|
Vista la nota del
Ministero dell’interno prot.n.1883/L. 142/1 bis/5.3 del 12 ottobre 2004, con la
quale si chiede il parere del Consiglio di Stato in ordine alla questione
indicata in oggetto.
Visto il parere delle
Sezioni riunite Prima e Seconda n.11074/2004 del 16 marzo 2005;
ESAMINATI gli atti e
udito i relatori Consiglieri Marcello Borioni e Luigi Carbone;
RITENUTO in fatto
quanto esposto dall’Amministrazione riferente;
PREMESSO
Il Ministero
dell’interno ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’ammissibilità
degli stranieri non comunitari all’elettorato attivo e passivo nelle elezioni
degli organi delle circoscrizioni
comunali .
Preso atto che la
Seconda Sezione si era espressa sullo stesso tema con riferimento ad un quesito
posto dalla Regione Emilia-Romagna (parere n.8007/2004), il Presidente del
Consiglio di Stato ha assegnato l’affare alla trattazione congiunta della Prima
e della Seconda Sezione.
Con parere
interlocutorio n.11074/04, le Sezioni riunite hanno chiesto alla Regione
Emilia-Romagna di esprimersi sulle nuove argomentazioni fornite dal Ministero
dell’interno.
Acquisite le
osservazioni della Regione, il quesito è stato esaminato dalle due Sezioni
riunite nell’adunanza del 13 luglio 2005.
CONSIDERATO:
I - E’ chiara, nella
nostra società civile, la forte rilevanza assunta dal problema della migliore
integrazione di persone , che, soprattutto a scopo di lavoro, giungono in Italia
da Paesi esterni all’ Unione Europea.
Nella consapevolezza
del significativo contributo che queste persone danno allo sviluppo della
collettività da più parti si levano voci e si spiegano iniziative, sicuramente
commendevoli, perché ad esse siano assicurati diritti civili e politici di
maggior spessore.
Si iscrivono in
questo quadro, insieme alle iniziative di cui alla vicenda che ne occupa,
confortata dalle analitiche considerazioni della Regione Emilia-Romagna, i
disegni di legge presentati da più parti politiche, le interpretazioni
dottrinali e giurisprudenziali, gli inviti pressanti ed argomentati intesi a
riconoscere ai soggetti residenti, ancora privi di cittadinanza europea, il
diritto di elettorato attivo e passivo nelle circoscrizioni, intanto, comunali.
Sintomatica è anche
l’interpretazione che questo Consiglio di Stato ha dato delle norme che appresso
saranno esaminate, consapevole, insieme, della opportunità di rimediare ad una
lacuna dell’ordinamento e della gravità ed urgenza della questione.
Pur condividendo
siffatta consapevolezza le Sezioni Riunite I e II non ritengono che, allo stato,
possa affermarsi il cennato diritto di elettorato di cui manca e un esplicito
riconoscimento e, come ha ritenuto la stessa Sezione II nel parere del 28 luglio
2004, ogni necessaria conformazione che ne consenta la identificazione e
l’esercizio.
La Costituzione,
dalla quale si deve muovere, pone precetti sicuramente rilevanti in materia.
Gli art. 48 e 51
espressamente coniugano, con la cittadinanza, il diritto di elettorato e di
accesso agli uffici ed alle cariche pubbliche con norme letteralmente positive
di riserva di legge.
Per sua parte, l’art.
10 prescrive che “ la condizione giuridica dello straniero “ il suo status,
cioè, civile e politico, “ è regolata
dalla legge in
conformità delle norme e dei trattati internazionali “ che, ai sensi dell’art.
80, se “sono di natura politica“ o “importano…. modificazioni di leggi “sono
ratificati previa autorizzazione legislativa dalle Camere.
L’art. 117, infine,
pur nel quadro dell’ampia autonomia riconosciuta dal nuovo testo del Titolo V,
riserva alla legislazione esclusiva dello Stato le materie, tra l’altro, della
“condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione
Europea”, della “immigrazione “, della “legislazione elettorale, organi di
governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”.
Pare che le riassunte
norme siano, da una parte, univocamente coordinate tra loro e, d’altra parte, di
contenuto tale da far ritenere già a livello letterale, che così la condizione
giuridica degli stranieri come, in particolare, una loro eventuale ammissione al
voto, anche a livello comunale, costituiscono materia riservata alla
legislazione esclusiva dello Stato che può delegare, epperò solo alle Regioni,
eventuale regolamentazione subordinata.
Esclusa in fatto
quest’ultima eventualità, deve convenirsi che, come per altro prevalentemente si
ritiene, il discusso diritto di elettorato può configurarsi soltanto :
a- se si rinviene,
nell’ordinamento statale, solo competente, il relativo riconoscimento ovvero
b – se si espunge la
“circoscrizione” dal novero degli organi di governo e degli uffici pubblici
comunali.
Non è sufficiente,
invero, genericamente richiamarsi alla natura “autonoma” degli enti e degli
statuti comunali, posto che così nel vigente Titolo V come nelle precedenti
stesure l’autonomia è in ogni caso coniugata e da coniugare con gli altri
principi fissati dalla Costituzione, compresi, per quanto qui rileva, quelli
sopra ricordati che indubbiamente concorrono a definirne i contenuti.
II - Le norme cui si
fa riferimento, per assicurare la tesi della positiva attribuzione ai comuni
della potestà di disciplinare, nei propri statuti, il controverso diritto di
elettorato sono, essenzialmente :
1) l’art. 8 del D.Lgs
18 agosto 2000, n.267, in tema di partecipazione popolare alla vita pubblica
locale;
2) l’art. 17 dello
stesso T.U.O.E.L. in tema di circoscrizioni di decentramento comunale;
3) l’art. 9 D.Lgs 25
luglio 1998 n. 286, in tema di carta di soggiorno e di condizione dello
straniero.
La prima norma
conferma che “i comuni, anche su base di quartiere o di frazione, valorizzano le
libere forme associative e promuovono organismi di partecipazione popolare
all’amministrazione locale” e che “nello statuto devono essere previste forme di
consultazione della popolazione nonché procedure per l’ammissione di istanze,
petizioni e proposte di cittadini singoli o associati dirette a promuovere
interventi per la migliore tutela di interessi collettivi…”.
La norma si chiude,
quindi con l’affermazione che “lo statuto, ispirandosi ai principi di cui alla
legge 8 marzo 1994, n. 203, ed al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286,
promuove forme di partecipazione alla vita pubblica locale dei cittadini
dell’Unione Europea e degli stranieri regolarmente soggiornanti”.
A parte quest’ultima
concreta sollecitazione di quel generico “favor” cui si riferisce la Regione
Emilia-Romagna e che, come s’è detto, emerge in più circostanze a riguardo della
condizione dei residenti non cittadini, non v’è traccia, nella norma, della
equiparazione dello straniero ai fini in argomento e, anzi, potrebbe dedursi,
dalla precisazione del comma 3 che, con espressione tecnica non equivoca, si
riferisce ai soli “cittadini” e dalla considerazione separata, nel comma 5, “dei
cittadini dell’Unione Europea e degli stranieri regolarmente soggiornanti”, una
diversità di condizioni di questi ultimi già nei confronti della forme di
consultazione e di partecipazione assicurate ai cittadini.
In favore degli
stranieri è soltanto prevista, per altro in armonia ai principi già posti da
norme vigenti in un periodo nel quale era pacificamente escluso il controverso
diritto di voto dei cittadini dei Paesi esterni all’Unione, la promozione di
“forme di partecipazione alla vita pubblica locale”, forme che, per quanto
ampie, in nessun modo possono riferirsi al diritto di elettorato certo non
configurabile nei confronti dei comuni, che sono i soggetti cui l’art. 8 in
rassegna si riferisce.
Quanto alla seconda
norma, l’art. 17 recita, nel comma 4, che “gli organi delle circoscrizioni
rappresentano le esigenze della popolazione delle circoscrizioni nell’ambito
dell’unità del comune e sono eletti nelle forme stabilite dallo statuto e dal
regolamento”.
Può condividersi, pur
con le riserve suggerite dall’art. 8, che in tale testo si intenda per
popolazione l’insieme degli “abitanti” considerato nei commi precedenti le cui
“esigenze” è ovvio sono “rappresentate” dagli organi delle circoscrizioni.
Non si coglie, per
contro, e deve escludersi, l’asserito necessario nesso tra la rappresentanza
organica della popolazione, come sopra intesa, e la forma delle elezioni posto
che mentre queste ultime sono soltanto uno dei possibili mezzi di emersione
degli interessi individuali e collettivi (v. art. 8) la predetta rappresentanza
comprende, per legge, anche le esigenze di coloro che per qualsiasi ragione non
sono ammessi al voto.
Il riferimento, per
altro, alle “forme “ delle elezioni, ai modi, cioè, del procedimento elettorale,
in nessun modo autorizza a ritenere che, al di là di esse, il comune possa
riconoscere un diritto politico che anche nel contesto dell’art. 17 non si
considera assolutamente e che, per quanto riguarda gli stranieri in discorso, è
persino escluso dal possibile “rinvio alla normativa applicabile ai comuni” (v.
comma 5).
Quanto, infine,
all’art. 9 del D.Lgs 25 luglio 1998, n. 286, il comma 4, lettera d, se abilita
lo straniero soggiornante a “partecipare”, così come ha confermato il rammentato
art. 8 comma 5, “alla vita pubblica locale” chiarisce che lo stesso esercita
“anche l’elettorato quando previsto dall’ordinamento e in armonia con le
previsioni del Capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri
alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992 “.
La norma ribadisce a
chiare lettere la necessità che la legittimazione all’elettorato sia
espressamente prevista dall’ordinamento - in conformità ai precetti
costituzionali ricordati sopra - e precisa che tale previsione deve armonizzarsi
con quella del Capitolo C della Convenzione di Strasburgo.
Nel dare atto che
questo Capitolo C è stato espressamente escluso dall’autorizzazione di ratifica
di cui alla legge 8 marzo 1994 n. 203, che limita l’autorizzazione ai Capitoli A
e B, in fatto ratificati, si è tuttavia proposto di interpretare l’espressione
dell’art. 9 in maniera, anche qui, “evolutiva”.
La legge, cioè,
avrebbe fatto propri i contenuti del Capitolo C, non ratificato, con un
procedimento di ricezione, per così dire, implicito.
La tesi è, come
ognuno vede, piuttosto ardita e, mentre immediatamente prospetta una ben fondata
questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 80 Cost., non
trova alcun visibile fondamento nell’anodina formula dell’art. 9 e sortisce
effetti la cui ammissibilità è negata dai suoi stessi sostenitori.
Ben vero, il cennato
Capitolo C tratta dell’impegno dello Stato “a concedere” allo straniero a
determinate condizioni “il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni
locali…”, non solo, perciò, alle elezioni per le circoscrizioni comunali, ma
alle stesse elezioni comunali e, insieme, ad ogni altra elezione che possa dirsi
“locale”.
Non pare che un
risultato di tale portata possa attribuirsi ad una espressione legislativa
certamente consapevole della attuale mancanza (o, meglio, rifiuto) di ratifica
del Capitolo C; dei contenuti necessari del procedimento di ratifica; dello
stato dell’ordinamento in punto di diritto di voto; ad una espressione
legislativa, in sintesi, in alcun modo positiva del riconoscimento di cui si
tratta.
Questo
riconoscimento, esplicitamente necessario a fronte delle visitate norme
costituzionali, manca dunque del tutto nell’ordinamento statale cui spetta in
maniera esclusiva, come sopra si è visto, e di effettuarlo e, insieme, di
conformare il relativo diritto.
Tale conformazione,
la cui necessità emerge insieme dalla varietà delle condizioni riferibili agli
stranieri residenti e dalla esigenza di ponderare con riferimento ad esse le
correlate situazioni dei cittadini (si veda la stessa Convenzione di Strasburgo,
insieme alle leggi concessive, anche per gli stessi cittadini europei nonché per
i cittadini italiani residenti all’estero, del diritto di voto), è comunque
assente nelle norme degli articoli 8, 17 e 9 sopra analizzate così che se pure,
come si è escluso, l’ordinamento rivelasse un qualche precetto nel senso
ipotizzato dovrebbe pur sempre attendersi un intervento statale, o di delega
alle Regioni (v. art. 117 Cost.), di conformazione del diritto.
Deve escludersi che i
diritti politici, nei quali si inquadra agevolmente il diritto di voto nelle
elezioni amministrative, possano avere un contenuto differenziato nell’ambito
della Repubblica e che possano perciò, come è implicito nella tesi della
legittimazione degli statuti comunali, espandersi o comprimersi via via che ci
si trasferisce sul territorio.
E’ appena il caso di
sottolineare che non solo manca, nell’ordinamento, la necessaria disciplina
relativa alla concessione e conformazione del diritto di voto dei cittadini di
Stati esterni all’Unione Europea ma sono presenti nell’ordinamento stesso, norme
che consentono di escludere che, a tutt’oggi, siffatto diritto sia stato
riconosciuto nei sensi e nei modi costituzionalmente dovuti.
Si è rammentato il
positivo, espresso rifiuto di ratifica del Capitolo C della Convenzione di
Strasburgo; si è verificato il mancato esercizio della potestà statale, non
delegata né delegabile; si è sottolineata la carenza di competenza statutaria
dei Comuni; si è considerato che le stesse norme invocate a contrario depongono
nel senso della attuale inesistenza del diritto; si è considerato che esso è
stato sempre concesso, persino ai cittadini residenti all’estero e ai cittadini
europei, con provvedimento legislativo espresso e compiuto.
Si è visto, infine,
che nella prassi, anche parlamentare, emerge con forza la diffusa convinzione
che tale sia, ad oggi, lo stato della
questione e che ad
essa debba porsi urgente e conveniente rimedio nelle sedi e nei modi
costituzionalmente propri.
III - Ci si deve dare
carico, benché la tematica sembri a questo punto perdere rilievo, della tesi
che, come sopra si è precisato, nega che la circoscrizione eserciti funzioni
politiche e di governo ovvero assolva a pubbliche funzioni in materie tali da
ritenersi precluse ai non cittadini e che riduce la stessa circoscrizione, in
sostanza, al mero esercizio di attività soprattutto partecipative e consultive.
La tesi non può
essere condivisa.
Le circoscrizioni
sono, a mente del più volte citato art. 17, organi necessari nei comuni con
popolazione superiore a 100.000 abitanti, eventuali nei comuni con popolazione
da 30.000 a 100.000 abitanti, e di rilievo pubblico tale che, nei comuni con
popolazione superiore a 300.000 abitanti, possano essere disposte “accentuate
forme di decentramento di funzioni e di autonomia organizzativa e funzionale” e
fatto rinvio “alla normativa applicabile ai comuni aventi uguale popolazione”.
Le materie attribuite
al Sindaco, quale ufficiale di governo, di cui all’art. 54, comma 1, lettere a)
b) c) e d), nonché indicate dall’art. 14 TUOEL, tutte materie di indubbia ed
essenziale natura pubblica, possono essere delegate al Presidente del Consiglio
circoscrizionale.
A quest’ultimo
Consiglio possono essere delegate, e nella prassi sono delegate, ulteriori
funzioni pubbliche del Comune, che pur quando limitate, come nel Comune di
Forlì, (“ai lavori pubblici, alle aree verdi circoscrizionali, ai servizi
comunali che si svolgono nella circoscrizione, con particolare riguardo alle
opere di urbanizzazione primaria e secondaria, all’uso di istituto ed alla
gestione dei beni destinati e ad attività assistenziali, scolastiche, culturali,
sportive e ricreative”; v. art. 51) sono funzioni di rilevante interesse
pubblico e tali da valutare e comporre interessi, privati e pubblici, di
notevole spessore, così politico come amministrativo.
Le deliberazioni
circoscrizionali, “a tutti gli effetti atti del comune” (art. 51 co. 5),
partecipano, all’evidenza, della natura di questi ultimi e concorrono a
caratterizzare un organo che, in quanto “di decentramento” non può che
condividere il munus publicum che caratterizza il comune, e che consegue,
peraltro, ad un procedimento elettorale, di per sé connotazione evidente
dell’esercizio di funzioni e rappresentative e pubbliche.
Le stesse
attribuzioni in materia di partecipazione e consultazione non sembrano, infine,
estranei all’ufficio pubblico del quale è investita la circoscrizione.
Non è minimizzando la
funzione delle circoscrizioni che si rende un buon servizio alle realtà locali e
al contenuto dei diritti di voto cui aspirano, il più delle volte a giusto
titolo, gli stranieri residenti.
P.Q.M.
Nei sensi che
precedono è il parere.
Il Presidente delle
Sezioni Riunite
(Giovanni Ruoppolo)
|