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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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28/09/2008

La guerra sotto le bombe degli alessandrini

Il Sindaco Fabbio commemora l'episodio del rifugio di borgo Cittadella e l'occasione diventa uno stimolo a rilanciare gli studi su questo momento storico. Ecco il testo completo dell'orazione del primo cittadino avvenuta in via Giordano Bruno il 13 settembre scorso.

   

La guerra sotto le bombe degli alessandrini

Commemorazione bombardamento del 5 settembre 1944
Rifugio Borgo Cittadella

 

Alessandria incomincia ad essere colpita dai primi bomber command nell'aprile 1944. Prima era praticamente stata risparmiata, nonostante non lo fossero state, nei primi anni di guerra, qui al nord, altre grandi città. Nel sud invece i bombardamenti erano iniziati da subito: la Raf partiva da Malta e colpiva, pur con inadeguati strumenti bellici, le città del meridione.
Alessandria ebbe il suo battesimo del fuoco verso fine aprile 1944.
Dopo il 25 aprile 1945 ancora rischiò incursioni con bombardamenti e solo grazie all'intervento del Cnl e dei sacerdoti, che in allora lavoravano assiduamente insieme al Comitato di Liberazione Nazionale per potere garantire alla città la tregua che era stata di fatto definita con la sancita liberazione, si riuscì ad evitare che i bombardamenti continuassero anche dopo quella data.
Siamo soliti far affidamento sul ricordo dei superstiti, dei sopravvissuti, di molti nostri concittadini a cui i bombardamenti hanno lasciato una memoria indelebile anche in termini di abitudini di vita.
In quell'anno, le cronache narrano che, di fatto, la vita scorreva praticamente in modo normale e ordinato, nonostante il fatto che i cittadini si fossero ormai abituati ai ripetuti allarmi. Mille volte in un anno suonò la sirena. Sei fischi lunghi 15 secondi per annunciare l’arrivo dei bombardieri. E mille altre volte suonò la sirena per cessato allarme. Due minuti prolungati… un sospiro di sollievo lungo un’eternità.
Di questi mille allarmi, molti furono i cosiddetti “bianchi”, cioè non seguiti da incursioni. Le nostre capacità di avvistamento, probabilmente collegate alla centrale di Milano, erano tali che non sempre si era in grado di capire (non possedevamo radar) se le formazioni alleate o della Raf fossero effettivamente dirette ad Alessandria per bombardare o se invece sorvolassero lo spazio aereo alessandrino, rotta privilegiata per attaccare Genova oppure Milano o Torino, partendo dalla dalla Francia meridionale. Si capisce perchè un migliaio di allarmi a fronte di poco più di una quindicina di bombardamenti.
In tutta Italia, del resto, il rapporto tra allarme ed incursioni era effettivamente questo, 1 a 10 o 15.
Le statistiche che sono sempre un po' fredde e ciniche, ci ripropongono la mesta contabilità dei bombardamenti. Secondo l’ISTAT in Italia vennero uccisi circa 70.000 civili dai bombardamenti. Probabilmente queste statistiche sono ottimiste. Molte volte le vittime non erano riconoscibili, come nel caso di questo episodio ove su 39 vittime, 20 vennero riconosciute e poi immediatamente dopo si cercò di capire in qualche modo chi erano i morti, anche sulla base della composizione dei nuclei familiari.
Le statistiche per morte forniscono i dati dei deceduti e non dei dispersi. Gli studiosi hanno ormai deciso che in realtà le vittime dei bombardamenti in Italia furono tra le 110.000 e le 120.000. Insomma venne desertificata una città come Alessandria all'apice del suo sviluppo demografico.
Vi era poi un altro mito in quegli anni che è ancora ricordato in città: il mito di Pippo. Per molti aveva solo funzione di ricognizione, ma in realtà era un caccia bombardiere, che ogni tanto sganciava qualche bomba e che nelle sue picchiate utilizzava i mitragliatori per colpire coloro che si trovavano per strada a tiro delle sue picchiate.
Il fatto di trovarsi per strada, sorpresi da un attacco, è la ragione per cui nel primo bombardamento dell'aprile 1944 morirono 250 alessandrini. Erano impreparati a subire un attacco di quel genere. Vi erano rifugi di fortuna, come questo, o come anche altri, sia pubblici sia privati: quelli privati venivano scavati nelle cantine delle case, non erano quasi mai costruiti col cemento armato e avevano un problema: nel caso di abbattimento del caseggiato sopra il rifugio, si sarebbe poi morti per asfissia per il semplice fatto che qualche maceria avrebbe impedito di uscire dallo stesso. Non andava meglio per i rifugi pubblici, che non erano costruiti in campo aperto, né con cemento armato, ma anche questi erano in qualche modo ricavati sotto edifici pubblici oppure sotto qualche strada.
È particolarmente complessa la storia di quell'anno e di quegli anni e sarebbe veramente il caso che la si approfondisse perché ricca anche di implicazioni sociologiche. Come vivevano nella pratica normalità di tutti i giorni gli alessandrini che in piena notte venivano svegliati dall'allarme, che dovevano velocemente raggiungere i rifugi, che avevano oscurato i propri vetri per il coprifuoco? Come si regolavano non potendo vedere quello che si sarebbero messi addosso per scendere al più presto nel rifugio, e magari non trovavano il proprio abbigliamento perché non potevano individuarlo senza luce?
Nei rifugi stessi era impedito l'uso delle candele, perché bruciavano l'ossigeno e quindi solamente coloro che possedevano le torce elettriche potevano in qualche modo essere favoriti.
Come vivevano in questa sorta di disordinata o ordinata via della quotidianità i nostri concittadini che dovevano essere, che so, in qualche modo sottratti dal lavoro mentre erano lontani da casa e dovevano recarsi al rifugio più vicino, magari pubblico o un rifugio privato nel quale poi trovavano persone che non conoscevano, con le quali dovevano vivere per 4, 5 sei ore?
In effetti alcune volte gli allarmi erano molto prolungati proprio per l'incapacità di valutare quella che era la scelta del nemico, di bombardare Alessandria piuttosto che trasvolare Alessandria. È chiaro che le sentinelle di guerra non davano il cessato allarme finché non erano sicuri dello scampato pericolo.
Le nostre contraeree erano quelle che erano, non garantivano grandi risultati. Qualche volte succedeva che un grande aereo venisse colpito e bruciasse nelle campagne qui attorno. Ciò ovviamente diventava una sorta di attrazione dell'attenzione cittadina.
In queste vicende secondo me ci sono materiali che potrebbero essere raccolti da coloro che si ricordano ancora, da coloro che hanno una sorta di marchio indelebile nella propria memoria. Così come potrebbero essere raccolte testimonianze certificate dalla storia documentale, per esempio i bollettini di rapporto della Raf e degli alleati con l'effettivo esercizio del bombardamento o dell'incursione senza sganciamento di ordigni (magari semplici sorvoli).
Noi oggi ricordiamo questo episodio, mettendolo assieme a tanti altri di quell'anno, mettendolo assieme alle case civili sventrate, a coloro che magari non riuscivano a raggiungere il rifugio e venivano in qualche modo poi uccisi dall'abbattimento della loro abitazione, a quello che è forse l'episodio più emotivo, più emozionante della nostra guerra sotto le bombe, della guerra dei figli sotto le bombe: il bombardamento dell'asilo Gagliaudo avvenuto pochi giorni prima che la guerra finisse.
Come uno schiaffo alla generazione che doveva nascere, come uno schiaffo a quella storia che non si sa anticipare, neppure di poche ore.
Vi ringrazio.

 

 

Piercarlo Fabbio
Sindaco di Alessandria

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria