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Martedì 5 agosto 2025

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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24/07/2003

Beppe Zerbino: l'icona della libertà di stampa

Le sue parole scabre, come la lettera incisa dal martelletto disassato sulla carta troppo sottile per reggerla. Beppe amava Montanelli, non per il suo protagonismo, ma per la sua semplicità.

   

Se dovessi raffigurare per l'immaginario collettivo l'icona di Giuseppe Zerbino, non potrei sbagliarmi. Chino sulla macchina per scrivere con l'immancabile sigaretta accesa. Immoto mentre il suo sguardo si avvicina alla carta… anzi, alla notizia. Così mi rimane il ricordo di un grande maestro del giornalismo alessandrino a cui non appartiene l'imago del giornalista tecnologico completamente digitalizzato. Non che Beppe, negli ultimi tempi, non avesse deciso di farsi aiutare dagli strumenti della moderna elettronica, ma è chiaro che li sentisse come lontani, impropri, addirittura ingombranti rispetto al bisogno di essenzialità che ne aveva contraddistinto lo stile. Zerbino era figlio di quella meccanica fine, apostolo di un giornalismo che aveva già sostituito la penna con una macchina e che aveva adattato lo stile del cronista ai mezzi di cui poteva disporre e che, soprattutto governava. Così il suo modo di raccontare era brusco come il pigiare duro sui tasti della macchina. Le sue parole scabre, come la lettera incisa dal martelletto disassato sulla carta troppo sottile per reggerla. Beppe amava Montanelli, non per il suo protagonismo, ma per la sua semplicità. Lo leggeva e, in fondo, avrebbe voluto copiarlo. Ma non poteva. Spirito libero fino al punto di soffrirne di persona, Zerbino aveva deciso, pur nelle vicissitudini della carriera giornalistica, di non lasciare il mestiere. Non ci scherzava su, ma se ne lamentava. Non era contento della qualità del giornalismo locale, troppo vicino al palazzo per non sentirsi condizionato. Non era felice di come gli emuli del decano dell'Ordine si attenessero alla verità. Sapeva che il giornalismo era un punto di vista, ma non voleva approfittarsene al punto da giustificare la frottola. Persino lo scoop, che è scritto nel menoma di ognuno di noi, diventava, nella sua lettura, una faticosa impresa di controllo delle fonti e poi una non gridata proposta di notizia da approfondire. Fu il mio Direttore a "La Domanda" - e tra i suoi giovani collaboratori ebbe Roberto Cotroneo - e poi a "Cronacasport", un coraggioso tentativo di proporre un settimanale del lunedì appunto tra cronaca e sport. In entrambi i casi lo sostituii, quando interruppe le collaborazioni per scelte differenti. E sempre mi rimproverò di usare la penna ad inchiostro intinta nel calamaio e di svolazzare troppo con gli aggettivi. Ma non si inquietava, preferiva esprimere la sua opinione e poi sorridere con bonomia o forse con ironia, sapendo che anche leggere è una fatica e che il giornalismo è uno sforzo costante di relazione, in cui il mezzo per far intercorrere un rapporto con il lettore è fornito dal racconto di un fatto, dalla notizia. Sapeva che era del tutto inutile strappare il "pezzo" ad un collaboratore. Forse era meglio pubblicarlo e farlo bocciare dai lettori. Metterlo alla pubblica gogna. Probabilmente aveva un'idea didattica del giornalismo, senza darne a vedere. I suoi amori furono la storia e la natura. La prima lo affascinava, perché ricca di racconti, di analisi, un rincorrersi di fatti apparentemente senza tempo eppure figli del loro tempo. L'altra lo suggestionava per le sua capacità di stupire. Non era un ecologista, ma un uomo che aveva deciso di mettere se stesso e i suoi simili al centro della natura. E che la raccontava e la viveva. Attraverso la caccia e le lunghe passeggiate con i suoi bracchi a scovare selvaggina, ma a contemplare anche le straordinarie esternazioni della natura, al punto da dedicare la sua ultima fatica giornalistica. Quel "Natural" che rimane il suo passaggio di testimone più ambizioso. Quello della maturità. Anche se il suo capolavoro - vero pezzo di bravura di un giornalismo non piegato dalle convenzioni - rimane, almeno per me, "Il Piccolo del Mercoledì" degli anni Sessanta e Settanta, quando le occupazioni studentesche e il Sessantotto erano notizie infrasettimanali di gran pregio, ma al Sabato non trovavano spazio, e quando la partita dei Grigi era già processo del lunedì. Tanti anni prima di altri! Magari graffiando, come un vero gattopardo e sfuggendo via veloce dagli occhi increduli del lettore. E così Beppe ci ha voluto salutare. Con un balzo felino e improvviso, geniale, lesto, nella sfera di chi ci protegge e vuol dare poco fastidio. Piercarlo Fabbio

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria