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Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria

   
   

   

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10/11/2008

Ha da venì Obama

I figlioletti del PCI che esultano per la vittoria dei Democratici fanno anche passi da gigante: riconoscono l'America come modello, si commuovono al sentire l'inno italiano ed incontrano Fini e Rauti sul tema della Costituzione. Che si sia finalmente raggiunta l'unità nazionale? Il ragionamento di Don Chisciotte

   

Ha da venì Obama

Barack Obama ha vinto, anzi ha stravinto. Siamo tutti contenti e soprattutto lo sono, in Italia, i convertiti veltroniani ex PCI.
Quelli che un tempo predicavano “ha da venì baffone” e guardavano all’URSS come al paradiso dei lavoratori, adesso organizzano serate di gala a Roma con il segretario newyorchese del PD che impazzisce al trionfo del leader afroamericano.
È stato un grande successo della democrazia degli Stati Uniti, di quel sistema al quale noi vecchi “democristiani non pentiti” abbiamo sempre guardato con rispetto e ammirazione, anche quando, scegliendo la sponda del Patto Atlantico i comunisti di casa nostra sbraitavano contro l’imperialismo a stelle strisce o quando marciavano compatti anche nelle settimane scorse al Dal Molin, nelle strade di Vicenza, al grido di: “yankee go home”.
Ricordo che negli anni cinquanta ero compagno di classe alle elementari di un caro amico, figlio di operai comunisti, comunista lui stesso, iscritto all’organizzazione dei pionieri del PCI, così come me, fiamma verde dell’Azione Cattolica.
Tra di noi un’amicizia sincera, ma appena si parlava di politica, e a quell’età, in quegli anni, sulle rive del Po, si parlava già di politica, eravamo nettamente divisi tra PCI e DC; tra lui che inneggiava alla grande Russia di Stalin ed io all’America di Eishenower.
Se nella mia casa era conservato sulle pareti il crocefisso e il ritratto del Papa, nella sua, su un mobile in salotto era in bella mostra una foto dei coniugi Rosenberg, martiri del proletariato. In realtà spie americane dei sovietici ai quali avevano passato segreti nucleari e per questo giustiziati sulla sedia elettrica negli USA.
Nei giorni scorsi, meditavo su come sono cambiate le cose da noi, non solo sugli orientamenti di politica estera, ma anche al nostro interno. Vedere il Presidente Napolitano accompagnato dal ministro della difesa, La Russa, alle celebrazioni della vittoria, all’Altare della Patria, a Redipuglia e a Vittorio Veneto, era il segno di un cambiamento straordinario.
Ammirare il vecchio leader tra i leaders del PCI, che sta gestendo la massima magistratura repubblicana in maniera esemplare, che ricordava il sacrificio dei nostri fantaccini sulle rive del Carso, dopo la tragedia di Caporetto, la battaglia del solstizio sul Piave, sino alla resa austriaca di Vittorio Veneto e all’armistizio di Villa Giusti, in compagnia di uno degli eredi del partito che inneggiava al ventennio mussoliniano, era la dimostrazione di quanta strada si è fatta anche in Italia, Paese delle lotte fratricide e dei guelfi e ghibellini.
Se coloro che per molti anni avevano guardato all’URSS come la patria dei lavoratori ora si commuovono ascoltando l’inno americano e in Italia celebrano insieme la raggiunta unità nazionale, ogni discussione ulteriore sul ruolo svolto dalla DC prima e dal Cavaliere negli ultimi quindici anni è superflua.
Se, in aggiunta, ad Asolo, nei giorni scorsi, si sono incontrati, sotto l’occhio vigile di Luciano Violante, Massimo D’Alema, legittimo erede del partito di Togliatti, Longo e Berlinguer con Gianfranco Fini, erede seppur contestato del partito di Almirante, Pisanò e Rauti, per discutere di bicamerale e per organizzare una prossima summer school tra le fondazioni di riferimento dei due leaders, allora possiamo proprio dire: missione compiuta.
Sì, possiamo andarne fieri, poiché il nostro scopo sociale, quello dei “liberi e forti” è stato raggiunto se quelli che fino a ieri erano nemici si sforzano di camminare insieme dietro al tricolore. Speriamo che non si debbano commuovere al canto dell’inno di Mameli solo quando gioca la Nazionale.

Don Chisciotte

Radioformigoni, 10 novembre 2008

 

 

 

 

 

Piercarlo Fabbio Sindaco di Alessandria