrerebbe, visto che si trasforma un percorso di obbligatorietà, in un itinerario di potenzialità di scelta.

Tutto qui, ma molto altro in più di questo. Troppo.

Su un altro fronte non sarebbe forse come, anziché chiedere se si vuole o non si vuole la devolution, domandare ai cittadini di abrogare o ammettere l’equiordinamento dei livelli istituzionali che compongono la Repubblica? Io non penso che le vie del Referendum possano essere considerate infinite e a questo voto – dopo una seria trafila di conoscenza – ho deciso di non partecipare. Inutile chiedere Roma per far rispondere toma.

 

 

Piercarlo Fabbio

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria